Palla a due! Il tempo del mercato, delle chiacchiere e dei ranking è finito, si inizia a respirare sudore, ad ascoltare lo stridere delle scarpette sul legno lucido ed il dolce suono della retina accarezzata dalla palla, l’eco dei tifosi nelle arene…Si inizia a fare sul serio ed i Nets davvero, quest’anno, non si sono tirati indietro. Niente premesse, dunque, allacciamo le cinture e prepariamoci ad una corsa senza respiro attraverso un mese di emozioni forti, tribolazioni ma anche successi, perché, signore e signori, attenzione: la notizia è che abbiamo una squadra e che tutti, ma proprio tutti, con questi Nets dovranno fare i conti! Forse…
Preseason. Si comincia presto, quest’anno, per dar modo al calendario di ammortizzare meglio le 82 partite senza strafare con i back-to-back: il 3 ottobre è già tempo di derby. Non c’è scampo, né gara, per i giovani e rinnovatissimi Knicks, orfani della loro stella Anthony, né “all’andata”, al Madison Square Garden, né al ritorno al Barclays, pochi giorni dopo. In mezzo, la sfida con Miami, anch’essa dominata. Si comincia a vedere del gioco, si iniziano le prove generali per il pace & space atkinsoniano, c’è fluidità nella manovra e fiducia nei tiri. Russell ha già in mano le chiavi della squadra, che si lascia guidare da lui in modo naturale. Pindaro, però, aveva le ali di cera e questi Nets sono ancora un manipolo di ragazzi spiumati. Dimenticare il mito equivale ad un brusco atterraggio sul duro pavimento della realtà: ci pensa Embiid ad aprire gli occhi ai bianconeri, smascherando, in poco più di venti minuti in campo, tutti i limiti di questa squadra e lasciando presagire non poche difficoltà contro un certo tipo di giocatore. Atkinson abbraccia la sonora sconfitta con i Sixers, nel suggestivo scenario del Nassau Coliseum, come una benefica doccia di umiltà, in vista dell’inizio della stagione….
Indiana (L, 140-131). Non un buon esordio, per gli uomini di Atkinson, in quel di Indianapolis: subire 140 punti in una sola partita significa perdere senza ammettere discussioni, anche se l’attacco gira. I gialloblu mostrano subito la faccia feroce in difesa, aggredendo il pick and roll e chiudendo le maglie nel pitturato. Lin insiste troppo sul palleggio, le palle perse fioccano e innescano contropiedi. Dall’altro lato del campo, quello che Enbiid aveva lasciato presagire diviene certezza: il prototipo del centro moderno è indigesto per i Nets, le percentuali di Turner non lasciano spazio a dubbi. Sul pick and roll insistito e versatile dei padroni di casa non si azzecca una soluzione. Eppure i Nets sono sempre lì, tirando a campare a furia di liberi e con un D’Angelo Russell da 30 punti all’esordio, tiratore fluido e fiducioso con il suo jump shot, finché Kenny (tardivamente, purtroppo), non propone il cambio sistematico sui giochi a due, con Levert (12+4) e Booker (20+10), non lasciando più il vantaggio dell’uomo libero al tiro. Una partita da perdere si trasforma in un’insperata (ed immeritata) opportunità, che sfuma, nel finale, a causa di qualche rimbalzo offensivo concesso e di alcuni dettagli. Ma è giusto così: senza passare mai sui blocchi, senza ruotare in aiuto, non si va da nessuna parte. E , come se non bastasse…
Il dramma di Lin. È iniziato da poco l’ultimo periodo quando Jeremy Lin, concludendo in appoggio una penetrazione, impatta male al suolo distorcendo il ginocchio. La sua reazione dolorante e sconfortata non lascia adito a molte speranze, benché vada negli spogliatoi con le sue gambe. Il giorno dopo le indagini radiografiche confermeranno i peggiori presagi: rottura del tendine rotuleo, chirurgia obbligata, stagione finita! Peserà la sua assenza? Probabilmente non quanto lo scorso anno, ma il piano tecnico strategico prevedeva l’alternanza di Lin e Russell in PG. Come nell’arte della guerra, anche negli sport di squadra dover rivedere le strategie equivale a stravolgere le scelte tattiche e questo peserà, eccome, nell’economia degli automatismi di squadra, come già il primo mese di regular season lascerà, purtroppo, intendere.
Orlando (W, 126-121). L’esordio al Barclays è un mero scatto d’orgoglio di squadra. La gara, che vedrà l’esordio in NBA per il rookie Jarrett Allen (ne metterà a referto 9 in 15′), procede a strappi, con Russell che parte maluccio e con Vucevic (assente Gordon) al contrario in formato-monstre (chiuderà con 41 punti ed un irreale 6/8 dall’arco!). Occorre il solito e solido Dinwiddie, con la second unit, per raddrizzare la gara che vedrà, poi, nel finale apertissimo, proprio D’Angelo Russell indossare i panni del leader ormai indiscusso, carismatico, clutch, e decidere la gara con le sue giocate. Go-to-guy di una squadra che, senza sbandierare ambizioni, riesce a divertire e coinvolgere il proprio pubblico facendolo, finalmente, innamorare.
Atlanta (W, 116-104). La gara della domenica, che regala ai Nets il proscenio della prima serata televisiva in Italia e a chi vi scrive, finalmente, un orario adatto ad una creatura a sangue caldo, è una vittoria che va ben al di là del punteggio per quanto visto sul parquet. In cui si vede Crabbe protagonista della prima rimonta, Mozgov finalmente incisivo nel chiudere la strada al ferro ad uno Schroder tanto rapido, quanto prevedibile e sfortunato (scaviglierà nel finale), il potenziale esplosivo di Jarrett Allen, capace di infiammare i tifosi e perfino Flavio Tranquillo con 4 stoppate in un amen, poi ancora Crabbe, per l’allungo più esaltante e illusorio del match, fin quasi al ventello, nel terzo quarto. Poi il solito blackout, in cui si ripiomba nella stagnazione offensiva regalando contropiedi e facili canestri fino alla parità (avrò mai l’onore di vedere i Nets vincere facile?). E poi? E poi succede ciò a cui ci siamo disabituati negli ultimi anni: keep calm and let’s win again! Invece di smarrirsi per paura di vincere, quest’anno a Brooklyn ci sono ben due go-to-guy, che con naturalezza prendono responsabilità e tiri della vittoria! Ancora Dlo e, soprattutto, Allen Crabbe (20 punti uscendo dalla panchina, in 25′) hanno ghiaccio nelle vene e, quanto basta, in freezer, per mettere al sicuro una vittoria che, tecnicamente, non avrebbe mai dovuto essere in discussione.
Orlando (L, 125-121). Stavolta si gioca in Florida e la vendetta dei Magic si consuma grazie al rientrante, imprendibile Aaron Gordon, il quale smaschera ad uno ad uno tutti i problemi della difesa bianconera, dimostra di aver messo a posto anche piedi e meccanica nel tiro da fuori, materializza una rimonta (ormai una dolorosa costante per i Nets) che ha il sapore della Nemesi per i ragazzi di Atkinson. I quali, incappati in una serata storta di Allen Crabbe (6 punti), non riescono a spuntarla, nell’ennesimo finale al cardiopalmo, nonostante i soliti contributi di Russell (29), di un solidissimo Carroll (17+6) e di Rondae Hollis-Jefferson (18+5, con 6/8 dal campo e percorso netto ai liberi, su di lui torneremo).
https://youtu.be/J395EZ2vyfY
Cleveland (W, 112-107). E venne il giorno…Come in un film tutto americano, Davide sfida Golia e vince, nella partita segnata dall’assenza delle guardie titolari su ambo i fronti (alle assenze croniche di Thomas e Lin, si aggiungono quelle di Russell e Rose, fortunatamente temporanee). Rondae è lo stopper designato per Sua Maestà, e fa il suo, grazie anche alle rotazioni difensive ed ai cambi sistematici, che mettono a nudo i vistosi ritardi dei campioni di Conference. Tuttavia, limitare LeBron è un ossimoro tecnico, soprattutto per chi è abituato a subire rimonte: in pochi minuti i Nets dilapidano un vantaggio in doppia cifra e vanno sotto, preparandosi al solito finale punto a punto. Stavolta, però, Crabbe (19) c’è e, in assenza di Dlo, è Spencer Dinwiddie (22) l’eroe di una notte: sempre più sicuro dei propri mezzi, ne infila un paio (una da forse 9 metri) che suonano come campane a lutto per i wine & gold.
https://youtu.be/rtxx_Uyh1Wg
LeBron James dovrà arrendersi all’evidenza (sottolineata anche nelle dichiarazioni del post-partita) di un’avversaria degna e che gioca meglio, non nascondendo la preoccupazione per il valore della pick dei Nets al prossimo draft, finita, quest’estate, proprio nelle disponibilità dei Cavs… In soldoni: se c’è il rispetto del Re, allora forse qualcosa è davvero cambiato, forse il new deal bianconero è finalmente iniziato…Oppure no?
New York (L, 107-86). Troppo presto si è iniziato a parlare di squadra rivelazione e di bel gioco. In realtà, i buoni risultati, l’indubbia determinazione, la disponibilità, a roster, di giocatori di talento, dalla faccia giusta e dalla grinta indiscutibile, le tante conferme indubbiamente migliorate, hanno mascherato una pletora di difetti, alcuni strutturali, altri da smussare gara dopo gara, che i Knicks di Hornacek hanno impietosamente messo a nudo con una prova gagliarda, vogliosa e tatticamente diligente. In particolare, fatturando i massimi dividendi dal dominio sotto le plance (prevedibile) e insinuando dubbi, generando crepe nel fragile castello di certezze troppo presto edificato intorno alla filosofia di gioco di coach Kenny. Una difesa alta, con raddoppi sul portatore e rapide rotazioni e scivolamenti dei lunghi sul prevedibile P&R, una costante presenza al rimbalzo offensivo, un Porzingis dominante dal post (su cui troppo si è insistito con la marcatura di RHJ, che pagava un dazio impietoso ed incolmabile in termini di stazza e lunghezza: l’unica fiammata dei Nets è venuta nel primo tempo con l’ingresso del fin qui ottimo Trevor Booker) e tanta grinta sono bastati ed avanzati, ai cugini newyorchesi, per rompere in partenza giochi e ritmi dei bianconeri, che sono durati un tempo…
https://youtu.be/A0XPYYzk4-A
Denver (L, 111-124). Così come un tempo sì è resistito (anche benino) contro i Nuggets, in una gara fisicamente improponibile contro i lunghi, dominanti e dalle mani fatate, Jokic e Millsap (entrambi in doppia-doppia). Ai box Carroll (ed Acy, cioè i due migliori tiratori dall’arco, finora…), Crabbe, inserito nello starting five, ha evidenziato tutte le sue lacune: giocatore ideale per uscire dalla panchina e spaccare le partite “off the ball” (un sesto uomo nato), da partente pare, invece, fuori dai giochi in più di un’occasione. Mentre Hollis-Jefferson e lo stesso Mozgov han tenuto a galla la barca nella prima metà di gara, nella ripresa solito crollo nel terzo quarto, con l’allungo decisivo degli ospiti che nasce, direttamente o indirettamente, dalle mani dei due big men. Un parziale devastante, a cavallo tra seconda e terza frazione, ha condotto dal +14 al -26 in un quarto d’ora di gioco. Nulla da aggiungere, credo, se non il losing effort nel finale, ancora con Dinwiddie sugli scudi (22). Decisamente, meriterebbe più spazio il suo assortimento con Russell…
https://youtu.be/zfTiM0hjFuc
Phoenix (L, 114-122). Ecco materializzarsi la prima, vera striscia negativa, contro i non certo trascendentali, ma talentuosi e giovanissimi Suns, rigenerati dal cambio di allenatore. Un sorprendente Mike James ed il solito Devin Booker spezzano l’equilibrio nel terzo quarto (ancora!), la coppia di ali dinamiche Warren-Bender rende vano, nel finale, a suon di tap-in, rimbalzi e show offensivi (ancora!) la clamorosa rimonta operata dai Nets: dal -18 fin anche al +8, guidata da Dinwiddie (ancora!). Inutile anche l’exploit realizzativo di Russell (33), mentre le mie perplessità sulle scelte, sulle chiamate e sul timing delle sostituzioni di coach Atkinson aumentano. Lo stesso Russell, durante un timeout, pareva avere qualcosa da ridire al suo allenatore il quale, nelle dichiarazioni di fine partita, ha candidamente ammesso di non saper che pesci pigliare rispetto ai vistosi momenti di stagnazione del gioco cui i suoi vanno incontro durante ogni partita.
Il coach. Quella che, fino a qualche mese fa, era una perplessità espressa, fuori dai denti, solo da All-around, è divenuta, quindi, quasi virale, e qualche tifoso più arrabbiato si è spinto perfino ad auspicarne il licenziamento… Non scherziamo: in una squadra come questa, in cui i successi dei vari Dinwiddie, Acy, Hollis-Jefferson sono ascrivibili al coaching staff in tutto e per tutto e l’obiettivo è esclusivamente continuare il rebuilding, Atkinson resta il capo allenatore ideale e la fiducia dei giocatori in lui è ancora lungi dall’essere scalfita! Tuttavia non può e non deve essere esente da critiche costruttive. E, per fortuna, l’umiltà per ammettere di dover crescere lui stesso, insieme alla squadra, non gli manca.
Breaking news: Prochorov vende! Paradossale il fatto che, quasi a segnare un fortuito spartiacque tra lo zenith agonistico e la striscia di sconfitte ancora aperta, sia giunta la notizia della cessione del 49% della proprietà della franchigia al magnate taiwano-canadese dell’e-commerce Joseph Tsai, sulla base di una valutazione patrimoniale da record assoluto: 2,3 miliardi di dollari! L’accordo prevederebbe (non si registra ancora la formalizzazione del tutto) il controllo delle operazioni sportive, da parte dell’attuale proprietà, per altri quattro anni, poi il diritto di acquisire la maggioranza da parte dei subentranti, mentre la proprietà del Barclays Center resterebbe a Prochorov. Tsai, appassionato uomo di sport, sarebbe, peraltro, entusiasta del new deal dei Nets ed intenzionato a supportare il progetto tecnico. Niente scossoni, dunque, in vista, ma al contrario ulteriore stabilità per la franchigia di Brooklyn. E, sicuramente, un affarone per Prochorov…
We, the future. Tra le note più positive in assoluto di questo primo scorcio di stagione, due ragazzi sui quali i Nets sperano di poter edificare il proprio futuro: Jarrett Allen, ovvero l’ultimo arrivato, e Rondae Hollis-Jefferson, veterano di 22 anni, il più longevo in maglia bianconera, che voglio indicare come il MIP tra i reduci della passata stagione. Entriamo nel dettaglio, per chi, finora, non li avesse ancora visti all’opera.
Jarrett Allen. 19 anni, centro, fisico longilineo, apertura alare da Guinness dei primati, l’impatto non tanto sportivo, quanto agonistico ed emotivo del rookie sull’ottobre bianconero, al di là delle fredde statistiche (15 mpg, 4 ppg, 1 blk, 40%FG, 2,7 rpg), è stato sensazionale: riecheggiano ancora le grida di piacere di Flavio Tranquillo per le sue 4 stoppate in una manciata di minuti rifilate agli Hawks in mondovisione! Verticalità e difesa del ferro da predestinato, mano discretamente morbida, questo giovanotto dall’aria vintage, in perfetto stile Harlem seventies, ha un enorme potenziale grezzo da sviluppare, in un ruolo in cui i Nets ne hanno bisogno come dell’aria o del pane. Pecca, ovviamente, ancora di stazza fisica e della giusta cattiveria, il che lo rende vulnerabile nella lotta a rimbalzo e nelle conclusioni ravvicinate, ma questi sono peccati di gioventù su cui lavorare, non limiti strutturali! Al contrario, la sua rapidità di mani e di piedi lascia presagire una capacità di eseguire scivolamenti e cambiare su più ruoli, in difesa, che lo rendono una potenziale risorsa primaria per le idee di Atkinson. Vedremo…
Rondae Hollis-Jefferson. Per un ventiduenne scelto alla ventesima, fino a pochi mesi fa battezzato come un buon difensore e nulla più per via dell’incerta meccanica di tiro, sembra incredibile essere assurto a pedina fondamentale dello starting five e ad una delle più insidiose minacce per le difese avversarie. Costantemente in doppia cifra (13,5 ppg, 4,8 rpg, 48%FG, quasi il 90% ai liberi, di cui risulta il più frequente tiratore), RHJ sussume in sé l’immagine della “coperta corta” che tanto rende l’idea dei limiti di questa squadra: ha cambiato ruolo (da 3 a 4) per avvicinarsi al canestro ed essere più incisivo, sfruttando la rapidità e l’atletismo a scapito dei pari ruolo, ha così raggiunto la credibilità come role player degnissimo, ma lo ha fatto in una posizione in cui i suoi limiti fisici, rispetto alle dimensioni degli avversari, lo condanneranno sempre alla sofferenza! Se la sua difesa è formidabile contro il dirimpettaio fronte a canestro, grazie alla rapidità delle sue mani, il dazio che paga in centimetri al diretto avversario schierato in post suona come una sentenza: citofonare Porzingis… Ciò non toglie che le sue doti di palleggio lo rendano sempre minaccioso quando può mettere palla a terra, così come la sua velocità lo rende difficilmente raggiungibile nei tagli al ferro e nel pick and roll. Ciò che più sorprende, dopo le prime uscite stagionali, è, tuttavia, il miglioramento nella selezione e nell’esecuzione dei tiri dalla media, in pratica una dimensione in più per il suo attacco aggiunta al suo bagaglio tecnico nel breve volgere di questa estate: la naturalezza e la fiducia, in particolare, con cui si costruisce il tiro dal palleggio, creandosi lo spazio dal diretto marcatore, e l’esecuzione del “giro e tiro” dal post. Rondae non è e mai potrà essere un 4 dominante (ed è una fortuna che, dalla panchina, possano uscire Booker o Acy, a seconda dei casi, per sopperire alle sue lacune), ma se riuscisse a trovare anche un credibile tiro dall’arco…
Considerazioni tecniche. Era troppo presto, dopo 5 gare, per esaltarsi con Russell, figuriamoci dopo 8 per piangersi addosso e sorprendersi in preda alla Linostalgia. Tuttavia, dopo aver ammirato i nuovi talenti, dopo aver goduto la fluidità di movimento della palla nella corsa e la facilità con cui si trova il canestro nei momenti in cui si riesce ad alzare il ritmo, non si può non osservare, nei blackout sistematici durante i terzi periodi, nelle fasi in cui le difese avversarie prendono la misura ed il sopravvento, che questa squadra era stata pensata per un backcourt Lin-Russell a ragion veduta! Venuto meno il pacemaker designato, sovente si fatica ad imprimere il proprio ritmo alla partita e il gioco ristagna per la difficoltà nel muovere la palla contro la difesa schierata.
A riprova di quanto detto e di quanto pesi l’assenza di una PG pura nel quintetto titolare: la stagione fin qui sensazionale di Spencer Dinwiddie, sostituto naturale di Lin, uomo delle rimonte (più o meno coronate da successo) ed MVP contro Cleveland, e l’assurdo, forse disperato esperimento con Levert schierato at the point, costato il break decisivo contro i Knicks.
La conseguenza è un eccessivo ricorso al tradizionale pick and roll centrale, facilmente prevedibile. Sui reiterati drive e sul numero eccessivo di palleggi le difese collassano ed hanno buon gioco, facendo piovere palle perse e contropiedi. Cosa evidentissima contro Indiana, ad esempio, ma anche al MSG. Non basta il solo DeMarre Carroll (28 mpg, 14 ppg, 6,1 rpg, 42%3P), il più continuo e consistente della squadra finora (per inciso, al netto degli entusiasmi suscitarti, nelle prime uscite, dal talento di Dlo, assegno a lui la mia personalissima retina del mese), per aprire il campo ed implementare la versatilità dell’attacco, né basterà finché Levert, capace di infiammarsi con giocate funamboliche e strabilianti recuperi, non migliorerà la meccanica e la fiducia nel proprio tiro. Prova ne sia il fatto che, finora, il ragazzo ha vissuto i suoi momenti migliori quando dirottato in posizione 3, con licenza di attaccare dalla linea di fondo.
Queste lacune nel gioco, che, andando controtendenza, sottolineavo anche nelle vittorie, sono ora sotto gli occhi di tutti nella prima, vera striscia di sconfitte della stagione. Il pensiero di Atkinson, gradito e perfettamente confacente a tutti i giocatori, non prevederebbe tanta centralità dei giochi a due, quanto piuttosto il movimento senza palla, la capacità di leggere le situazioni e gli adattamenti difensivi con rapidità di reazione e di esecuzione, la ricerca della conclusione anticipando la difesa. Tutto questo, invece, si è visto, finora, solo a sprazzi, troppo poco.
C’è poi da dire che la lentezza di Mozgov non aiuta a rendere fruttuoso neppure il P&R, tant’è che, nel corso delle ultime gare, con sagacia, Atkinson ha chiamato Hollis-Jefferson ad agire da bloccante, trovando una notevole intesa fra lui e Dlo e dirottando il russo in posizione 4, in angolo. L’esperimento è complessivamente riuscito ed anzi, Mozgov ha mostrato insperati movimenti lungolinea ed un tiro dalla media-lunga decisamente morbido rispetto alle attese, tuttavia questa soluzione tattica ha ridotto ulteriormente l’efficienza offensiva degli altri giocatori sul parquet.
Non a caso, un interessantissimo dato statistico classifica Russell al quinto posto assoluto, tra le guardie NBA, per punti complessivi (realizzati o generati mediante assist) dal pick and roll. Il che va senz’altro ascritto a suo merito, ma è ulteriore testimonianza di quanto spesso si ricorra a questo schema fondamentale, ideato, tanti anni fa, come soluzione di ripiego nei momenti di difficoltà e divenuto, troppo spesso, l’unico straccio di piano d’attacco (come dimenticare Lionel Hollins?).
Non a caso, le rimonte sono state sovente innescate dalla second unit, corroborata da tiratori puri, come appunto Crabbe, Harris ed Acy, nonché da “lunghi” più verticali (Allen) o rocciosi (Booker). Il cui compito, però, dovrebbe essere quello di far riposare senza perdite lo starting five, non di ripararne i danni!
Per una squadra che ami giocare a ritmi sostenuti, però, resta la difesa la madre di tutti i problemi: i Nets vantano il triste primato del maggior numero di punti subiti e del peggior defensive rating e sono tra i primissimi, nella Lega, per rimbalzi offensivi concessi agli avversari. I quali, se fanno sempre canestro, oppure recuperano palla, costringono i Nets a ripartire dalla linea di fondo ed hanno tutto il tempo di schierare la propria difesa: è l’abc del basket!
Due le voragini più macroscopiche, finora: l’annoso problema della difesa sul pick and roll e l’impossibilità di far fronte ai lunghi moderni, quelli grossi e capaci, insieme, di appoggiare a canestro, saltare a rimbalzo, mettere palla a terra ed aprire il campo. Una combinazione di qualità rarissima fino a qualche anno fa, che, invece, è centrale nella moderna interpretazione del gioco in NBA. È paradossale che proprio i Nets di Atkinson, tra i più fervidi e coerenti fautori del basket moderno, siano da questo sistematicamente fatti a pezzi.
Un costante tallone d’Achille per quasi tutte le guardie a roster è l’assoluta incapacità di passare sui blocchi (1): a quel punto il portatore avversario ha buon gioco nell’attaccare il lungo sul primo passo, nell’arrestare il palleggio e tirare sfruttando il vantaggio oppure nel cercare l’assist sull’arco, dove il difensore viene preso in mezzo tra il contestare il tiro o il chiudere in aiuto sul penetrante. Da qui anche la difficoltà nel registrare gli automatismi nelle rotazioni difensive (2), spesso tardive.
Se a questo si aggiungono la pochezza tecnica e/o l’inferiorità fisica sotto canestro (3), la frittata è fatta: quand’anche il tiro non vada a segno, c’è sempre la minaccia del lungo in seconda battuta, che frutta oltre 11 rimbalzi offensivi a gara, di media, per chi gioca contro i Nets. Undici seconde chance, vicino a canestro, sovente pronto uso per tiri a basso coefficiente di difficoltà. Oppure, male che vada, ogni rimbalzo viene contestato, rallentando comunque le ripartenze di Russell e compagni.
Il QI cestistico, le caratteristiche fisiche e le doti tecniche dei Carroll, Crabbe, dello stesso Russell, unite con l’indubbia propensione all’insegnamento da parte di Atkinson, lasciano ampiamente aperta la porta della speranza per un futuro più roseo sui primi due difetti difensivi, specie se il coach saprà mettere in pratica scelte meno eccentriche ed un più accurato timing nelle sostituzioni. Sulla presenza fisica sotto le plance, invece, il discorso è diverso e, salvo una maggiore applicazione di squadra o (al momento improbabili) ritorni sul mercato, c’è ben poco da fare.
A meno che, Jarrett Allen…
Marco Calvarese
edito da Frank Bertoni