Julyan Stone (nomen omen…), gigantesco playmaker, pilastro della Reyer neo-campione d’Italia e finalista di Champions League, fresco di rinnovo biennale con la società lagunare, ha già fatto le valigie: si, le valigie, in barba ad ogni contratto, nonostante la finestra di uscita per la NBA fosse già scaduta da tempo. Una lettera di scuse, la giustificazione (sulla quale non sindachiamo, per carità) della malattia del padre, una penale da pagare alla società sedotta ed abbandonata e tutti (quasi) contenti. Destinazione, Charlotte Hornets, ove sarà, verosimilmente, il terzo play, con qualche minuto in missione difensiva.
Brad Wanamaker, esplosivo metronomo del Darussafaka campione uscente di Turchia (ex Teramo, Pistoia…), conteso anche dal Fenerbahce neo-campione d’Europa, pare invece destinato ad Oklahoma City, nonostante un contratto ancora in essere che non prevede clausole NBA-escape. Probabile che la lunga querelle finisca con una corposa contropartita economica per i turchi, in cambio dello scioglimento del contratto stesso, per fare la ruota di scorta a Russell Westbrook.
Due casi controversi, forse eccezionali, per ora, ma certo indicativi di come nulla, neppure i vincoli legali o burocratici, riescano a porre un freno all’ondata di ritorno verso la “terra promessa” americana che pare aver preso inesorabilmente piede questa estate.
Alle loro spalle, pur con modalità più “ortodosse”, pronto a salpare c’è un piccolo esercito di uomini, giovani e veterani: dal più importante di tutti, Milos Teodosic, forse il miglior giocatore al mondo fuori (finora) dalla NBA, al giovane prospetto Frank Ntilikina, eletto dai Knicks all’ottava chiamata assoluta, passando per Shane Larkin (Boston, dopo un solo anno di purgatorio in Spagna) e, last but not least, Mike James (altra vecchia conoscenza degli sportivi italiani), forse il più emblematico di tutti: reduce da un’annata di alto livello, in Grecia ed in Eurolega, con il Panathinaikos, ciò non è bastato a trattenerlo in Europa: ha scelto i Phoenix Suns, rinunciando alla gloria europea per un “misero” two-way contract, pur di tornare in patria.
Cos’hanno in comune i giocatori fin qui elencati? Si, è facile: sono tutti playmaker, o point guard, se preferite, e tra i migliori in circolazione al di qua dell’Atlantico! Una vera e propria fuga di creatori di spettacolo irrefrenabile per qualsiasi società europea, destinata ad impoverire di talento, tecnica e fosforo l’intero vecchio continente. Del resto, chi investirebbe, chi costruirebbe una stagione intorno ad un giocatore che resta controvoglia, in uno sport, come il basket, fantasioso e creativo per eccellenza, per di più nel ruolo da cui sgorga la creatività della squadra?
Ce n’è un’altra, di categoria, che accomuna tutti i play sopra elencati: tutti, nessuno escluso, sono destinati a ruoli marginali o comunque secondari in NBA. Qualcuno, probabilmente, addirittura a fare gavetta in G-League. Immagino già molti lettori gridare allo scandalo, per aver incluso nel calderone Sua Maestà Teodosic… Il ragazzo ha 30 anni, non brilla certo per intimidazione difensiva, non ha un fisico scolpito: reggerà più di 20-25 minuti per gara e per l’intera stagione, sotto i colpi e di fronte alla velocità del gioco USA, tutto muscoli ed esplosività? Sarò il primo ad applaudire, se la risposta sarà affermativa, ma intanto Doc Rivers si è cautelato affiancandogli il mastino Beverley, senza dimenticare che alle sue spalle bussa il figlio…
Va detto, infine, che i playmaker sono solo la punta di un iceberg di dimensioni ciclopiche, la cui base sommersa annovera una galassia di stelle di qualsiasi ruolo, statunitensi e non, tutte in fuga verso gli Stati Uniti: Osman, Zizic, Udoh, Birch, Theis, soprattutto Bogdan Bogdanovic… Ce n’è abbastanza per affondare un altro Titanic.
Dopo un lungo periodo di relativa calma, in cui clausole e cavilli avevano avuto la forza di regolamentare l’andirivieni di star d’oltreoceano, dopo un solo anno dall’arrivo o dal rientro di tanti buoni giocatori (basti ricordare i nostri Bargnani e Datome), dobbiamo rassegnarci al vichiano ricorso storico? Stiamo assistendo, insomma, a un ritorno al passato pionieristico, quando, cioè, le stelle americane lasciavano una NBA problematica e infinitamente meno luccicante di quella che conosciamo oggi per venire a regalare spettacolo dalle nostre parti, salvo poi scappare a casa, quasi senza preavviso, alla prima occasione buona?
Forse è presto per dirlo, ma, certo, il fenomeno è troppo improvviso e di ampia portata, per passare inosservato, né può essere in alcun modo bilanciato dai pochi cavalli di ritorno (Marcelo Huertas e Sergio Rodriguez su tutti ma, non dimentichiamolo, dopo aver fallito l’approccio alla Lega!) o dai pochissimi che hanno resistito alle sirene a stelle e strisce (come il nostro Melli ed il povero Llull). L’Oceano Atlantico, dopo anni di tentennamenti, torna ad allargarsi…
Perché, dunque? Noi di All-Arond.net un’idea ce l’abbiamo, e non da oggi: non c’è solo la nostalgia di casa dei giocatori americani o l’ambizione di misurarsi con la più forte Lega del mondo, c’è anche l’effetto, preventivato e preventivabile, del combinato disposto del vertiginoso aumento del salary cap, garantito dalle nuove cifre dei diritti televisivi, e della stipula dei nuovi accordi NBA-NBPA, da noi preannunciata a fine 2016 ed ufficializzata qualche settimana più tardi. In particolare, questi hanno sancito un aumento dei minimi salariali e degli stipendi per i giocatori della neonata G-League e la formulazione di una nuova tipologia contrattuale, quella del two way-contract, che assicura ai roster NBA due giocatori supplementari, tesserati NBA ma destinati alla Lega di sviluppo, con la possibilità di militare con la prima squadra per un massimo di 45 giorni nell’arco della stagione. Molte, molte più opportunità e garanzie economiche rispetto anche solo ad un anno fa, dunque, per i fortunati che ricevono una chiamata da una franchigia statunitense.
Che tra questi nuovi accordi e la fuga di teste pensanti appena descritta vi sia un rapporto causa-effetto è, ovviamente, solo di un’ipotesi che attende la verifica del tempo: troppo poca, una offseason, per trarre delle conclusioni definitive e, tuttavia, la coincidenza pare fortemente sospetta e meritevole di una riflessione, soprattutto da parte degli organi di competenza: dov’è la FIBA? Quali risorse, quali scelte politiche intende mettere in campo, per evitare, o quantomeno, porre un freno alla fuga di cervelli?
In un mondo, come lo sport professionistico, dominato dalle leggi del mercato, la NBA fa il suo mestiere ed i suoi interessi, sia detto per inciso, ed i risultati parlano chiaro: li fa molto bene. L’ente preposto alla gestione del basket internazionale non targato USA può dire altrettanto?
La perfezione, lo sappiamo, non è di questo mondo, ma la differenza tra una buona ed una cattiva politica risiede nell’efficacia delle scelte fatte: se, cioè, queste aiutino a risolvere il problema, o almeno ad attenuarlo, magari intensificando il dialogo con la National Basketball Association o prendendo spunto dalla concorrenza e facendo tesoro dei suoi esempi migliori (la nostra idea, ad esempio, di rilanciare la prospettiva di una Superlega Europea, affidandola all’Eurolega, svincolata dai tornei nazionali e concorrenziale nel medio-lungo periodo).
Se, invece, la cura scelta non rischi di essere peggiore del male, insistendo, ad esempio, nel fare la guerra all’Eurolega creando competizioni alternative o aprendo le “finestre” per le rappresentative nazionali nel pieno della stagione sportiva. Con il rischio di inflazionare ulteriormente la qualità delle competizioni, stravolgere i rapporti di forza tra le nazionali stesse, impoverirne la competitività, svilire un prodotto che, invece, dovrebbe fungere da traino per l’intero movimento continentale! Come se non bastasse la pioggia di rinunce, più o meno motivate, dei migliori talenti, NBA e non solo, già negli Europei ormai alle porte…
Sotto con i commenti e con le critiche, dunque, ed ai posteri l’ardua sentenza. La riattraversata oceanica nel frattempo rimane un fatto innegabile, è in pieno corso ed è come un fiume in piena che sfocia nell’ Atlantico e rischia di allargarlo…davvero…di nuovo…e non di poco…
Marco Calvarese