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13/06 03:00 | ![]() |
GOLDEN STATE WARRIORS | 129-120 | CLEVELAND CAVALIERS | ![]() |
33:37, 71:60, 98:93 |
Golden State batte Cleveland 129-120 in gara-5 e conquista il quinto titolo della sua storia, il secondo negli ultimi tre anni.
Kevin Durant nominato MVP delle Finals dopo i 39 punti decisivi per conquistare il primo anello della sua carriera. LeBron James lascia con l’onore delle armi: 41 punti, 13 rimbalzi e 8 assist per lui nella sconfitta.
Allo scoccare dell’ultima sirena della stagione 2016-17, rimane una sola grande verità: ha vinto la squadra più forte di questa annata e dell’ultimo triennio di basket NBA. Dopo il titolo del 2015 e la finale persa a gara-7 lo scorso anno, i Golden State Warriors conquistano il secondo anello in tre anni, il quinto della loro storia dopo quelli del 1947, 1956 e 1975, vincendo 129-120 una selvaggia gara-5 contro i Cleveland Cavaliers.
È il secondo titolo per questo gruppo storico, ma soprattutto il primo per l’MVP di queste Finals 2017, Kevin Durant: 39 i punti per lui con 14/20 al tiro, 5/8 da tre punti, 6/6 ai liberi, 7 rimbalzi, 5 assist e una serie di canestri veramente tramortenti per il morale dei Cavs, prima ancora che per il punteggio.
Ad accompagnarlo nella conquista del primo, agognato anello della carriera anche i 34 punti di Steph Curry, non in grande serata dall’arco (2/9) ma eccellente nell’attaccare il ferro (12/15 ai liberi) e nelle piccole cose, dai 6 rimbalzi e i 3 recuperi ai 10 assist che hanno apparecchiato la tavola per tutti gli altri.
Draymond Green e Klay Thompson non ne hanno approfittato, chiudendo con 7/23 combinato al tiro per 21 punti, ma hanno difeso come sempre fino alla morte e, in una serata trionfale per Golden State, è stata anche la panchina a dare un enorme contributo alla squadra, guidati dai 20 punti di Andre Iguodala (monumentale anche in difesa e +18 di plus-minus, pari con Green come top di squadra) ed altri 15 dei vari Livingston, McCaw e West.
È anche il secondo titolo per coach Steve Kerr, che ha sofferto le pene dell’inferno dopo i tantissimi problemi alla schiena che lo hanno costretto a lasciare la panchina degli Warriors per ben 11 partite in questi playoff, pareggiando il minor numero di sconfitte di sempre: 16 vittorie, una sola sconfitta.
Dopo la sconfitta in gara-5, LeBron James non ha niente da rimproverarsi dopo una serie in tripla doppia di media: “Loro sono stati la miglior squadra degli ultimi tre anni, noi non siamo un superteam”.
“Ho lasciato tutto quello che avevo in campo, non ho nulla da rimproverarmi”.
Basterebbero queste parole, le prime pronunciate da LeBron James in conferenza stampa dopo la sconfitta in gara-5 contro i Golden State Warriors, per commentare la sua serie. Avrebbe anche potuto limitarsi a citare queste cifre: 33.6 punti, 12 rimbalzi e 10 assist, il primo giocatore di sempre a tenere una tripla doppia di media in una serie di finale.
Oppure indicare tutti i minuti che ha giocato per dare una chance alla sua squadra, tutte le volte in cui ha attaccato il ferro mandando in crisi la miglior difesa della lega, o tutte le volte che ha messo i suo i compagni in condizione di segnare.
O anche il fatto che, in una serie persa 4-1 contro una delle migliori squadre di sempre, nei 212 minuti passati con lui in campo i Cavs hanno perso solamente di 12 punti.
“Ho dato tutto quello che avevo e non è bastato: è come se tu scrivesti il miglior pezzo della tua carriera e qualcuno scegliesse un altro al posto tuo. Tu come ti sentiresti?” ha continuato James rispondendo direttamente al giornalista che gli aveva chiesto come si sentisse dopo la sconfitta.
Il Re, come sempre fatto nell’ultimo triennio, non ha mancato di sottolineare quanto fossero forti i suoi avversari:
“Golden State è stata la miglior squadra della nostra lega negli ultimi tre anni e la migliore di questa stagione. Lo hanno mostrato di nuovo in questi playoff. Eppure neanche una volta ho pensato che potessero sopraffarci, almeno fino a quando ho guardato in alto e a un minuto e 20 dalla fine eravamo sotto di 13. A quel punto mi sono detto: ‘Ok, abbiamo lasciato tutto in campo e ancora non è bastato’”.
Paradossalmente, il titolo dello scorso anno ha finito per creare a James un problema ancora peggiore rispetto a quanto non fossero gli Warriors prima dell’arrivo di Durant – ed erano già una squadra da 73 vittorie in regular season:
“L’anno scorso siamo riusciti ad avere la meglio, e loro hanno preso uno dei migliori giocatori che questa lega abbia mai visto. Perciò hanno fatto un grande lavoro, sia da parte della dirigenza che dei giocatori, per reclutarlo durante l’estate: ovviamente ha pagato grossi dividendi”. Eppure James non ha potuto fare a meno di aspettare Kyrie Irving nei corridoi della Oracle Arena per mettergli un braccio attorno al collo, come farebbe un fratello maggiore, e dirgli solamente: “Torneremo qui, tu e io. Torneremo qui”. Una dichiarazione di intenti per quella che sarà la sua 15esima stagione nella NBA, da vivere ancora a Cleveland – ha un anno di contratto a 33.2 milioni di dollari, mentre dovrebbe uscire dall’accordo per diventare free agent nell’estate 2018, con la possibilità di firmare un contratto migliore –, ma per la quale non ha voluto elaborare nel post-gara: “Personalmente, devo fare un passo indietro e considerare tutta la situazione. Ho messo tutto il lavoro che dovevo fare nelle sale video, nella mia testa e nel mio corpo ogni singolo giorno, preparandomi con tutto me stesso per affrontare qualsiasi ostacolo che ci si ponesse davanti come squadra. Questo risulta sempre in un titolo NBA? No. È il mio terzo anno qui e non abbiamo vinto ogni singola partita. Così come non abbiamo vinto ogni finale, ovviamente. Ne abbiamo perse due. Ma come dico sempre a me stesso: se pensi di averci messo tutto il lavoro necessario e aver lasciato tutto in campo, allora puoi sempre spingere in avanti e mai girarsi verso il passato”.
Questo però non ha impedito a James di fare un po’ il bilancio di fine anno dei suoi Cavs:
“Abbiamo avuto buoni e cattivi momenti, ma la cosa più grande di questa stagione è che non siamo riusciti a essee sani se non quando i playoff erano ormai dietro l’angolo. Poi abbiamo mostrato di cosa siamo capaci quando ci siamo tutti, e sarebbe stato bello poterlo vedere lungo tutta la stagione per costruire la giusta chimica di squadra, senza dover aspettare aprile. Poi siamo riusciti a premere l’interruttore giusto, ma quelle partite a novembre e gennaio che secondo la gente non sono importanti, per me lo sono e per la nostra franchigia. Però non fa nulla, siamo riusciti a vincere la Eastern Conference senza il fattore campo contro Boston e arrivare in finale: come individuo e come squadra, è tutto quello che puoi sperare di avere – un’opportunità. Solo che poi siamo incappati in una delle migliori squadre ai playoff che questa lega abbia mai visto e non siamo riusciti a ottenere quello che volevamo. Ma non è mai una stagione fallimentare quando ci metti tutto il lavoro che abbiamo messo noi sin da fine settembre”.