Andrea Diana finalmente in serie A, dove non era arrivato da giocatore e dove voleva arrivare da allenatore. Com’è l’impatto?
“Bello, importante, duro. Ma proprio quello che volevo e mi aspettavo. Vedevo la pallacanestro di serie A in televisione e mi ero fatto le mie idee. Alle quali ho trovato conferma: oltre al livello tecnico più alto, c’è la questione della continuità durante i 40 minuti di ogni partita. L’importanza decisiva che ha ogni possesso. E’ molto stimolante“.
Come si è preparato a questo impatto con una serie superiore?
“Dal 25 giugno, il giorno dopo la vittoria del campionato di A2, ho cominciato a pensare a cosa potesse servirmi per essere pronto ed essere in grado di trasmettere alla squadra le cose importanti. Prima di tutto, visto che credo moltissimo nel lavoro dello staff tecnico, ho pensato che fosse necessario allargare proprio lo staff con un allenatore che conoscesse la serie A e l’arrivo di Alessandro Magro è stato in questo senso. Poi ho capito che oltre al piano A mi sarebbero serviti anche un piano B e C tanto per l’attacco che per la difesa ed abbiamo iniziato a lavorarci su“.
Lei è nato a Livorno, una delle città che vivono di pallacanestro e si è formato nel Don Bosco. Cosa si porta dietro della sua città nel mondo della pallacanestro?
“Prima di tutto la passione, il palazzetto sempre pieno, un’atmosfera sempre caldissima. Frequentavo le partite da spettatore negli anni ’80 e poi da giocatore negli anni’90. La mentalità di voler vincere sempre e quella di volersi costruire nella pallacanestro una carriera di lavoro.Negli otto anni al Don Bosco ho imparato la disciplina, la puntualità, ad essere esigenti con gli altri ma prima di tutto con sè stessi. L’etica del lavoro”.
Parliamo della Leonessa. Per ora le percentuali al tiro non raccontano cose buonissime. La cosa la preoccupa, tenendo presente che in cinque giornate avete giocato contro Sassari, Milano ed Avellino?
“E’ vero non sono percentuali molto positive ma non sono preoccupato. Il calendario non ci ha favorito perché ci ha messo contro squadre molto forti anche in difesa e questo non ci ha permesso di esprimerci come sappiamo, ma quello che conta di più è che soffriamo a rimbalzo e concediamo troppi secondi tiri ai nostri avversari. E pecchiamo di concentrazione durante la partita, quella continuità necessaria per non prendere dei break difficili da recuperare. Un tiro secondo me, se costruito dalla squadra va preso sempre, anche se arriva nei primi secondi dell’azione, lo dico sempre ai miei giocatori“.
E’ ancora così vero che non c’è alternativa al pick & roll con i 24 secondi?
“Non proprio. Nel senso che il p&r moderno non è più solo un gioco a due ma a 5. Noi abbiamo un maestro di questa situazione che è Luca Vitali, perché lui ha una capacità visiva straordinaria dunque partendo da un pick & roll è in grado di mettere in moto qualunque compagno libero per un buon tiro, e non necessariamente quello che ha portato il blocco. Forse se ne è fatto un abuso ma è indubbio che, specie con i 24 secondi, un p&r ben fatto porti un immediato vantaggio. La squadra deve essere però in grado di riconoscere e capire che tipo di vantaggio nasce in quel momento”.
A proposito di modernità: c’è ancora qualcosa del basket di ieri che funziona ancora o è tutto cambiato rispetto a dieci, venti anni fa?
“Si è tornati alle difese più chiuse come era una volta. Perchè son cambiate, in grandezza, le taglie dei giocatori, che rendono sempre più difficili le penetrazioni con tiri vicino al ferro. Quindi gli attacchi si organizzano per scaricare la palla fuori per un tiro da fuori e molti attaccanti hanno rimesso in piedi l’arresto e tiro perché spesso devono fronteggiare l’uscita di un lungo rapido e grosso che gli contesta un tiro ed allora è necessario saper mettere la palla a terra per un palleggio ed uno spostamento. Ed è tornata anche una maggiore responsabilità individuale nella difesa uno contro uno. Oggi bisogna saper tenere almeno due palleggi, sapendo certo che gli altri 4 compagni sono pronti ad aiutare ma senza contare in partenza solo su questo”.
Qual è l’obiettivo tecnico che si è dato per questa stagione a Brescia?
“Avere una squadra che si passi la palla. Negli anni di A2 la partita più bella che abbiamo fatto secondo me è stata a Mantova dove abbiamo vinto con 8 giocatori in doppia cifra, segno di una partita in cui la palla l’hanno toccata tutti in modo positivo per la squadra. Il passaggio è un fondamentale di questo gioco che io voglio diventi una caratteristica della nostra squadra. E poi vorrei che avessimo la capacità di sfruttare ogni vantaggio che dovesse crearsi in campo, anche all’inizio dell’azione“.
E quindi come le piacerebbe che venisse identificata la sua Leonessa?
“Come una squadra con un sistema difensivo rispettabile, duro dal quale nasca un attacco veloce. Come una squadra con una sua identità precisa“.