Se la stagione dei Nets, almeno sul fronte dei risultati sul campo, era già ampiamente compromessa dopo due mesi di regular season, il mese di gennaio ne rappresenta la pietra tombale. Una lunga sequela di sconfitte senza attenuanti, una sola, clamorosa vittoria (record di gennaio 1-15!), alcune gare ben giocate e perse malamente per via della cattiva gestione del finale (film ormai visto troppe volte). Ed un sospetto che si insinua nello spettatore-tifoso, mentre all’orizzonte si profila il tornado del mercato, da cui ci si aspettano scossoni benefici.
Mentre Brooklyn cedeva anche contro Philadelphia tra le mura amiche (gara della quale abbiamo raccontato a parte), garantendo un trampolino di lancio ad Enbiid e soci (da quel momento i Sixers hanno ingranato un’altra marcia), Miami iniziava una striscia di otto vittorie consecutive (due con i Nets), i Suns a giocare sul serio (raccontata anche la vittoria nientemeno che contro gli Spurs a Città del Messico), i Mavs ritrovavano Nowitski ed iniziavano a risalire la china (sconfiggendo Spurs e Cavs in B2B!)…. Insomma il mese di gennaio decreta l’assegnazione dell’ultimissimo posto nel ranking dell’intera Lega per Lopez e soci.
La cronaca. Anno nuovo, refrain immutato per i colori bianconeri: quarto periodo mortifero in casa contro Utah Jazz, in cui Hayward brutalizza Bogdanovic e decide il match. Non vanno meglio le cose in trasferta con i Pacers: sempre senza Lin, a riposo anche Hollis-Jefferson (che benissimo aveva fatto, nella prima sfida con Indiana, contro Paul George…), la difesa fa acqua da tutte le parti, imbarazzante, e la partita è segnata: sempre sotto, ancora metà del terzo quarto fatale, con l’allungo decisivo degli avversari. Si va in back-to-back contro Cleveland, i campioni, Tyron Lue si permette il lusso di fare pretattica, annunciando l’assenza delle stelle, che poi, invece, sono regolarmente in campo. Non c’è scampo per i nostri! Della sconfitta con Phila ho già detto e scritto fin troppo, mentre nulla c’è da dire o scrivere della gara contro Atlanta, senza storia! Tira aria di rassegnazione alla sconfitta. Le rotazioni ed i riposi scelti per i giocatori con minutaggio più alto appaiono discutibili. Le lacune tecniche sono enfatizzate dal confronto con i migliori, i difetti tattici sempre gli stessi… Si continua tra le mura amiche contro i Pelicans privi di Anthony Davies: l’assenza è pesante ed il piano partita interessante e ben disegnato, con tanta circolazione e buoni tiri dall’arco. Bene anche gli adattamenti difensivi ed il quintetto piccolo, finché non esce Whitehead per infortunio… Finiscono per latitare idee alternative, fioccano le palle perse (7 nel solo finale di gara!), si cede nuovamente alla tentazione degli isolamenti e delle conclusioni forzate, ancora errori nella scelta delle marcature e Tyreke Evans è libero di incanalare la partita a proprio piacimento, mentre un discreto, iniziale 6/14 da tre punti si tramuta in un disastroso 9/42! Intanto la società decreta il fallimento dell’esperimento Bennett (finirà al Fenerbahce) e firma con un decadale, pescandolo in D-League, il più dinamico, atletico e versatile Quincy Acy, che esordirà nella seconda del back-to-back a Toronto.
Dove, pur andando senza troppe pretese, i Nets sfornano un’ottima prova, giocandosela punto a punto fino all’ultimo quarto, quando deve rientrare DeRozan per imprimere la sferzata decisiva alla gara. Con i Rockets, invece, si decide di lasciare Lopez a riposo: senza l’asse play-pivot che tanto aveva fatto soffrire Harden e soci nella precedente sfida, neppure ci si prova ed i 137 punti concessi sono tutto dire… Si toccano, così, le 10 sconfitte consecutive (striscia 1-15), mentre Lopez è ufficialmente sul mercato (Marks chiede due prime scelte in cambio) e corre voce che anche Rondae Hollis-Jefferson sia pronto a fare le valige ove arrivi una valida offerta (d’altronde non è una scelta di Marks…). L’immediato remake, stavolta casalingo, contro Toronto, si rivela poco più di una disfatta: Lowry è a riposo, ma il sostituto Joseph e DeRozan combinano 69 punti in due e chiudono la contesa (indovinate un po’?) a metà terzo quarto. Ci si consola con le ottime prove di LeVert e RHJ, in evidente crescita di forma e fiducia, ma nulla che possa impensierire i leader della Division. Si parte per un altro back-to-back in tour ed a New Orleans arriva la partita che non ti aspetti, la gara perfetta in cui tutto gira come dovrebbe: attacco stellare (record di 143 punti!), difesa solida e piano partita perfetto, scegliendo di intensificare la pressione sul perimetro e “lasciando sfogare” Davies. Quando la star di casa esce per infortunio la partita è già segnata, ma poi non c’è più storia. Brilla il talento di LeVert…Manca poco che si infili la seconda vittoria consecutiva in quel di Charlotte, dove, sotto di 17, la panchina indovina uno smallball finalmente credibile su ambo i lati del campo, ancora grazie all’energia degli “swing brothers” RHJ-LeVert e del neoarrivato Quincy Acy, il cui utilizzo Atkinson doserà con parsimonia, ottenendo, in cambio, un concentrato di energia difensiva e precisione al tiro (le sue alte percentuali saranno determinanti per garantirgli la seconda conferma e, poi, la firma di un biennale!). Sarà lo starting five a giocarsela punto a punto negli ultimi frangenti di gara, tra sfortuna (un fallo di Foye che si trasforma in un “tiro da 4” grazie ad una palla letteralmente buttata in aria da Batum a meno di tre minuti dalla fine) e occasioni (palle) perse. È la superiorità in difesa degli Hornets, con i continui cambi difensivi accettati dai lunghi, a fare la differenza. Foye pare aver imboccato la strada giusta, l’aumento del suo minutaggio favorisce le
spaziature, accelera i ritmi, contribuisce al recupero della dimensione perimetrale dell’attacco (insisto: fondamentale per questi Nets)… oppure no? Nel giorno in cui i Nets pubblicano l’ennesimo aggravamento dell’infortunio di Lin (fuori altre tre-cinque settimane…) ci pensano le riserve di San Antonio, rinforzate da un incontenibile Lamarcus Aldridge, a far strame delle già flebili illusioni di Brooklyn: la gara dura 22 minuti, finché tre “catch and shoot” facili facili di Patty Mills non rompono l’equilibrio; nella ripresa Aldridge e Lee (troppo a lungo Lopez in marcatura su di lui!) fanno a pezzi la resistenza avversaria. Contro le grandi non c’è mai partita, consoliamoci, allora, con i vistosi progressi di Whitehead, al suo carreer high (19 punti)! Segue la sanguinosa debacle casalinga contro gli Heat, davvero emblematica della stagione: gara perfetta per tre quarti, passati a stropicciarci gli occhi di fronte a Lopez, che brutalizza Whiteside sui due lati del campo, al ball-handling di LeVert, ai progressi di Hollis-Jefferson, alla dinamicità del quintetto piccolo…negli ultimi 12 minuti si dilapida un vantaggio di 18 punti, non si attacca, non si difende, piovono triple… Lopez e Bogdanovic troppo a lungo in panchina, la sciocca insistenza su un Foye di nuovo ai minimi termini, LeVert chiamato a guidare l’attacco nei minuti decisivi della gara! Una vittoria certa buttata alle ortiche in nome delle rotazioni e degli esperimenti. Il sospetto si fa sempre più forte… A Cleveland, fuori Lin, Harris, e Booker per malanni, Lopez e LeVert a riposo, si va senza pretese e si fa una figura dignitosa grazie agli esterni, soprattutto ai progressi di Dinwiddie (11 punti, 3 assist, oltre 3 rimbalzi e meno di una palla persa di media nelle ultime cinque partite) e ancora Whitehead. Il mese, però, si chiude in modo pessimo anche sul piano del gioco. Con Minnesota ennesima imbarcata, lasciando che Towns faccia letteralmente ciò che vuole, al punto da indurre perfino il serafico e sempre positivo Atkinson ad amare riflessioni sulla difesa e sullo starting five nelle dichiarazioni post-partita. Una sferzata voluta e dovuta che, tuttavia, non produce gli effetti desiderati in quel di Miami, ove un’altra pioggia di triple seppellisce le speranze dei Nets, al solito partiti bene per poi crollare nella ripresa.
Note tecniche. Banale, ma doveroso, se si vuol fare un’analisi seria, partire dal grande assente: non avere a disposizione un giocatore capace di cambiare ritmo alla partita, dettare i tempi alla squadra, far girare la palla ed innescare l’uomo giusto, inventare una soluzione ove non c’è, o per lo meno chi lo faccia di mestiere, è un handicap troppo grande per una squadra giovanissima, priva di grandi stelle e votata, secondo la filosofia di gioco di coach Atkinson, ai ritmi alti ed alla circolazione! Jeremy Lin ha giocato solo dodici partite, alcune delle quali anche a basso minutaggio, ma era sicuramente tutto questo. Fuori lui, si sono susseguiti gli esperimenti: Whitehead PG, Kilpatrick PG, Whitehead da 1 ma affiancato da una SG che lo sgravasse anche della responsabilità del portare palla (Foye), Dinwiddie PG (a gennaio la soluzione più gettonata), palla a Lopez in post medio e thriple threat (soluzione di cui abbiamo ampiamente parlato nei numeri precedenti), certo… A gennaio, però, le soluzioni offensive alternative che più hanno avuto successo (se in un mese del genere è lecita questa fraseologia…) sono state il “penetra e scarica” con Bogdanovic protagonista e lo smallball, redivivo grazie all’ingresso in squadra di Acy e protagonista di alcuni dei migliori momenti di gioco fatti registrare dalla squadra nelle ultime uscite. Acy schierato da 5, con licenza di show e tiro da fuori (percentuali altissime, sia pure concentrate in poco più di dodici minuti di utilizzo medio), ha conferito energia su ambo i lati, essendo fisicamente in grado di marcare più ruoli. Così come Hollis-Jefferson, forse il più migliorato a gennaio, ormai schierato stabilmente da 4! Questo aggiustamento tattico ha permesso al ragazzo di giocare più vicino al canestro, implementando significativamente tanto le percentuali realizzative, quanto il contributo a rimbalzo (11 carambole il massimo stagionale fatto registrare dal #24), senza perdere efficacia difensiva. Il quintetto piccolo, composto di giocatori veloci e votati alla difesa sulle linee di passaggio, capaci di accettare tutti i cambi difensivi, ha tolto spesso il respiro agli attacchi, fatturando recuperi e contropiede. Quando, però, gli avversari di turno trovano le contromisure e riescono a servire la palla sotto son dolori! Già, perché la lotta a rimbalzo resta uno dei principali guai di questa squadra!Tornando lo schieramento tradizionale, tornano anche alla luce tutti i limiti difensivi di questi Nets, di burro contro il pick and roll. La difesa è sempre costretta all’aiuto, lasciando immancabilmente un tiratore libero sull’arco. Ecco spiegate le altissime percentuali dai 7,25 quasi sempre fatte registrare dalle squadre avversarie, spesso determinanti il parziale che spacca la partita e condanna Brooklyn alla sconfitta.
Quel barlume in fondo al tunnel. Eppure, e mi rendo conto di quanto possa apparire contraddittorio, a gennaio si sono visti progressi su questo fondamentale difensivo! Merito che va attribuito in egual misura al tecnico, noto specialista nello sviluppo dei playmaker, ed ai giocatori, nella fattispecie Dinwiddie (fino a metà mese non gli avrei dato un cent e benedicevo le sue uscite dal campo!) e Whitehead! Per quanto beffardo e doloroso possa sembrare, non si può non notare che, se Lopez, con tutti i suoi limiti difensivi, fa il suo lavoro sulla posizione, andando a chiudere i corridoi a canestro sul portatore di palla, i summenzionati stanno crescendo a vista d’occhio nel passare sui blocchi e scivolare sull’attacco al ferro, di cui sono buoni difensori!
I miglioramenti dei singoli. Nella situazione dei Nets in materia di scelte (lo ricordiamo: nessun controllo sulle prossime due prime), non ci sono molte alternative, per costruire il futuro, allo sviluppo dei giovani talenti già in roster, alla pesca dal sottobosco della D-League, all’uso dei Long Island per sperimentare nuovi atleti e inserire i più promettenti negli schemi e nella filosofia di gioco di Atkinson, in vista di eventuali scalate alla prima squadra (su questo non mi soffermo, riproponendomi un articolo a parte). E, in questo, va detto che si sta facendo un buon lavoro. Occorre andare oltre la frustrazione dei risultati, ma i progressi iniziano ad essere sotto gli occhi anche dello spettatore più deluso.
Whitehead. Terzo per assist a partita (e questo è senz’altro attribuibile all’elevato minutaggio) e sesto per palle rubate nella classifica dei rookies, nel mese di gennaio fa registrare un rapporto 3/1 assist/palle perse ed una percentuale media dall’arco del 39,3% (era al 28,3 a dicembre…). A vista d’occhio si nota la maggior padronanza nel ball handling e nella selezione delle scelte, nella lettura dei mismatch e nell’intesa con i compagni, in modo particolare con Hollis-Jefferson.
LeVert. Il ragazzo ci sa fare sul serio! Il mese di gennaio è, soprattutto, il suo mese, quello della sua esplosione, in cui riesce a catturare l’attenzione anche dei media e dei siti d’oltreoceano, quello in cui fa la sua comparsa negli highlights della Lega con giocate strabilianti (su tutte il crossover ai danni del povero Ellington, mandato per le terre, per poi concludere con stepback e tripla!). Assegniamo a lui senza ombra di dubbio la retina del mese! Passa da una media stagionale di 7,1 ppg in un impiego medio di 18,8 mpg (cifre insufficienti ad una convocazione al Rising Stars Challenge) ai ben più corposi 13 ppg, 4,5 apg ed il 46% da 3 nelle ultime partite del mese. Difende sul cilindro, sul portatore, soprattutto sulle linee di passaggio. Ha una buona meccanica di rilascio sugli scarichi, atletismo nell’attacco al ferro, sa creare dal palleggio per se e per gli altri… è il nuovo Antetokounmpo? Non scherziamo: non né ha il fisico, né il talento straripante, ma come lui è un esterno versatile e moderno ed in alcuni movimenti lo ricorda molto. E, soprattutto, ha margini di miglioramento incalcolabili! A partire dalla definizione del suo ruolo: sarà anche lui una moderna PG o la futura SG titolare, l’interprete dell’agognato 3&D o quello strano animale del futuro che risponde alla definizione di point forward? Presto per dirlo, ma certo: è il primo giocatore, da due anni a questa parte, che io abbia visto suscitare esclamazioni di ammirazione da parte dell’intero Barclays, che non fosse una star avversaria! Occhio a lui!
I limiti. Ci sono altre ragioni profonde da individuare, se non volessimo nascondere le vergogne stagionali dietro la foglia di fico dell’assenza di Lin? Decisamente si. E, paradossalmente, sono proprio gli exploit dei suddetti talenti ad evidenziarli: strabuzziamo gli occhi e ci spelliamo le mani di fronte a giocate da highlight, ma si tratta di fiammate il cui splendore pone ancor più l’accento sui difetti di continuità e di gestione dell’ordinario, soprattutto nei momenti nevralgici delle partite! Voglio sottolineare un dato: nelle gare conclusesi in volata, ovvero nelle quali i Nets siano entrati nella seconda metà dell’ultimo quarto in una situazione di sei o meno punti di scarto, il bilancio è 4W-18L! Eclatante! Ci dice che, su 47 gare, la metà sono ampiamente alla portata, ma quasi tutte vengono sciupate nel finale. Ed a guardarle in diretta, vi assicuro, fa ancora più male… Il perché va ricercato nei limiti strutturali dei Nets di questa stagione: in rebuilding dichiarato, Marks ha giustamente ringiovanito parecchio il roster, alleggerendolo dei contratti pesanti e arrischiando parecchie scommesse. Buone pesche in D-League (aspettiamocene altre), la cessione di Taddeus Young per arrivare a LeVert (da applausi, se pensiamo anche alla buona riuscita del sostituto naturale Trevor Booker), giocatori firmati al minimo ed in cerca di rilancio nella Lega. Risultato: un mucchio di materia grezza da plasmare. Lo si sta facendo? Si, come abbiamo visto. L’impiego dei rookies sta andando ben oltre le necessità contingenti ma, ad oggi, questa è una squadra zeppa di role players, giocatori situazionali il cui sviluppo richiede tanto lavoro in palestra, ma anche esperienza sul campo! Ed il cui successo sportivo necessiterebbe del perfetto incastro di tutta una serie di rotazioni azzeccate e di circostanze favorevoli, il che, purtroppo, si verifica molto raramente. Ecco affiorare prepotente il sospetto che ci ha accompagnato lungo la narrazione dell’intero mese di gennaio: la sensazione, neppure troppo vaga, è che, dopo il secondo infortunio di Lin, la stagione 2016-17 sia stata trasformata in un training camp a tempo indeterminato, in un torneo amichevole da 82 gare in cui la precedenza viene data alla ricerca di gioco, progressi tecnici ed esperimenti tattici, mentre il risultato finisce in secondo piano, o per lo meno si accetta il rischio di comprometterlo per permettere ai ragazzi in campo di maturare facendo esperienza senza la pressione della vittoria. Solo leggendo in quest’ottica le scelte di Atkinson, l’ostinazione con cui ha schierato Bogdanovic sul go-to-guy avversario, la palla in mano ai più giovani nei finali caldi, i rientri in campo tardivi dei giocatori con più punti nelle mani, fanno il paio con le sue dichiarazioni sempre positive ed acquistano un senso…Sguardo costantemente a dritta verso il futuro, dunque, ma è chiaro che questo penalizza oltremodo la squadra…
Il mercato incombe…perché a questi Nets mancano senz’altro un mucchio di cose, soprattutto un credibile e ben definito quintetto titolare, ma le tare strutturali restano, a mio parere, la mancanza di peso a rimbalzo, in difesa e…nelle scelte ai draft 2017 e 2018! All’assenza cronica di playmaking si pone riparo tamponando con ciò che c’è, aspettando il rientro di Lin; alla lacuna sul perimetro si sta cercando di ovviare ritagliando spazi sempre maggiori per LeVert, il miglior prospetto in chiave 3&D; alle difficoltà nel fronteggiare i 4 atletici e tecnici delle squadre avversarie si è fatto fronte dirottando spesso RHJ nel ruolo e con l’innesto di Acy… Dove proprio non si trovano soluzioni è nella lotta a rimbalzo (si è arrivati a superare i 20 rimbalzi offensivi concessi!) e nella difesa sul bloccante nel P&R, ove non si intravedono alternative al già citato lavoro di posizione di Lopez! Un centro capace in questi fondamentali e dalle mani educate ed un paio di prime scelte per i prossimi due anni dovrebbero essere gli obiettivi di mercato, al quale ormai si guarda con ansia ed aspettative crescenti. Perseguirli ha un prezzo molto doloroso e significa mettere sul piatto innanzitutto i propri pezzi più appetibili, coloro che sono cresciuti abbastanza da poter figurare nel contesto di contender con ruoli ben definiti, ma troppo poco per farne pietre angolari della ricostruzione. Stiamo parlando di Brook Lopez e Bojan Bogdanovic! Il primo ha aggiunto anche la dimensione perimetrale al suo gioco offensivo ed è, ad oggi, a mio parere, tra i cinque migliori attaccanti lunghi della NBA. Resta, tuttavia, un difensore mediocre e con l’enorme limite a rimbalzo! Un centro che difenda poco e sportelli ancor meno può senz’altro starci, con quelle mani tanto morbide, ma non può assurgere, come auspicato in passato, a uomo-franchigia! Il suo contratto è molto oneroso, ma scambiarlo per un buon ritorno sarà la prova del fuoco per il neo-GM di Brooklyn! La situazione del croato è differente: dopo aver suscitato grandi aspettative al torneo olimpico, le speranze di un salto definitivo di qualità, magari favorito dalla nuova filosofia di gioco impressa alla squadra, sono state largamente disattese (meno di 5 tentativi a partita dall’arco sui quasi 33 di squadra, fermo al 36%, 44% totale dal campo). Resta il più pericoloso fuciliere del roster, ma certo non l’unico e neppure il più futuribile. E, soprattutto, difficile farne un titolare inamovibile, stanti le sue statistiche difensive che ne fanno l’anello debole di una squadra già non eccelsa nella propria metà campo. Quest’estate, con gli assalti falliti a Tyler Johnson e Crabbe, Marks aveva già lasciato intendere di puntare ad altro in quel ruolo, ma poi…Atkinson ci ha provato, ma i piccoli progressi registrati sono certo insufficienti tanto a farne un punto di riferimento per il futuro, quanto a giustificare una dispendiosa estensione la prossima estate, quando diventerà RFA. Occorrerà rischiare ed aggredire una deadline ormai alle porte e che sarà il motivo d’interesse principale, per i fan dei Nets, nel prossimo appuntamento di febbraio. Qui si parrà la tua nobilitate, Sean…