Coppa Italia LNP in archivio. Tre giorni di partite che ci hanno permesso di vedere a confronto girone Est e girone Ovest per la prima volta a stagione in corso, dopo la Supercoppa di inizio campionato, però molto meno significativa da questo punto di vista. In finale sono arrivate le due squadre attualmente in vetta alle due classifiche, certificando, in un certo senso, quando mostrato fino ad oggi sul campo. Ha vinto la Virtus Bologna. Poteva tranquillamente, e altrettanto meritatamente, vincere Biella. MVP Spissu. Poteva tranquillamente, e forse anche più meritatamente, essere Mike Hall.
Ma in queste righe l’attenzione è per quello che è stato fuori dal campo. Che ha lasciato, più o meno a tutti, addetti ai lavori o no, un retrogusto amaro in bocca.

Uno dei comunicati stampa di Unipol Arena
Già, perché LNP veniva da un biennio di Coppa Italia estremamente produttivo, con Rimini come location. Organizzazione impeccabile (con tanto di emissari della ACB l’anno scorso in loco per vedere e prendere spunto), buon coinvolgimento del pubblico (sempre tasto problematico in una competizione dove sono coinvolte più squadre da tutta Italia) ma soprattutto tanto e tanti eventi collaterali a quello che è stato il basket giocato.
Perché, se è vero che come trofeo in sé la Coppa Italia LNP conta il giusto, e semmai serve più che altro alle squadre per farsi un’idea della propria forza in ottica playoff, allora è necessario qualcosa che vada oltre al semplice basket giocato per dare un reale valore a questa tre giorni.
E, obiettivamente, quest’anno non c’è stato nulla o quasi di tutto ciò. O meglio, non è sembrata esserci la volontà di dare quel quid in più all’evento, in un susseguirsi di scelte che hanno ballato pericolosamente tra il poco felice e l’autolesionistico. A partire dai finti comunicati stampa dove si sbandieravano dei, chiaramente inventati, 15.000, quando non 20.000, spettatori, in arrivo da tutta Italia, in sostanza per una ripicca contro l’organizzazione della Final Eight di Coppia Italia di serie A, rea, seconda l’organizzazione di Unipol Arena, di aver dichiarato numeri gonfiati relativi alle presenze di spettatori della quattro giorni riminese.
Continuando con una politica di prezzo, per quanto riguarda la Coppa Italia di A2, quanto meno singolare: nella giornata dei quarti di finale ingresso unico a venti euro per le prime due gare (Biella-Mantova e Treviso-Roma), prezzi diversi, invece, per le seconde due (Legnano-Trieste e, soprattutto, Virtus Bologna-Agrigento) con il chiaro intento di lucrare sull’affluenza degli spettatori bolognesi sponda Virtus. E i prezzi andavano dai 20 euro per una gradinata, passando per i 40 di un distinto, 60 o 80 in tribuna e 100 in parterre. Prezzi replicati poi per semifinali e finali, dopo l’emissione di un comunicato stampa che intimava gli amanti del basket a pagare e a non richiedere biglietti omaggio (cosa, peraltro, totalmente legittima).
Il risultato è stata una Unipol Arena con un bel colpo d’occhio solo per la Finale, mentre negli altri giorni l’effetto deserto, attorno al campo, è stato abbastanza sconfortante. Vero, come detto, che il grande problema di questi eventi sia riuscire a riempire le gradinate. Ma di sicuro le cifre richieste per assistere alle partite non hanno aiutato.

Il post Facebook che ha campeggiato per una mezz’ora sul maxi schermo (foto dalla pagina Facebook di Dario Ronzulli)
Alla vigilia della competizione, poi, una trentina di giornalisti che, all’inizio della settimana, avevano ricevuto regolare conferma di accredito stampa, si sono visti comunicare la revoca dello stesso, con proposta di acquisto di un tagliando di tribuna in cambio. Scelta decisamente di cattivo gusto, se non altro perché buona parte di questi colleghi, giungendo da fuori Bologna, aveva già organizzato il week end per rimanere in città, con prenotazioni, spese di tempo e denaro. Rifiutare l’accredito stampa da subito sarebbe stato sacrosanto da un lato e molto più rispettoso del lavoro altrui dall’altro. La passione si paga, ma il buon gusto non si compra al mercato, verrebbe da dire.
Come ha dimostrato anche la scelta di mettere a bordo campo i ragazzini addetti alla pulizia del campo vestiti con maglie da gioco della Fortitudo Bologna, un gesto da ricondurre all’ambito della rivalità cittadina con la Virtus Bologna. Cittadina appunto, non certo nazionale, come nazionale era il contesto in cui si svolgeva la manifestazione. Una goliardata per molti. Una forzatura abbastanza antipatica per altri. Di sicuro una scelta di cui non si sentiva il bisogno.
Come non si sentiva esattamente il bisogno di mostrare, per una buona mezz’ora, sul maxi schermo sopra al campo, un post di Facebook con cui il responsabile di un sito cestistico abbastanza noto muoveva una serie di appunti all’organizzazione dell’evento. Altra ripicca verrebbe da dire infantile che, sommata al resto, non ha proprio dato un tocco professionale e di serietà al tutto.

Il malcontento non è stato solo tra gli addetti ai lavori
D’altronde, non si può dire che chi ha dovuto lavorare per raccontare l’evento l’abbia potuto fare nelle migliori della condizioni, tra postazioni scarificate (non certo per fare posto a un pubblico numerosissimo…), connessioni internet ballerine e sale stampa arrabattate.
Il contorno di eventi scelti, poi, è sembrato quanto meno ridotto al minimo (un clinic per allenatori con Luca Banchi e Luca Dalmonte, una piccola Fan Zone, un incontro col presidente Petrucci per i tifosi), figlio più di un obbligo che di una reale volontà di arricchire l’evento con qualcosa che potesse veramente aggiungere valore per lo spettatore. Si è rimasti così aggrappati alla speranza che la Virtus Bologna arrivasse alla finale per garantire una minima entrata di pubblico e non mostrare sugli schermi di Sky un’arena semi deserta per la partita conclusiva, considerato che, al di là della partita in campo, nulla era presente che potesse invogliare lo spettatore a partecipare. Elemento, invece, da sempre cruciale per eventi del genere e che, come ha dimostrato proprio la Final Eight di Coppa Italia di serie A quest’anno, fanno la differenza tra un semplice susseguirsi di partite e un qualcosa di più ampio che coinvolga maggiormente lo spettatore pagante.
Per chiudere in bellezza, poi, è arrivato il comunicato stampa finale, forse ancora più delirante dei primi, tra richiami alla presenza di Morgan Freeman e ai soliti numeri di spettatori fuori da ogni logica.

Testimonianze dai social
Resta, insomma, il rammarico per quella che è parsa davvero una grande occasione gettata al vento da una Lega che negli ultimi anni, nel suo piccolo, aveva lavorato molto bene e quest’anno, comunque, sta continuando a farlo. Non è stata sfruttata a dovere una vetrina di enorme potenziale (anche lo sponsor Turkish Airlines garantiva un nome di richiamo), forse non solo per colpe proprie e per cause contingenti. La speranza è che un passo falso non blocchi una marcia che fin qui è stata assolutamente positiva e che, come si è soliti dire in questi casi, dai propri errori si possa imparare qualcosa a partire dal futuro prossimo.