Banchi prevedeva un impatto così forte (12 partite 9 vittorie e 3 sconfitte) della Fiat Auxilium Pallacanestro all’inizio della stagione?
“E’ difficile sempre molto difficile prevedere l’impatto di una squadra all’inizio. Ci sono tante discriminanti e tante incognite. Nello specifico le mie erano queste: allenatore nuovo, non avevo mai allenato nessuno di questi giocatori, solo tre di loro avevano una qualche esperienza europea, c’erano pochi rimasti dalla stagione precedente, la società è nuova in Europa. Il calendario ed il doppio impegno campionato – Coppa di conseguenza. Certo per adesso – ma siamo solo all’inizio – sono soddisfatto anche se preferisco dire che sono cautamente soddisfatto. Una prima valutazione preferisco rimandarla alla fine del girone di andata quando a quel punto sapremo anche se saremo passati al secondo turno dell’Eurocup e se siamo alle Final Eight di Coppa Italia cioè due dei tre obiettivi dichiarati della nostra stagione“.
Lei vuole una squadra dove il rispetto dei ruoli sia la base per essere imprevedibili. Dopo un mese e mezzo di gare quell’ego collettivo, l’equilibrio e la ragione – concetti espressi prima dell’inizio della stagione – cominciano ad essere radicati nella squadra?
“Sono aspetti sui quali dobbiamo lavorare moltissimo perché sono i più difficili da acquisire per una squadra così nuova come la nostra. Ci serve continuità di rendimento. Dobbiamo essere capaci di seguire il piano partita con sempre maggiore continuità. Ancora siamo nella fase nella quale talvolta ci facciamo sopraffare dalla voglia di cercare il successo personale piuttosto che cercare la giocata di squadra. Quando parlavo in estate di squadra imprevedibile mi riferivo al fatto che il nostro roster può sembrare molto simile in alcuni giocatori: molte guardie, molte ali. Può sembrare ripeto. Per questo vorrei che fossimo in grado di cambiare pelle ed avere giocatori in grado di ricoprire diversi ruoli durante la partita. Ma per far questo serve conoscenza reciproca, voglia di sacrificio, visione e condivisione del bene comune“.
Eppure vedendovi giocare si ha la sensazione di una squadra che ha piacere nel giocare insieme. Può essere in questo senso indicativo il numero di assist, 18 a partita, che producete in campionato?
“I numeri lo dicono e certi spezzoni di partita lo confermano. Ma l’occhio e la testa dell’allenatore non sono mai soddisfatti, appagati. In attacco certamente siamo una squadra che – specie in campo aperto – ha talento per giocare d’insieme. Ma io voglio vedere questa stessa voglia anche nella metà campo difensiva. Si tratta di mettere a punto quegli automatismi necessari a non pagar dazio al più piccolo errore, alla più piccola distrazione soprattutto a livello europeo. E poi un buon passaggio non è sempre solo quello che manda a canestro un compagno. Pretendere certe cose dopo così poco tempo è esagerato ma il nostro sport oggi – in realtà tutto lo sport – è anche questo: dobbiamo tutti essere pronti nel più breve tempo possibile con pochissimi spazi per curare certi dettagli che per noi allenatori sono fondamentali“.
A proposito di ruoli e di sensazioni sulla sua squadra: gli stranieri fanno gli stranieri, gli italiani gli italiani. In cinque – Vujacic,Garrett, Washington, Patterson e Mbakwe – giocano più di 23 minuti, dalla panchina chi gioca di più sono Poeta e Iannuzzi con 13 minuti ed oltre e sono l’asse play/pivot, siete una squadra atletica. Sensazioni corrette?
“Tutte. Ho voluto subito dare delle gerarchie per far capire chi deve stare in campo per esempio nei minuti decisivi di una partita. Come sempre in un gruppo servono generali e soldati. Ma attenzione questo non vuol dire che anche chi gioca di meno non possa, anzi non debba potersi ergere a protagonista. Quello che mi preme è che però chiunque vada in campo abbia gli strumenti per starci, al di là di ciò che gli viene riconosciuto. Efficacia ed efficenza. A Siena l’esempio di questo discorso sono stati Marco Carraretto e Tomas Ress che con soli quattro o cinque possessi a partita sapevano dare il loro contributo. A Milano ho visto Bruno Cerella essere un gregario ed un trascinatore nello stesso tempo. Per far questo servono un livello di autocontrollo e disciplina straordinari“.
Fermo rimanendo che ovviamente volete vincere quante più partite possibile si può dire che per quest’anno l’Eurocup è soprattutto una palestra fondamentale per la vostra crescita?
“Sìsì. E’ esattamente con questo spirito che per questa stagione la stiamo vivendo. Con questo spirito abbiamo celebrato la prima vittoria a Zagabria che ci ha dato la spinta per continuare ad affrontarla. Così come ci hanno dato una spinta le due sonore sconfitte col Darussafaka e Kazan che hanno dimostrato di aver per il momento qualcosa di diverso rispetto a noi. Siamo consapevoli che il passaggio del turno ce lo giochiamo soprattutto nelle partite con Zagabria, Andorra e Levallois ma anche che nel ritorno con i turchi ed i russi vogliamo esporre il meglio di noi. Abbiamo l’euforia degli esordienti ma anche quel senso di sfida di chi vuol fare di tutto perché quella che quest’anno è una wild card che ci ha fatto molto piacere, diventi un diritto acquisito sul campo”.
Al di là del budget che non è sempre così superiore, perché in Europa facciamo così fatica salvo casi rarissimi come voi, Avellino e Venezia? O forse voi, Avellino e Venezia essendo tra quelle che hanno investito di più e meglio siete più pronte? L’Europa è solo una questione economica?
“Questione complicata. Si può anche essere più o meno fortunati nel sorteggio del girone per esempio. Parlo di Champions League ed Eurocup ovviamente che sono competizioni diverse tra loro così come l’Eurolega è ancora più diversa. Credo che in Italia soffriamo ancora di un problema culturale: il doppio impegno che un pò ci fa pensare che ci tolga spazi, energie fisiche e mentali e soldi. Siamo ancora troppo legati ad un concetto nazionalistico, al nostro campionato. Negli anni di Siena ho acquisito invece una mentalità diversa che non prevede niente scuse, niente alibi. L’impegno europeo è fondamentale per crescere, per migliorarsi, perché i nostri giocatori italiani si confrontino con i più forti anche durante l’anno. Bisogna trovare dei metodi per usare il tempo nel modo migliore perché niente è più stimolante che giocare con i migliori.
La storia racconta però che negli ultimi anni a parte la Virtus Bologna, la Benetton, Siena e Milano (quando con Banchi in panchina sfiorò le Final Four, ndr) le italiane hanno fatto difficoltà in effetti in Europa. Ma già il fatto che questa stagione abbiamo raggiunto il numero massimo di partecipanti alle Coppe mi fa pensare bene, che forse quella questione culturale la stiamo affrontando come si deve. Per i nostri giocatori è fondamentale giocare in Europa voglio ribadirlo. E credo che Avellino abbiano buone chance di arrivare alle Final Four della Champions“.
Eduardo Lubrano