Questa è una storia, quella di Karam Mashour, che va raccontata con delicatezza e con dolcezza, perché va oltre lo sport ma può fare molto bene allo sport. Non solo a quello della pallacanestro. Proviamoci.
Il 9 agosto del 1991 il nostro eroe nasceva a Nazareth, la storica città della Galilea, quella dove visse la maggior parte della sua fanciullezza ed infanzia Gesù Cristo e dove avvenne l’Annunciazione. Lì la popolazione, araba israeliana è composta in maggioranza – circa il 70% – da musulmani e per il resto da cristiani.
Karam fino ai 13 anni non sa che fare perché in quel posto così importante tutti giocano a calcio ma suo fratello Saher e lui non hanno voglia di tirar calci ad un pallone. A 13 anni proprio il fratello gli fa vedere su YouTube un programma sulle stelle NBA: Michael Jordan, Kobe Bryant, Vince Carter e d Allen Iverson. Troppo facile: Karam ovviamente si innamora della palla a spicchi e comincia a giocare nel vicolo dietro casa dei suoi genitori e della nonna. Il primo ferro con retina lo comprano, lui e Saehr ad Haifa 30 miglia (48 chilometri circa). E quando a Nazareth sanno che quei due giocano a basket gli chiedono “Perché?”. La vita per un ragazzo che vuole giocare a pallacanestro da quelle parti è difficile: il basket dicono abbia contribuito a rendere più americana Israele (che è un paese che vive di basket) ma non è proprio così nelle zone arabe del paese.
Così la squadra più organizzata, l‘YMCA e più vicina è a circa mezz’ora di autobus – e non proprio con le nostre strade ed i nostri pullman – per Karam che però insiste, il basket è il suo sport. Tanto che a 18 uno zio d’America, le favole ogni tanto sono reali, gli dice di fare il salto fino a Las Vegas per poter mettere a frutto le sue qualità nel frattempo diventate interessanti. Un attimo e Karam è lì: 2 stagioni all’University of Nevada Las Vegas con coach Lon Kruger. Poi quando questi si sposta altri due anni a Morehead State in Kentucky.
Il ragazzino è diventato grosso e bravo: 1 metro e 96 con tanto atletismo ed una voglia di schiacciare che se lo porta via. D’altronde per uno che ha imparato a saltare sulla terra di un vicolo di Nazareth… Nel 2015 il ritorno a casa al Bnei Herzliya, una squadra della città di Herzliya nel distretto di Tel Aviv dove ha giocato per due anni, mettendosi in mostra come uno dei migliori della Lega. Soprattutto nell’ultima stagione tanto da guadagnarsi la chiamata del Maccabi della capitale, e quella in nazionale. Dove però ci sono ancora dei dubbi a causa di un infortunio alla spalla.
E qui si dimostra quanto l’IBA, la Federazione Israeliana di Basket tenga alla vicenda Mashour in tutte le sue sfaccettature: dopo avergli chiesto di tornare a farsi curare in Israele ed aver incassato il no del giocatore che ha risposto di volersi fermare in America, i dirigenti federali hanno sorvolato senza insistere più di tanto. Vedremo. Intanto questa storia riporta l’attenzione sul fatto che grazie a Karam Mashour si sa che dei 35mila tesserati alla federazione israeliana, su una popolazione di poco più di 8 milioni di abitanti, il 10 per cento sono arabi. Che in Palestina esiste un certo movimento cestistico – magari alcuni lo sapevano già – e che forse per la prima volta vedremo un arabo israeliano con la maglia biancoblu di Israele.
Sarebbe un fatto storico altamente significativo per cui tutti speriamo che accada.
Eduardo Lubrano