Giova ricordarlo: tutta la strategia di mercato, nella scorsa offseason, verteva intorno alla costruzione di un nucleo di prospettiva, volitivo, con talento grezzo, inespresso e voglioso di dimostrare qualcosa. Partire dal fondo, essere sottovalutati, doversi ritagliare e meritare credibilità nella galassia NBA, avere voglia di lavorare, crescere ed innato spirito di squadra. Questo, l’identikit del giocatore “da Nets”: gente che incarnasse, cioè, la nuova cultura e le ambizioni del duo Marks-Atkinson. Il baricentro avrebbe dovuto risiedere nel backcourt, secondo la filosofia di coach Kenny, “the point guards’ whisperer”: una rivoluzione, rispetto agli anni precedenti. Tutto sarebbe dovuto nascere dalle sapienti mani della combo Lin-Russell, un mix di sapienza, QI, gioventù e talento su cui gettare le fondamenta del futuro.
Cotanta premessa per arrivare al punto: abbiamo aperto la nostra rubrica, il mese scorso, piangendo l’infortunio di Jeremy Lin, la necessità di adeguare gli equilibri della squadra, gettando tutto sulle spalle di D’Angelo Russell, un ragazzo un po’ bizzoso ma con un potenziale forse mai visto da queste parti. A lui le chiavi della squadra, a lui il compito di tirare le castagne via dal fuoco, a lui quello di risolvere le partite.
Senonché, siamo costretti ad aprire novembre…in due: prima e dopo l’infortunio di Dlo! A Salt Lake City, D’Angelo urta il ginocchio, finisce negli spogliatoi, lascia una squadra in piena rimonta in braghe di tela e, soprattutto, dopo alcuni giorni di notizie frammentarie, ricorre ad artroscopia per ripulire l’articolazione, avviandosi ad un percorso riabilitativo sulla cui tempistica grava ancora un alone di mistero. Wojnarovski si era tenuto sul vago, profetizzando un’assenza per “molte partite”… Intanto sono già otto, nel solo, disgraziato novembre, falcidiato da una pioggia di infortuni, come vedremo.
Eppure… Non solo, in termini di risultati, la squadra continua a fare il suo, ma va dato atto ad Atkinson di essere stato capace, in men che non si dica, di ritrovare il bandolo della matassa e ridisegnare gli assetti tattici in modo da far rendere al meglio i superstiti. Record pressoché immutato (5-8, prima, 3-5, poi), gioco addirittura più fluido e piacevole. Manca, Russell, eccome! Ma i ragazzi progrediscono a vista d’occhio e lottano fino alla fine. I Nets non sono l’unica squadra perseuitata dalla malasorte, quest’anno, ne abbiamo ampiamente parlato, ma mostrano una capacità di reagire di fronte alle avversità quasi senza eguali nella Lega, quella dote dello spirito, sintetizzata dal termine resilienza, che ha permeato di sé l’intero mese in questione. Mi auguro che trasudi dalle righe successive.
La cronaca
Lakers (L, 124-112). E’ la sera del gran ritorno di D’Angelo allo Staples ma, in quella che doveva essere la sua serata, non riesce ad incidere come vorrebbe, né ad imprimere il suo marchio alla partita. L’eroe di una sera (forse l’unica in maglia gialloviola, finora) è l’altro grande ex, Brook Lopez, autore di ben 34 punti, sei triple, nonché delle giocate decisive, quelle che spezzano e rendono vano l’ennesimo tentativo di rimonta ospite. Nella prima di cinque trasferte nel selvaggio West, non bastano i 25 di Crabbe dalla panchina…
Suns (W, 92-98). Occorre vincere, per interrompere il trend negativo, e vittoria sarà, pur in una serata non brillantissima. Fuori Booker ed Allen, in corso d’opera si fa male anche RHJ, Mozgov gravato di falli in un amen, è il solito Russell formato ultimo quarto a decidere la gara, ma note di merito per un Harris in crescita esponenziale, un Crabbe alla prima prova convincente da starter e, soprattutto, per Tyler Zeller, autore di alcuni minuti estremamente solidi e preziosi, vista la moria di lunghi. Occhio a lui: di qui in avanti crescerà a vista d’occhio! Levert, al contrario, continua a non trovare ritmo al tiro, ma la sua prova difensiva su Devin Booker risulterà preziosa, nell’economia del risultato.
Nuggets (L, 112-104). Non c’è che dire: contro i lunghi dominanti i Nets non trovano soluzione. Stavolta tocca a Jokic (41 punti) fare a pezzi le velleità dei Nets, certo agevolato dalle solite assenze, che costringono Atkinson ad inventare l’ennesimo starting five: a fine mese saranno 12 differenti quintetti partenti in 21 gare fin qui disputate! Difficile trovare equilibri, gerarchie, continuità, anche nel contesto del platoon system cui il coach ci ha abituato fin dallo scorso anno… Note positive? Ancora Tyler Zeller (21 punti in 28′). Alzi la mano chi lo avrebbe mai detto solo una settimana prima…Inizia a farsi largo l’impressione che questo lungagnone bianco non sia il Bennett o il Bargnani di turno e che, con lui, il rapporto rendimento/costo sia piuttosto alto. Certo, molto più alto di quello di Mozgov: finirà per soffiargli il posto nello starting five, perché forse meno difensore, ma molto più mobile, versatile ed atletico. Sa portare i blocchi e rollare a canestro, ove occorra non disdegna di aprirsi, ha mano morbida, conosce l’uso del gancio. Non sarà certo lui la soluzione dei problemi sotto canestro, ma meglio averlo, anziché no…
Blazers (W, 97-101). Ecco cosa ha portato, più di ogni altra cosa, Russell a Brooklyn: una marcia in più nei momenti decisivi! Un leader in cui tutti hanno fiducia, capace di 11 punti negli ultimi minuti per indirizzare la partita nel verso giusto. Con il contributo, specie difensivo, del rientrante Hollis-Jefferson. Sempre soffrendo contro il lungo di turno (Nurkic) ma mostrando buona efficacia difensiva contro il temuto backcourt di casa. Vittoria meritatissima e bilancio pari nel tour occidentale! Not bad…
Jazz (L, 114-106). Purtroppo, il veleno è sempre nella coda: l’ultima della striscia di trasferte è la più amara, non tanto per il risultato, quanto per il solito andamento (parziale clamoroso subito, fino al -18, per poi dare il via ad una rimonta entusiasmante sfumata per un niente nel finale) e, più di tutto, perché l’esito della gara è pesantemente condizionato dall’infortunio occorso a Russell, di cui abbiamo detto in precedenza… Lui negli spogliatoi, è come se mancasse la soluzione finale di un rebus. Si torna a casa, con una pesante nube nera che si addensa sul viaggio di ritorno…
https://youtu.be/QyF3TjyS6X0
[wdi_feed id=”1″][wdi_feed id=”1″]D’Angelo Russell, il futuro, il leader sul quale la squadra riponeva ogni speranza, il giocatore più clutch visto negli ultimi anni, l’uomo con il ghiaccio nelle vene, sarà fuori ancora per parecchio tempo. Un solo dato può bastare a chiarire la sua importanza per una franchigia in faticoso rebuilding: fino alla notte del 13 novembre, Russell faceva parte della ristretta élite di giocatori capaci di totalizzare una media di oltre 20 punti, 4 rimbalzi e 5 assist per gara. In sua compagnia, solo altri sei: un club esclusivo composto da gente come Harden, LBJ, DMC, KD, Steph, Dame!
Da qui in avanti, chissà ancora per quanto, va in scena la terza edizione dei Brooklyn Nets di quest’anno (la prima era durata meno di una partita): la sfiga ci vede davvero benissimo. Eppure…
Celtics (L, 102-109). Poteva andare peggio. I leader incontrastati della Conference piazzano il solito (per i Nets) parziale ammazza-partita nel terzo quarto, arrivando quasi al ventello ma, a suon di triple, i ragazzi terribili di Atkinson risalgono la china fino a giocarsela quasi alla pari a poco più di un minuto dal termine, quando la classe superiore di Irving, Brown e Tatum chiude la contesa. Ma Dinwiddie va in doppia doppia ed alimenta Harris ed i redivivi Crabbe e Levert: alla prima uscita con Spencer titolare è già 40% dall’arco! Forse la notte non è così buia, dopotutto…
Jazz (W, 118-107). I cattivi presagi legati al ritorno dei Jazz vengono rapidamente fugati da una prova maiuscola, di squadra, sia pure agevolata dalle tante assenze anche nelle fila ospiti. È la definitiva consacrazione di Spencer Dinwiddie, che entra nella storia come primo giocatore della franchigia a mettere insieme 25 punti, sei triple ed 8 assist in una gara ufficiale! Al di là delle cifre, lascia a bocca aperta il suo gioco nello stretto, che agevola spaziature, ribaltamenti, tiri a buona percentuale: è la seconda gara consecutiva con Dinwiddie titolare, e la seconda con percentuali dall’arco superiori al 40%. La partita non ha storia, per una volta, la vittoria è gustata senza patemi…
Intanto, sul fronte societario, Sean Marks si lascia sfuggire il possibile ricorso alla Disabled Player Exception (DPE). Giova ricordare come funziona: si tratta di spazio salariale aggiuntivo garantito dalla Lega alle franchigie che soffrono l’infortunio di un giocatore la cui stagione ne venga completamente compromessa. Il valore è pari a circa la metà del suo salario annuale, va riservato all’acquisizione dei diritti di un free agent o di un giocatore in scadenza di contratto, può essere utilizzato in una trade, non è cumulabile, né scindibile; va richiesta entro il 15 gennaio e poi utilizzata entro il 10 marzo. Per potervi fare ricorso, occorre avere uno dei 15 spot liberi.
Non me la sento di fare pronostici, mi limito ad auspicare, prima della deadline, mosse tali da garantire l’arrivo di una backup guard, anche (perché no?) dalla galassia G-League (che, stavolta, non ci si lasci soffiare un giocatore dal potenziale offensivo dirompente come Milton Doyle, che a Long Island sta facendo sfracelli, please!) e di un lungo giovane ma di potenziale.
Warriors (L, 111-118). Un disastro annunciato, nonostante l’assenza di Kevin Durant…o forse no? Primo tempo disarmante, Golden State fa ciò che vuole costruendo il suo gioco intorno a continuo movimento senza palla, blocchi e pop up e dilata il suo vantaggio fino al +28, nel solito terzo quarto. Poi subentra Jarrett Allen (raramente il suo ingresso in campo passa inosservato: pochi minuti di reale autonomia, ma potenziale da vendere, per questo ragazzone!), c’è il season-high di Allen Crabbe (25, in lenta ma costante crescita, se continua così…), Steph Curry è fuori gravato di falli e succede l’imponderabile: i Nets risalgono fino al -4, Golden State pare annichilita, subisce la grinta dei bianconeri, è costretta a schierare di nuovo il suo miglior quintetto. Ci penserà Klay Thompson a togliere d’imbarazzo i suoi. Come al solito, ci si sveglia solo dopo aver regalato un margine di sicurezza all’avversario di turno ma, dopo una rimonta così, cosa imputare a questa squadra?
21+8 per Spencer Dinwiddie, un gigante anche per continuità. Giunto, ormai, mentre scrivo, credo a dieci gare consecutive con 6 o più assist: una striscia aperta seconda, nella Lega, solo ad un certo James Harden! Visione di gioco e dei movimenti dei compagni, range di passaggio pressoché illimitato, pieno controllo del corpo e dei ritmi, scelte quasi sempre giuste. Non fa più notizia: semplicemente, leader! A lui la mia platonica retina del mese.
Cavaliers (L, 119-109). Al solito: si subisce, si lotta, si risale la china, si perde. Ma di fronte c’è sua maestà LeBron…Quando, nel finale, ingrana marce troppo alte per la carrozzeria dei Nets (18 punti consecutivi), l’esito è già scritto. Eppure, ancora una volta…resilienza! Da parte di tutti. Cito Jarrett Allen, Joe Harris (entra lui e piovono triple, ma ha anche aggiunto la capacità di mettere palla a terra: efficienza altissima quest’anno!), l’immancabile Dinwiddie che, senza essere in serata, ha messo in ritmo un po’ tutti, un Hollis-Jefferson semplicemente dominante nel secondo tempo. Poi alcune osservazioni tattiche: partiti malissimo in attacco, con una pigra circolazione sul perimetro o con un pick and roll senza mordente da parte del bloccante, Lue ha alzato la difesa sul cilindro e sono piovuti turnover, perché la palla finiva in angolo senza aver creato alcun vantaggio e la difesa aveva sempre buon gioco nel chiudere il malcapitato di turno. Le cose sono cambiate radicalmente con la second unit, grazie all’asse Levert – Allen. Hanno costretto i Cavs a difendere il pitturato, a fronte dei loro giochi a due, e questo ha agevolato le spaziature. Da lì sono venute triple o, in alternativa, assist dal centro verso il lato debole. Accorgimenti che hanno permesso perfino a Zeller di infilare una “bomba” (la prima della sua vita da professionista!). Il gap è nato tutto da LeBron: capace in azione di trasformarsi da bloccante in post alto a point guard, è migliorato tantissimo dall’arco ed ha quel passaggio in angolo che… più che un passaggio, è una fucilata capace, da sola, di generare decimi di vantaggio per lo spot up. Immarcabile. Ma, nel finale, ci fosse stato Russell…
https://youtu.be/33LIRKhj1cg
Blazers (L, 125-127). …già, se ci fosse Russell. Su come sia cambiata la squadra, anche nel modo di giocare e nella mentalità, non necessariamente in peggio, in sua assenza, torneremo a parte. Ma è innegabile che, fuori Dlo, i tantissimi finali combattuti rischino spesso di risolversi così, con l’amarezza per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Questa gara, che i Nets avrebbero meritato di vincere e che invece è sfuggita dalle mani a causa del solito scotto da pagare sotto canestro, ne è l’emblema: gran primo tempo, ma gli ospiti si rifugiano da Nurkic e il vantaggio, così faticosamente costruito, viene bruciato in un battito di ciglia. Poi gara punto a punto, Allen sempre prezioso su ambo i fronti, specie fluidificando il P&R e producendo rimbalzi offensivi con quelle braccia infinite, e Rondae Hollis-Jefferson letteralmente consacrato: difensore ovunque e su chiunque, ha il QI necessario per portarsi lontano dalla sfera d’influenza del lungo avversario, di cui spesso soffre la stazza, per allontanarsi dal canestro e, da lì sfruttare la rapidità di passo per attaccare il mismatch. Con il miglioramento e la fiducia crescente nel tiro dalla media, la sua è una duplice minaccia difficilmente battezzabile: ecco che un suo pick and roll altissimo, giocato con Dinwiddie e chiuso con circus shot e libero supplementare, regala spettacolo puro! Tutto reso vano all’ultimo giro di lancette, quando non si è più fatto canestro. Manca, eccome, il go-to-guy, poche chiacchiere…
Se una lezione può trarsi da questa sanguinosa sconfitta, è che non si può prescindere troppo a lungo dall’avere sul parquet un big man sufficientemente produttivo. Ciò che Mozgov non è, che Zeller ed Allen stanno diventando, se vogliamo anche sorprendentemente, ma sempre con minutaggio troppo limitato. Consigli per gli acquisti, Sean…
Grizzlies (W, 88-98). Inizia un mini-tour di tre gare nel sud-ovest e, dopo una sconfitta così, da una squadra giovane e costantemente injury-proned, ti aspetteresti un contraccolpo psicologico… Ma la parola d’ordine è sempre la stessa, per questi Nets: resilienza! Privi anche di Crabbe (lombalgia), fuori Rondae in corso d’opera (distorsione), sotto nel punteggio, Dinwiddie alza i ritmi, Carroll si erge ad MVP, ottima prova dall’arco per tutti, si prende il largo e, non senza qualche patema, si strappa una vittoria preziosa. Occhio: i due neo-inquilini della fin troppo affollata infermeria resteranno fuori fino a fine novembre…
Houston (L, 117-103). Sconfitta annunciata sviscerata per voi il giorno dopo; per i curiosi, trovate i dettagli qui.
Maverics (W, 104-109). Si consuma la nemesi. Dinwiddie è il presente e incide sulla partita. Yogi Ferrell è un passato solo sfiorato e non lascia il segno. Discorso (si spera) definitivamente chiuso. Contro questi Mavs, il rientro di Carroll (sontuosa stagione, fin qui, la sua) basta e avanza per meritare la vittoria. Eppure si rischia di gettare anche questa alle ortiche perché manca chi la decida nel finale…e perché si peggiora costantemente nelle percentuali dalla lunetta. Il dato è evidente da tempo, ma qui rischia addirittura di decidere la partita quando, nei secondi finali, Dinwiddie (quoque tu…) fa 0/2. Ma, per una volta, sono i Nets ad essere premiati dai dettagli: due rimbalzi offensivi nei momenti topici, ad opera del solito e solido Trevor Booker (Anthony Puccio sottolinea da par suo la consistenza di questo guerriero, mister doppia doppia, e la sua importanza nelle vittorie) sigillano il risultato.
Appunti dal campo. Doveroso gettare lo sguardo su cosa sia cambiato tra il prima ed il dopo-infortunio a D’Angelo Russell, perché lui e Dinwiddie sono guardie estremamente differenti tra loro: il gioco di Atkinson, profondamente point guard – oriented, non può non soggiacere a radicali mutamenti. Talento offensivo innato, Dlo, intelligenza tattica, difesa e tanto lavoro di correzione in palestra, SD; genio e sregolatezza, eroe dell’ultimo tiro, il primo; QI e visione del gioco, uomo-squadra, regista da lungometraggi, il secondo; capacità di vedere finestre per il tiro e linee di passaggio nascoste, l’ex Lakers, costruzione dei giochi e scelte sempre ragionate, la steal pescata in G-League; architetto di fama mondiale, artista tanto egocentrico quanto geniale, l’ex seconda scelta assoluta, ingegnere di provincia, il buon Spencer. Il costruttore Atkinson deve per forza di cose rivedere l’intero progetto, se al tavolo da disegno l’ingegner Brambilla sostituisce Renzo Piano, oppure no?
La mia prima idea (dopo aver metabolizzato lo sconforto) è stata che, ad esempio, Caris Levert, fino a quel momento sempre un fattore in difesa, ma decisamente poco incisivo in attacco, potesse trarne addirittura giovamento: il ragazzo non è un tiratore nato, non è uomo da situazioni di spot up, ma un discreto atleta dalle lunghe leve, bisognoso di essere coinvolto nel gioco, di entrare in fiducia, di essere innescato sul primo passo per andare nel traffico, negli spazi stretti, il che, a mio avviso, è la sua dote principale. Avere affianco una PG naturale, piuttosto che una combo accentratrice, non può che giovare alla sua rinascita, mi dicevo (e scrivevo sui social). Le mie opinioni e letture saranno suffragate dalle cifre: 34% dal campo, con il 21% dalla linea dei tre punti, prima; 50% e 38%, rispettivamente, poi! Un progresso palpabile, oserei dire emblematico, per il sophomore, da cui ci si aspetta, quanto prima, l’esplosione definitiva.
Quel che si vede sul campo è, intanto, una crescente versatilità sul fronte difensivo. Non voglio attribuirla ad una migliore difesa da parte di Dinwiddie, sarebbe senz’altro riduttivo e fuorviante…C’è maggiore sincronismo nelle rotazioni, un maggior coinvolgimento dei lunghi, una migliore protezione del ferro. Forse anche per via di un più limitato e razionale ricorso allo smallball. Questo aspetto sarà da rivalutare nel lungo termine, perché potrebbe essere stato condizionato dalle assenze: a fine mese i Nets, oltre che senza i soliti lungodegenti, si sono ritrovati privi dei loro migliori realizzatori: Carroll, Crabbe, Hollis-Jefferson! Non c’è ancora una precisa identità difensiva: ultimamente sono aumentate le situazioni di matchup e si è scoperto addirittura l’uso della difesa a zona! Il che testimonia, sì, la capacità di adattamento e la voglia di sperimentare di Atkinson, ma anche la disperazione di fronte alla persistente difficoltà nel tenere gli uno contro uno e, soprattutto, sulle varianti del pick and roll. La difesa resta, tatticamente, la matassa più difficile da districare per questa squadra…
In fase di attacco le maggiori novità dei Nets 3.0: Dinwiddie ha imposto ritmi decisamente più controllati, se si eccettua il frequente ricorso agli assist “coast-to-coast” in transizione. Il numero 8 bianconero è sempre alla ricerca dell’uomo libero. A supporto di questa scelta strategica, si assiste ad un maggior movimento off the ball da parte di tutti i compagni, con maggior applicazione dei lunghi nel portare blocchi ciechi. L’attacco si sviluppa, a differenza che nell’era Russell, su più fasi (mutuo dal linguaggio rugbistico) contro la difesa schierata, con ricorso frequente allo scarico e ad un secondo, anche terzo pick and roll. In più, sovente si vede una guardia schierata in punta al sistema, anche a nove metri dal canestro (spesso è lo stesso Dinwiddie), pronta a ricevere e ripartire, oppure a girare rapidamente la palla in angolo dopo aver richiamato “l’uscita” del difensore. Questo molto più frequente ricorso all’extra-pass si traduce, in soldoni, in un abbassamento del ritmo (primi con un Pace pari a 107,74, prima dell’infortunio di Dlo, ottavi con 101,4, dopo), ma anche in un minor numero di palle perse (15,4 vs 14,5), una migliore e più efficiente circolazione (EFG 49,3% vs 53,8%; AS/TO 1,32 vs 1,69; AS% 54% vs 60,4%), più accurate scelte nella selezione dei tiri (3P% 33,4% vs 37,6%).
Il tutto, ovviamente, comporta maggior coinvolgimento e responsabilizzazione di tutti. Un platoon system offensivo che giova alla fluidità della manovra durante la gara, ma che lascia la squadra drammaticamente priva di un punto di riferimento, di un go-to-guy nei finali combattuti. Il che, per i Nets, non certo avvezzi ad ammazzare le partite, è poco meno che un dramma, in attesa che Crabbe assuma un ruolo per il quale parrebbe naturalmente portato e per cui, soprattutto, è profumatamente pagato!
Sono solo otto gare ed è auspicabile che ne seguano il minor numero possibile, privi della propria star. Va dato atto a tutti di aver sopperito ai limiti strutturali ed alle disgrazie con tanta voglia di lottare e di crescere: scagli la prima pietra chi sa fare il nome di una franchigia in grado di realizzare risultati migliori priva del backcourt titolare e di un centro titolare di ruolo! La vera sfida, il banco di prova definitivo, per coach Kenny, ormai non più immune da critiche, sarà, però, il rientro di D’Angelo: sarà in grado di integrare la dirompente crescita e la capacità di ragionamento di Spencer Dinwiddie con il genio e le doti di realizzatore di D’Angelo Russell? Se si, ci sarà di che divertirsi….
Stay tuned!