“I palloni non vanno bene…”. “Anzi no…Cioè volevo dire che forse…Insomma…”.
Parole in libertà di un azzurro, Danilo Gallinari, durante la settimana del Pre Olimpico a Torino. Prima fotografia dello stato emozionale dei nostri.
Seconda fotografia. Domenica 3 luglio alle 13.30, 27 ragazzi piemontesi erano stati convocati al Pala Alpitour per fare le prove generali: ingresso in campo delle squadre, inni nazionali, time-out, riprese televisive, ballerine, danze varie, ricchi premi e cotillons. Bella idea.
I nostri, i ragazzi ed i loro allenatori, sono stati fatti entrare al palazzo attraverso una specie di percorso di guerra prefissato, al fine di non disturbare la Nazionale e di evitare un qualunque contatto visivo con gli azzurri, non sia mai una distrazione. In tribuna l’establishment della FIP compreso quello regionale del Piemonte.
A cinque minuti dalla fine della “recita” di prova arriva la Grecia che a fine partita si concede, i giocatori dico, alle foto, ai cinque, agli autografi con i ragazzi piemontesi giunti fin lì, magari con la remota speranza di fare altrettanto con i loro idoli italiani. Nein.
Finito il loro impegno, fuori dal palazzo seguendo un altro percorso di guerra, silenzio e via. Neanche un grazie da parte dei Presidente Petrucci e Mastrogiacomo. Servono parole per commentare? Direi di no. Il grazie lo dico io a questi coraggiosi ed appassionati ragazzi, anche se forse non basta a ricompensarli di quel che hanno fatto.
Ed ora eccoci al disastro. Non annunciato ma certo presagito anche da queste due fotografie e ribadito, nell’immediato dopo finale con la Croazia, dalle parole del Presidente Petrucci:
”C’è grande amarezza per questa sconfitta ma ora dobbiamo rimboccarci le maniche. Serata amara ma domani è un altro giorno. A me piacciono le rivincite e ora proveremo a prendercele al prossimo Europeo. Complimenti ai ragazzi per il grande impegno che hanno messo in questa stagione e complimenti al coach e allo staff tecnico per il grande lavoro. Lavoro che ora non deve andare sprecato. Complimenti alla Croazia che ha meritato e complimenti al pubblico di Torino, meraviglioso tutte le sere”.
Quindi abbiamo giocato solo il Marc’Ambrogio che si era inventato Walter Veltroni anni fa per alimentare la sana rivalità tra Roma e Milano. Ed allora perché la militarizzazione della Nazionale? Perché i milioni di euro pagati alla FIBA (si mormora che siano stati due), per ottenere a tutti i costi il preolimpico in casa? Perché chiamare Ettore Messina? Perché tutta l’enorme importanza attribuita a questa settimana se poi viene liquidata come se avessimo giocato appunto un torneo di quartiere?
Imbarazzante, per non dire altro.
L’unica cosa sulla quale essere d’accordo è il pubblico di Torino: spaziale, fantastico, competente, corretto, sportivo. Il pubblico perfetto per lo sport.
Poi Ettore Messina.
“Sapevamo che sarebbe stata una gara dura. Faccio i complimenti alla Croazia che ha giocato una grande partita e gli faccio l’in bocca al lupo per le Olimpiadi. E’ stata una sconfitta tristissima, dispiace molto non esserci qualificati a Rio: per i giocatori, per la Federazione, per il basket italiano e per tutti i tifosi che ci hanno sostenuto fino alla fine. Ringrazio i ragazzi perché in questo mese di lavoro hanno dato tutto, non posso rimproverali di niente”.
Qui almeno si ravvedono parole che evocano il futuro nerissimo che ci aspetta: sconfitta tristissima per il basket italiano. Che già contava poco prima. E che da sabato sera conterà ancor meno. Perché io credo che se il CIO non ci affiderà l’Olimpiade del 2024, alla quale saremo qualificati di diritto, i prossimi Giochi ai quali la pallacanestro italiana parteciperà, saranno molto lontani.
Senza scomodare paragoni inqualificabili che ho letto e sentito in questi mesi tra questa Nazionale e quelle che hanno vinto nel passato, è certamente vero che questa cosiddetta “generazione NBA” ha presentato una squadra con valori tecnici alti, molto. E che prima che se ne ripresenti una così ce ne vorrà di tempo. Non fidiamoci delle fantastiche vittorie dei nostri settori giovanili: sono importantissime e bellissime, ma non sono automaticamente trasportabili a livello senior. Perché se non cambia il sistema pallacanestro in Italia resteremo sempre nel pantano nel quale d’altronde siamo anche con le squadre di club, ricche oltretutto di stranieri.
Un esempio. Da noi un giocatore di 23/24 anni è considerato ancora giovane e da farsi. Poi leggi la sua biografia sportiva e scopri che gioca in serie A ed in Europa da quando ha 17 anni. Nei paesi dell’Est un ragazzo di 23/24 anni è un giocatore già fatto e finito da un pezzo. Oppure sta in panchina a fare numero. Voglio dire che dobbiamo smetterla con gli alibi della gioventù ed aspettare in eterno questa gente: se ha talento va fatta giocare subito, a costo di fare figure meno belle. Giocando si impara a stare in campo. Guai a bruciare i giovani per carità, ma guai anche a tenerli sotto la campana di vetro. Ne escono ragazzi talentuosi che però nei momenti decisivi non sanno che fare colo loro talento.
Per questo mi piace quando vedo negli staff tecnici e dirigenziali delle squadre nazionali qualche ex giocatore, tipo Petrovic, Vrankovic e Radja per la Croazia. Perché chi meglio di gente di questo calibro può dare il consiglio giusto al momento giusto? Intercettare il principio di una reazione nervosa prima che esploda? Capire il momento di un giocatore e suggerire al coach di metterlo seduto o di mandarlo in campo?
A proposito di talenti inespressi, stavo scrivendo di Alessandro Gentile? Sì certo, anche di lui.
Per tacere di Andrea Bargnani che non è un ragazzo, ma un uomo, un giocatore del quale abbiamo atteso per anni l’esplosione definitiva da talento a giocatore in grado di incidere seriamente su un torneo. E di tutti gli altri sia chiaro, perché in questo momento fare due nomi serve solo a dare un esempio e non a dire che la responsabilità è di questi due perché la pallacanestro è uno sport di squadra e se loro due sono andati male vuol dire che la squadra o le squadre nazionali nelle quali hanno giocato non li hanno aiutati ad esprimersi al meglio. Quindi tutti sono responsabili allo stesso livello per non aver dato quello che potevano.
E dovevano dare. Non sono d’accordo con Flavio Vanetti che oggi, domenica 10 luglio sul Corriere della Sera scrive:
”Non andare ai Giochi non è una tragedia e non riporta le lancette del basket al “tempo zero” dal quale era ripartito qualche anno fa. Ma lo ricolloca in un limbo nel quale tornano d’attualità – con maggiore urgenza rispetto allo scenario della qualificazione ottenuta – temi strutturali sul movimento, sui giovani e sul ricambio, in fondo su questa generazione NBA che è costretta a rinviare ancora la sua consacrazione”.
Io invece credo che sia una tragedia per il movimento provocata proprio da quei temi strutturali di cui parla Vanetti e che questa generazione NBA così pompata ed idolatrata, sia al termine del suo cammino con pochissime finestre per poter invertire un giudizio sin qui molto poco positivo sul suo operato.
E’ questa l’ora di cambiare tutto: teste, mentalità, idee, programmi, pensieri, presidenti, dirigenti, sistema. A costo di ripartire da zero. Cominciando a lavorare sui fondamentali in palestra e fuori. Chiedendo, ed imponendo alle società se necessario, di seguire programmi tecnici condivisi con la Federazione ed il capo allenatore.
Che deve essere scelto adesso. Che deve lavorare 24 ore al giorno per il sistema pallacanestro Italia. Che deve girare il paese in continuazione per osservare tutte le realtà, dalla I divisione alla serie A, dal minibasket all’Under 18. E poi farsi un’idea di cosa c’è nel paese e stendere le sue linee guida. Dopo aver visto, non prima e senza che qualcuno gli riferisca. E avendo mano libera, accompagnato da un team manager forte, esperto e conoscitore del mondo italiano e di quello al di fuori dei nostri confini.
La politica della sedia scaldata, delle macchine gratis, dei favori fatti a questa o a quell’altra società, dei procuratori che vendono ali piccole per pivot o playmaker per ali grandi (sto dicendo a caso), o che fanno accordi per un giocatore però poi la società deve prendersi anche gli altri due/tre della cordata, degli allenatori che non insegnano più i fondamentali, degli arbitri sceriffi, delle società che non pagano, dei giornalisti che non scrivono le cose come stanno: basta con tutto questo.
Per me non si salva nessuno da questo naufragio colossale. Ed a tutti tocca cominciare a lavorare sul serio. Senza se e senza ma.
Eduardo Lubrano
@EduardoLubrano