VL Pesaro in Lega A, Bergamo e Roseto nel girone Est della A2, Roma e Napoli nel girone Ovest della stessa serie. Cinque squadre sulle 48 che compongono le due serie principali del nostro movimento della palla a spicchi, iniziano questa stagione senza sponsor principale, quello che dà il nome alla squadra.
Analisti molto esperti, senza dubbio più di me, saprebbero meglio raccontare come e perché, ma forse un piccolo ragionamento si può fare. Partendo da quello che tre anni fa scriveva Guido Bagatta, oggi presidente della Soundreef Mensa Siena Basket 1871, su Il Fatto Quotidiano.
“Per comprendere meglio la situazione – che non riguarda Milano sponsorizzata dalla proprietà – se fino a quattro anni fa, per abbinare il nome di un prodotto a quello di una squadra di Serie A, ci voleva almeno un milione di euro, adesso il mercato dellesponsorizzazioni è talmente depresso che, con 200mila euro si può prendere la maglia di una squadra di medio/alto livello. E, nonostante questi prezzi stile discount, non c’è quasi nessuno, eccezion fatta per le realtà locali che hanno ancora una specie di obbligo morale, che vuole legarsi alla pallacanestro. La conseguenza di tutto questo sono budget sempre più piccoli, che, inevitabilmente, significano giocatori di livello sempre più basso, con contratti di un solo anno, quasi tutti rescindibili in corso d’opera, per cercare un ulteriore risparmio, almeno iniziale”.
Cosa è cambiato oggi? Poco. Prendiamo la questione dello sponsor del territorio analizzando la Lega A: la Segafredo Zanetti è di Bologna, la Dolomiti Energia Trentino lo dice il nome, Vanoli è un’azienda del territorio di Cremona, Banco di Sardegna idem come Trento, la Germani ha sede nella zona di Brescia, Sidigas è una società del territorio avellinese, l’Umana ha la sua sede principale a Marghera, Grissin Bon nasce a San’Ilario d’Enza provincia di Reggio Emilia, The Flexx è di Pistoia, Happy Casa di Martina Franca. Sfugge a questa localizzazione così particolare solo la Betaland che ha la sua sede a Malta, e sia chiaro, tutte le aziende che sponsorizzano le squadre di serie A sono nazionali o internazionali. Ma sentono tutte quella “specie di obbligo morale” nei confronti di una realtà del loro territorio. Benissimo, grazie a loro ed ai loro proprietari così innamorati del basket che a volte diventano anche titolari delle squadre.
Lo stesso discorso vale – con le dovute eccezioni – per la serie A2. Ed allora come mai realtà importanti della nostra pallacanestro non trovano nessuno disposto a fare la stessa cosa? Pesaro, per esempio. Che per anni ha goduto della magnanimità di Walter Scavolini e della sua famiglia, possibile che non riesca ad avere un nome da abbinare alle sue magliette? Roseto, piazza storica. Bergamo città industriosa e di gente che lavora e produce. Napoli dove la fantasia è sempre stata il modo migliore per risolvere le situazioni più difficili. E Roma. Anche qui per anni la famiglia Toti e Claudio Toti in prima persona hanno finanziato la squadra ma poi si è aperta una voragine. L’anno scorso c’è stato il pasticcio con quell’Università privata di cui qui è bene tacere per carità di patria.
La crisi. Certo. Il prodotto pallacanestro italiano scadente. Verissimo. Diritti tv…dai, non scherziamo. Ma questa è un’aggravante ovviamente, in carico al movimento.. E le altre 43 squadre? Molte delle quali hanno contratti che durano da più di un anno? O che in questa estate sono riuscite a rinnovare? Viene un sospetto: che non tutti siano capaci di fare il proprio lavoro pur strombazzando a destra e sinistra parole come comunicazione…marketing…pubblicità…?
Eduardo Lubrano