Premessa: io mi sono formato l’idea sui giovani alla scuola slava, ex Yugoslavia per intenderci dove un giovane se è capace deve stare in campo nella massima serie del campionato anche se ha 17 o 18 anni. E sono d’accordo con quelle Federazioni, tipo la Spagna o la Russia che impongono alle società di far giocare un tot numero di giocatori di nazionalità in campo nei 40 minuti di ogni partita. E per me a 22 anni un giocatore smette di essere giovane.
Detto questo parliamo di qualità di preparazione, di allenamenti fatti benissimo sin dalla più tenera età. Di un lavoro comune di tutti per il bene comune del movimento, di una programmazione che non cambia ad ogni nuovo allenatore della Nazionale, di Federazioni che sanno quale sia la strada giusta per arrivare ai vertici e rimanerci e che sanno affrontare anche i momenti difficili senza dare la colpa ad altri o agli arbitri.
Detto anche questo parliamo dell’Italia. La recente medaglia d’argento della Nazionale U19 ai Mondiali d’Egitto è certamente un successo da festeggiare. Ma… cerchiamo di essere onesti. E’ incredibile che gli Stati Uniti, che hanno vinto questa competizione sei volte su 13, non siano riusciti ad allestire una formazione più forte del Canada che era composta da ragazzi che studiano nei college americani. Non ‘cerano alcune importanti squadre dell’est europeo tipo Serbia e Lituania, solitamente fortissime a questo livello e che infatti stanno facendo benissimo agli europei U20 a Creta. Noi siamo stati bravissimi ad inserirci in questo “vuoto di potere” e per tanto dobbiamo battere le mani a Capobianco ed ai suoi ragazzi. Ma…di nuovo la domanda è: queste nazionali a che servono? Quanti di questi ragazzi hanno una sola chance di essere chiamati da Messina o dal prossimo CT per una partita?
Questo secondo me coinvolge l’intero sistema mondiale della pallacanestro: i campionati internazionali U19, U20 sono inutili. Io, e non solo, ritengo che gli unici tornei anche a livello nazionale che abbiano un senso siano quelli U16 ed U18. Per una ragione tecnica e fisica: a 15/16 anni i ragazzi sono usciti dalla prima fase post minibasket e si possono valutare i progressi a livello tecnico-tattico che hanno fatto. A 17/18 oltre alle questioni tecniche e tattiche si riesce anche a dare una valutazione fisico atletica che potrebbe essere utile per il futuro. Anche perché proprio in chiave futuro questi ragazzi non hanno domani: il campionato U20 non ha senso così come è strutturato e nelle loro società non giocano, fanno panchina, vengono usati solo per fare il numero richiesto di “Under” e spesso vengono bruciati. Dimostrazione?
La tabella che ha orgogliosamente pubblicato l’indomani dell’argento de Il Cairo la LNP a proposito degli otto ragazzi della A2 che componevano quella squadra e che riporto fedelmente:
“Parallelamente, LNP rivolge un doveroso riconoscimento ai Club nei quali 8 dei 12 atleti saliti sul podio hanno avuto spazi importanti, nell’ambito degli obiettivi sportivi perseguiti nella stagione. Consentendo loro momenti di crescita e maturazione nel corso dell’ultimo campionato di Serie A2.
Li ricordiamo:
– Lorenzo Bucarelli (1998, ala, Soundreef Mens Sana Basket 1871 Siena): 18 presenze, 345 minuti giocati, 19.2 di media gara, inserito nel quintetto ideale ai Mondiali U19;
– Davide Denegri (1998, guardia, Novipiù Casale Monferrato): 27 presenze, 469 minuti giocati, 16.9 di media in stagione regolare, 20.3 nelle quatto gare di playoff;
– Federico Massone (1998, play, Angelico Biella): 19 presenze, 109 minuti giocati, 5.7 di media;
– Andrea Mezzanotte (1998, ala/centro, Remer Treviglio): 18 presenze, 74 minuti giocati, oltre 4′ di media in stagione regolare e nei playoff; aggregato alla Nazionale U20 per gli Europei;
– Tommaso Oxilia (1998, ala, Segafredo Virtus Bologna): 29 presenze, 358 minuti giocati, di cui 13.4 di media in stagione regolare, inserito nel quintetto ideale dei Mondiali U19, aggregato alla Nazionale U20 per gli Europei;
– Alessandro Pajola (1999, play, Segafredo Virtus Bologna): 27 presenze, 244 minuti giocati, di cui 9.9 di media in stagine regolare;
– Lorenzo Penna (1998, play, Segafredo Virtus Bologna): 24 presenze, 446 minuti giocati, di cui 14.3 di media in stagione regolare e 7.5 nei playoff;
– Alessandro Simioni (1998, centro, Alma Pallacanestro Trieste 2004): 39 presenze, 310 minuti giocati, di cui 8.3 di media in stagione regolare, 13.0 nei playoff.
Complessivamente, i rispettivi allenatori di Club hanno concesso loro 2.355 minuti in campo: pari ad oltre 7 partite a testa da 40 minuti in campo. Un vissuto che li ha certamente resi più pronti a vestire la maglia azzurra, affrontando le difficoltà di un Mondiale”.
Si commenta? No, non si commenta. Meglio ricordare che le tre sconfitte consecutive subite dalla Nazionale Under 20 agli Europei in corso a Creta (salvo poi il fatto che la competizione potrebbe chiudersi in un trionfo) si inseriscono nel quadro delle grandi difficoltà che a livello internazionale la nostra squadra più grande, l’ultima a livello giovanile ha sempre incontrato sul suo cammino. Perché se è vero che in campo continentale abbiamo portato a casa due ori, due argenti ed un bronzo (l’ultimo oro risale al 2013) a livello di Mondiali registriamo una sola partecipazione, con un quarto posto ma nel 1993. E con quella che era una signora squadra: Abbio, Calbini, Bonora, Fucka, De Pol, Ruggeri, Monzecchi, Alberti, Portaluppi, Frosini, Casoli. Per i più giovani si tratta di giocatori che hanno avuto una carriera importantissima tanto in serie A1 come si chiamava allora con scudetti e Coppe dei Campioni, quanto in Nazionale senior con ori ed argenti.
Il punto di rottura per noi, e per altre nazioni, è stato il 15 dicembre del 1995, ovvero il giorno in cui fu emessa la sentenza Bosman. Anche qui riassunto per i più giovani . Da Il Post:” Nel 1990 Jean-Marc Bosman aveva 26 anni e giocava a calcio con il Royal Football Club Liegi, una squadra che allora disputava il campionato di prima divisione belga. Quello era il suo ultimo anno di contratto con la squadra e Bosman desiderava trasferirsi a fine stagione all’USL Dunkerque, squadra della seconda divisione del campionato francese. Il Liegi però non permise a Bosman di trasferirsi perché l’indennizzo proposto dal Dunkerque non fu ritenuto sufficiente: all’epoca, infatti, le squadre che volevano tesserare un calciatore dovevano pagare una cifra alla sua squadra anche se il suo contratto con quella squadra era scaduto. Il mancato accordo però ebbe diverse importanti conseguenze: Bosman venne messo fuori squadra e gli fu ridotto l’ingaggio. Fece causa contro l’RFC Liegi, contro la federazione calcistica belga e anche contro l’UEFA; si rivolse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo e la disputa si concluse definitivamente solo cinque anni dopo, il 15 dicembre del 1995, cambiando radicalmente il calcio europeo.
La corte diede ragione a Bosman e stabilì che le procedure usate fin lì dalle società di calcio per gestire la compravendita di giocatori e dei loro contratti costituivano una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, prevista dall’articolo 39 del Trattato di Roma, che nel 1957 aveva istituito la Comunità Economica Europea. Da quel giorno a tutti i calciatori europei fu consentito trasferirsi liberamente da una squadra europea all’altra al termine del proprio contratto, e firmare un pre-contratto con un altro club nei sei mesi precedenti la scadenza di quello in vigore con la propria squadra. La corte stabilì inoltre che il limite di giocatori stranieri ingaggiati da un club, restrizione all’epoca in vigore in molti paesi, avrebbe dovuto escludere i giocatori comunitari: non si sarebbe più potuto discriminare tra cittadini di paesi europei, insomma”.
Da quel momento, specie in Italia le società più “offuscate” hanno preferito prendere giocatori europei o con passaporto europeo piuttosto che formarsi i giovani in casa con la scusa che questi ultimi costano troppo a fronte di un giocatore già pronto, anche se – aggiungo io – molto più scarso. Così per dieci anni dal 1995 al 2015 la Nazionale italiana U19 non è andata ai Mondiali saltando cinque edizioni perché nel frattempo l’intervallo tra una manifestazione e l’altra è diventato biennale. E qui il nostro palmares è più ristretto: argento 1987 a Bormio, bronzo 1991 ad Edmonton, argento 2017 Il Cairo.
Anche qui il futuro dei componenti delle squadre del 1987 e del 1991 è stato piuttosto roseo visto che si è trattato di Calbini, Portaluppi, Anchisi, Fucka, De Pol, Semprini, Ruggeri, Abbio, Alberti, Semprini, Cesari, Londero, Frosini, Bonsignori, Brusamarello, Gentile nando, Pittis, Aldi, Rusconi, Niccolai, Zeno, Pessina, Ballestra, Tolotti, Savio, Palmieri, mischiando le due squadre.
Ma per chiudere il discorso e fare un primo paragone vediamo che cosa stanno facendo oggi quelli del 2013, oro agli Europei Under 20: a 24 anni i soli Della Valle, Tonut, Abbas giocano in Lega A i primi tre anche con ruoli e minutaggi importanti nelle rispettive squadre – Tonut è Campione d’Italia con Venezia con Laganà, Monaldi, Lombardi, Cefarelli che sempre in Lega A fanno panchina sostanzialmente – mentre Imbrò, Ruzzier, Chillo, Landi, Fallucca (in ordine decrescente di minutaggio) giocano in A2. Insomma una buona generazione con due ottimi giocatori, Della Valle e Tonut ma per ora, e ripeto hanno già 24 anni, niente di più.
Dunque? E’ chiaro che servirebbe una rivoluzione a livello Fiba di tutto questo discorso ma nel piccolo l’Italia potrebbe anche cominciare a far qualcosa. Ridurre i campionati giovanili, U16 ed U18 per esempio, oppure garantire che il campionato U20 sia un campionato vero al quale prendono parte tutte le società di serie A, con incentivi economici importanti, imponendo la presenza in campo tanto in Lega A quanto in A2 di un Under italiano per tutti i 40 minuti della partita ( ed eventuali supplementari) senza possibilità di sconti con le multe. Insomma tirando fuori delle idee che rendano il movimento giovanile appetibile per tutti ed utile.
Eduardo Lubrano