Se due indizi fossero sufficienti a fare una prova, dovremmo saltare alla conclusione che febbraio è il mese nero per le squadre guidate da Atkinson. Ma Kenny è solo un sophomore, come head coach, ed ha allenato una sola squadra nella sua carriera, per cui varrà la pena di concedergli i benefici del dubbio e delle attenuanti. Occorrerà comunque dire che febbraio, per la seconda volta su due stagioni, è stato foriero di cambiamenti radicali, di risultati disastrosi, di grandi attese frustrate dal mercato…e di un’unica perla, ma memorabile. Procediamo con ordine.
La cronaca. Eppure il mese si era aperto sotto i migliori auspici, con la chiamata di Spencer Dinwiddie all’All Star Game di Los Angeles (praticamente la consacrazione in casa, per il ventiquattrenne californiano prodotto di Colorado), per la prova dello Skills Challenge! Una convocazione strameritata, per un giocatore che sgomitava tra le pieghe della Lega di sviluppo fino a pochi mesi prima e divenuto, sotto l’ala protettrice di coach Kenny, il migliore in assoluto per rapporto assist/palle perse!
La notte successiva, però, i Nets non celebreranno lui, ma il ritorno di Brook Lopez al Barclays, dopo la trade estiva…Un accoglienza da re, per l’ex bandiera della squadra, che lui ha voluto onorare con una prestazione sontuosa e con la giocata che ha deciso la partita a favore dei Lakers… Decisivo il dominio giallo-viola sotto le plance: 18 rimbalzi offensivi concessi hanno reso vano il losing effort del trio Dinwiddie-Russell-Allen, quest’ultimo al suo career-high (20) nonostante presto costretto in panchina, gravato di falli.
L’ennesima sconfitta all’ultimo minuto non suscita reazioni d’orgoglio, stavolta, anzi: con Milwaukee si tocca il fondo, trasmettendo un fastidioso senso di impotenza di fronte allo strapotere fisico ed atletico di Antetokounmpo ed Henson ed alle giocate sui blocchi, specie dal mid range, di Bledsoe e Middleton. I Bucks colpiscono, cioè, dove sanno di far più male, smascherando i soliti difetti bianconeri e dominando la gara a piacimento, fatta salva la solita, inutile rincorsa del terzo quarto, guidata da un Levert che, di qui innanzi, salterà quasi tutte le partite causa stiramento, privando i Nets della sua capacità di alzare i ritmi uscendo dalla panchina.
La sfida contro la corazzata Rockets giunge in un momento quanto mai inopportuno, tra risultati che non arrivano, gli infortuni di cui sopra, una frontline ridotta all’osso (ci sarà, infatti, l’esordio di Carroll in spot 4, not bad!) ed il mercato che impazza. La squadra ci prova ed esce a testa alta, ma il risultato non cambia, nonostante le buone percentuali al tiro la difesa è troppo molle e discontinua contro i giochi a due Harden-Capela o le invenzioni di Cris Paul.
Partita completamente diversa a Detroit, ma esito immutato: dominio Pistons nel pitturato, orgogliosa reazione guidata dall’asse Dinwiddie-Allen anche a creare spazi e tiri per un Crabbe indemoniato (34 punti, di qui in avanti il fuciliere dal lauto ingaggio diventerà una bocca da fuoco quasi infallibile!), Griffin…griffa finale e vittoria spazzando via, dal post basso, ogni resistenza!
Dante Cunningham. Dicevamo del mercato: dopo una ridda di voci e le grandi aspettative di cambiamento…la montagna partorì il topolino: in uno scambio a tre lungo qualche giorno, Tyler Zeller, completamente rigenerato dalla cura Atkinson, saluta e va ai Bucks, in cambio di Rashad Vaughn, il quale fa in tempo a vestire la canotta bianconera per qualche minuto, per poi essere scambiato ai Pelicans per Dante Cunningham! L’ala veterana farà il suo esordio proprio contro i suoi compagni di due giorni prima e, dopo un breve rodaggio, si rivelerà un’aggiunta non da poco: vero stretch big, capace di assicurare tanto campo aperto quanto battaglia e reattività a rimbalzo, sfilerà ad Okafor e, soprattutto, ad Acy il ruolo di lungo di rincalzo a suon di prestazioni maiuscole. 7,7 ppg, 6 rpg in 21′, tira col 46,7% dall’arco e vanta un TS% pari a 58, ma è anche il migliore del mese per defensive rating (101,1). Il classico low risk – high reward player, peraltro in scadenza a fine anno…
New Orleans, dopo Detroit, è un’altra squadra cambiata in modo significativo dalla trade deadline, perché ha sostituito l’infortunato DMC con un giocatore completamente diverso come Mirotic. Cambia il copione, ma non il finale: si sprofonda a -28, prima di trovare il bandolo della matassa ricorrendo ad uno smallball energico ed efficace che manda completamente in tilt gli avversari e si riagguanta la partita con il solito Crabbe a pochi secondi dalla sirena… Poi scelte sbagliate (insistere nei supplementari con un quintetto piccolo allo stremo per via della lunga rincorsa) ed i soliti errori arbitrali (nonostante tutto, a fine primo overtime, un fallo di Rondo sul Dinwiddie grida ancora vendetta: sarebbero stati i liberi di una clamorosa vittoria…) condannano i Nets, ma che grinta!
Ci si aspetta un seguito felice, quasi un risarcimento per tanta malasorte o un premio per cotanta voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo e invece, al Barclays, chiudendo il trittico contro le squadre più stravolte dal mercato di febbraio, si registra l’ennesima involuzione: Lou Williams e DeAndre Jordan dispensano pick and roll incontestati ed i Clippers dominano ben oltre il punteggio finale, nella gara, forse, più sconfortante del mese, quella in cui maggiormente si avverte il fardello delle assenze.
A casa dei Pacers l’ennesima batosta psicologica, dopo una gara ben condotta, soprattutto grazie ad un Russell sempre più leader e ad un Crabbe ormai irrefrenabile, e gettata ancora una volta alle ortiche nel finale, fa guardare alla pausa dell’All Star Game tirando un sospiro di sollievo, come un timeout ben chiamato!
Dinwiddie e la definitiva consacrazione. E venne il giorno….anzi, per noi che osserviamo dall’Italia, la notte magica del Taco Bell Skills Challenge 2018. Spencer Dinwiddie, con la canotta bianconera, protagonista dell’ASG, incarna il new deal di Brooklyn, regala la prima, significativa certificazione di qualità al progetto Nets 2.0 e consacra sé stesso, sconfiggendo, in successione, Hield, Murray e, in finale, Markkanen ed alzando il trofeo davanti alle telecamere di tutto il pianeta!
Ha gli occhi di chi ci crede, Spencer, quello sguardo determinato di chi ha avuto una possibilità dalla vita e non intende fermarsi di fronte all’ultimo gradino. Lo si nota fin dal suo ingresso in campo allo Staples, praticamente a casa sua, di fronte ai familiari ed agli amici di sempre, ma, soprattutto, ad osservatori e “specialisti” che ancora neppure sanno pronunciarne il cognome (il nostro pur bravissimo Mamoli). Dopo due prove così così, in cui si attarda nel centrare “il buco” con il passaggio dopo lo slalom e la vittoria si materializza grazie all’arresto ed al tiro perfetti alla prova da tre punti, in finale Spencer domina, ha il tempo di commettere anche il primo errore al tiro ed aggiustare la mira con il secondo tentativo… Il giorno dopo, sia pure in secondo piano rispetto a Donovan Mitchell e Devin Booker, l’immagine di Spencer con la sua coppa, con la maglia dei Nets, farà il giro del mondo… Non poteva esserci finale migliore per la favola di questo ragazzo dal talento un po’ opaco, che Sean Marks ha saputo scovare nel fango ed Atkinson lavorare fino a renderlo cristallino. Tanto cristallino, da rifiutare, a dar retta ai rumors, perfino un’offerta da Cleveland…
Come ogni bel sogno, anche quello della parata delle stelle, però, conosce una fine ed il ritorno alla realtà è, sovente, piuttosto duro: a Charlotte i Nets reggono per tre quarti, frustrando ogni tentativo di fuga dei padroni di casa, grazie alla combo Russell-Dinwiddie (prova sottotraccia per l’eroe di Los Angeles, ma di estrema intelligenza) ed a Cunningham, che ha messo in scena un clinic difensivo e, soprattutto, sul significato della figura del lungo moderno, bidimensionale, atletico. Il tutto finché non è salito in cattedra Kemba Walker, il trascinatore che manca ancora a Brooklyn, autore di una giocata ripetuta in ciclostile più e più volte, fino a sigillare la vittoria: uso dei blocchi sul palleggio laterale, costruzione del mismatch giusto e del vantaggio sufficiente a piazzare la conclusione dal mid range (terra inesplorata per i bianconeri…) o assistere il compagno sotto il ferro. Il tutto con Cunningham tenuto inspiegabilmente in panchina proprio quando sembrava più “caldo”…
Bisognerà tornare al Barclays e ricevere i Bulls, ormai dichiaratamente dediti all’impiego dei ragazzi (tradotto in soldoni: al tanking selvaggio), per riassaporare il gusto della vittoria, riabbracciare gli swing brothers, con Levert, in particolare, subito determinante, e per tornare ad esaltarsi per un giocatore e per una sua giocata, la schiacciata di Jarrett Allen sulla testa di Markkanen (un portafortuna, evidentemente, per i bianconeri…) che ha fatto vibrare l’intera arena e funto da propulsore per i suoi, per prendere, definitivamente, il largo.
Ci penserà LeBron, subito dopo, a spegnere le tiepide velleità di rinascita bianconere, piegando con la solita tripla doppia ed il dominio in ogni ruolo la pur coriacea resistenza della truppa di Atkinson che, stavolta, ha tenuto testa ai rinnovatissimi Cavaliers fino all’ultimo minuto, per compromettere tutto con una giocata discutibile sull’asse Russell-Allen.
Un asse dal talento straripante, ma pur sempre 41 anni in due ed un destino da incompiuti che, evidentemente, non è l’anno giusto per riscrivere.
https://youtu.be/_U3HnvW2JYA
Note tecniche. A febbraio, come accadde anche lo scorso anno, tante e tali sono state le novità tecniche viste in campo da poterlo quasi segnare sul calendario: una rivoluzione copernicana! Purtroppo i risultati non solo non ne hanno giovato, nonostante uno stile di gioco progressivamente più fluido, ma anzi hanno toccato il punto più basso della stagione. Diventa anche difficile mettere ordine tra le mille annotazioni, per chi ha la presunzione di voler raccontare.
Quintetti e gerarchie. Nel dubbio, preferisco provare a seguire la via più semplice, partendo dalle basi: il quintetto titolare. L’assenza forzata di Hollis-Jefferson e Levert, quella di Acy per alcune gare ad inizio febbraio, l’arrivo di Cunningham alla trade deadline, il progressivo reinserimento a pieno minutaggio di Russell hanno cambiato volto alla squadra e, se il quintetto indiscusso, ad inizio mese, era SD, Crabbe, Carroll, Acy, Allen, via via abbiamo visto DeMarre scivolare in spot 4, Crabbe in SF e infine, dopo un interregno di Harris (giocatore di una costanza, di un QI e di un’affidabilità forse pari al solo Carroll!), il rientro di Russell nello starting five, a condividere le chiavi della squadra con Dinwiddie, stante l’insostituibilità di Allen a centro area. Nella second unit, Cunningham si è guadagnato un impiego crescente per via di un rendimento a tratti sorprendente, sottraendo spazio al buon Quincy (prezioso in difesa ma troppo monodimensionale in attacco), Okafor e Stauskas si vedono sempre meno e le gerarchie appaiono più definite, anche se il prodotto finale di questo lento lavoro di cesellamento è una panchina decisamente più corta e, purtroppo, causa infermeria sempre piena, significativamente meno produttiva. Nei mesi precedenti avevamo a più riprese sottolineato l’importanza dei rincalzi, spesso autori di rimonte inattese, comunque in grado di assicurare un buon contributo di punti e, soprattutto, il necessario cambio di ritmo su ambo i lati del parquet; a febbraio questo non è accaduto e si è avuta sovente la sensazione che, esaurito il compitino, i Nets non riuscissero a cambiare marcia quando la partita in corso lo richiedeva, rassegnandosi a veder scappare gli avversari. Con poche, clamorose ma sempre sfortunate eccezioni. Ha pesato, in questo senso, l’assenza di Levert, subito efficace al suo rientro a fine mese e apparso anche più capace di selezionare le proprie conclusioni (pochi tentativi, ma 50% delle triple a bersaglio).
L’attacco. In fase offensiva la rivoluzione ha pagato dividendi: Dinwiddie era, ormai, progressivamente sempre più disinnescato dalle difese avversarie, sistematicamente raddoppiato sul palleggio e limitato da strategie di contenimento (con il lungo pronto a chiudere il corridoio) sui pick and roll. Prima dell’inserimento di Russell nel quintetto, le alternative ai giochi a due ed ai suoi continui drive erano praticamente inesistenti ed era facile contenere i Nets sul perimetro, costringendoli a forzature al tiro o ad attaccare nel pitturato a testa bassa, nel traffico, senza costrutto.
https://youtu.be/9RqsQxK-tCg
Con Russell in campo le cose cambiano ed avere due PG sul parquet ha visibilmente implementato le alternative in attacco. Si è assistito ad un’ampia condivisione delle responsabilità, ad una significativa riduzione delle conclusioni da parte di Dinwiddie ma ad un suo playmaking ancor più efficace (9,1 apg contro sole 1,6 palle perse), con Russell deputato ad alzare i ritmi in contropiede o a costruire tiri dal palleggio. A giovare della migliore circolazione (27 apg contro soli 13,4 TOpg), favorita anche dai discreti progressi nel passaggio da parte di Allen, soprattutto Crabbe (oltre 17 ppg top scorer e retina del mese), Carroll (oltre il 40% dall’arco) ed il sorprendente Cunningham, impiegato da 5 in modalità smallball ma, soprattutto, come stretch four. Il catch and shoot, con Crabbe pronto ad uscire di blocchi, Carroll in situazione di spot up in angolo debole e Dinwiddie schierato in posizione laterale, anche lui pronto a ricevere, sono state forse le fasi di gioco più caratteristiche ed efficienti del mese. Il contraltare alla tutto sommato non negativa esplosione del tiro dalla lunga è stato rappresentato da un vistoso calo di rendimento a rimbalzo (42,7 rpg vs 45,5 di gennaio, Reb% 45,3 vs 50%), un ulteriore abbandono del mid range ed un crollo dei falli subiti (una media di 16,2 ad allacciata di scarpe, era 23 ad inizio stagione!): tutte categorie che hanno pesantemente risentito dell’assenza di RHJ, a mio avviso, per distacco, il migliore su tutti e tre i fronti.
La difesa. Decisamente non è stata la fase offensiva il tallone d’Achille del febbraio nero, anzi: 35,2% da tre punti (a gennaio 33,5) con oltre 39 tentativi a gara (il massimo si era registrato a dicembre con 35,2!). Benché l’assenza degli swing brothers sia stata pagata anche in termini di velocità (Pace sempre sotto i 100), la difesa, a mio parere, è stata quella che più ne ha risentito: basti pensare che a Levert era sovente affidata la marcatura del top scorer avversario e che Rondae era designato sul palleggiatore nei finali a cavallo tra dicembre e gennaio, ovvero il periodo difensivamente più riuscito di questa stagione… Ancora qualche cifra fortemente esemplificativa: le stats degli avversari, dal campo e da tre, recitano, rispettivamente, 48 e 41,3%, con un defensive rating, per i Nets di febbraio, pari 112,7. Si tratta di cifre sconfortanti, nonché dei peggiori dati mensili di una già non proprio esaltante annata difensiva: percentuali vertiginose, quelle concesse al fortunato di turno, dalle quali è stato poi impossibile risalire la china.
La sofferenza nella propria metà campo diventa dolore acuto nel pitturato: il gap di chili e centimetri costantemente pagato in posizione di ala forte dà vita ad una miscela pericolosa se combinato con i limiti di Jarrett Allen: il rookie è una forza della natura, un diamante grezzo e in attacco regala preziosismi, ma è troppo solo a rimbalzo (42,7 la media di squadra nel mese, peggior dato stagionale) e, in difesa, fatica nello show, lasciando libero il tiro dal gomito, e soffre maledettamente sul post basso, dal quale i più esperti lunghi avversari lo hanno sistematicamente portato a scuola. La sensazione costante, assistendo alle dirette, è che, se l’avversario riesce a portare la palla nel pitturato, in qualche modo farà canestro. Se a queste lacune strutturali si aggiunge il costante ritardo del Russell post-infortunio nell’eseguire le necessarie rotazioni, ecco che si spiega, eccome, la facilità con cui la prima linea “nemica” arriva al ferro.
Aspettando primavera. Segnali di risveglio, come già accennato, a fine mese, non tanto per la facile vittoria contro i derelitti Bulls o per il terrificante poster che Allen ha inchiodato al canestro, con l’effige del povero Markkanen, facendo impazzire il Barclays. A Cleveland ce la si è giocata, cedendo sotto le sciabolate del solito LBJ e per errori di gioventù, ma, insomma, si è rivisto lo spirito di fine anno scorso in una veste nuova, quella di una squadra che varia i suoi giochi, meno prevedibile, più “catch & shoot” e meno pick & roll oriented, si tira con più fiducia.
Affiora, tuttavia, il difetto atavico, lo stesso di sempre: l’incapacità di cambiare passo, di innescare le marce alte, di chiuderla quando si può. Riemerge la sindrome della coperta corta: D’Angelo in campo assicura il sistematico innesco dei tiratori, non è un caso che le percentuali dall’arco siano così cresciute, ma è ancora un vulnus difensivo, restando sovente piantato sui blocchi e dimenticando di ruotare. Ha pian piano ripreso in mano il timone della squadra, riacquisito la leadership lasciata ad interim nelle mani di Dinwiddie. Se l’è meritata, cambiando il volto alla squadra nelle ultime partite, ma nei finali non è ancora tornato clutch, caldo, anzi, nelle ultime gare, da sue scelte sbagliate sono arrivate due sanguinose sconfitte. Se un mese e mezzo fa la difesa sorprendeva ma si faticava a trovare alternative al pick and roll di SD, cambiando quintetto si assiste al problema opposto ed il risultato finale non cambia, anzi…
Si tratta probabilmente, del dazio da pagare in una stagione tanto sofferta, tra infortuni e giocatori tutti da sviluppare, con una strategia che, in palestra, pone la crescita dei singoli dichiaratamente al primo posto; nonché per aver scelto di puntare su una squadra tanto giovane e grezza, imbottita di role-player ma sostanzialmente priva di stelle polari in grado di indicare la rotta nei momenti di tempesta. Ma questa è la strategia, lo ripeto fino alla nausea: se non possiamo ancora scegliere al draft, né ambire alle stelle, i giocatori bisogna fabbricarli in casa, e ci vuole pazienza… quella stessa pazienza che ci porta ancora a fare l’alba, nonostante la quasi certezza di andare a letto delusi.
Auspicando l’arrivo anticipato della primavera, per rischiarare il buio di febbraio…ad maiora!