Quando la lega di sviluppo organizzata dalla NBA vide la luce (2001), con l’obiettivo di favorire la crescita e lo sviluppo dei giovani ancora non pronti al grande salto nel basket che conta, ben poche furono le franchigie che credettero nel progetto (solo 8, addirittura scese a 6 nel giro di poche stagioni). L’allora NBDL era una sorta di purgatorio nel quale nessuno degli aspiranti al paradiso pro si augurava di cadere: salari “da fame” (ancora fino a due anni fa una media di 25K dollari), scarsissima attenzione mediatica, solo una grande speranza di essere notati dagli scout, lucrando magari di qualche infortunio ai piani alti. Oppure, nel peggiore, ma più verosimile, degli scenari, era un osservatorio per i club d’oltreoceano, decisamente più appetibili, non fosse altro dal punto di vista economico. Ancora fino a pochi anni or sono, i giocatori assegnati al piano di sotto, per via di infortuni o provvedimenti disciplinari, spesso cercavano sotterfugi per evitare di allenarsi o giocare in una Lega da molti giudicata umiliante. Si assisteva a tornei di livello tecnico scadente, tatticamente inguardabili, una lunga passerella di atletismi e virtuosismi individuali che avrebbero dovuto attirare sguardi, richiamare nuove opportunità, e ben poco altro.
Provate a guardare una partita della scorsa stagione di D-League. Meglio ancora, provate a gustarvi una partita di quella che, da quest’anno, ha assunto la denominazione di G-League (G come Gatorade, il nuovo main sponsor e non solo, presentissimo nel dare un indirizzo scientifico alla sua collaborazione, con studi articolati su nutrizione e idratazione degli atleti): errori tanti, senz’altro (l’età media del torneo è molto bassa e il livello tecnico non può, per antonomasia, essere quello della NBA), ma grande attenzione tecnico-tattica, coach che seguono la filosofia della casa madre ma giovani e capaci anche di sperimentare, notevole investimento sullo sviluppo di talenti, giocatori emergenti che fanno a gara per esserci, altri caduti nel dimenticatoio ed affamati di rilancio (ricordate Anthony Bennett? Nel Maine gioca e segna anche da tre!). E poi spirito di squadra, sostegno dagli spalti, staff tecnici meticolosi, spettacolo (quasi) sempre assicurato, ben precise fisionomie delle squadre in campo: la G-League è un campionato a tutti gli effetti, competitivo e di tasso qualitativo piuttosto elevato.
Abbiamo già a suo tempo parlato della riforma economica e contrattuale che ha coinvolto la Lega di sviluppo (link) e, già a suo tempo, avevamo ipotizzato che avrebbe potuto invertire il flusso osmotico di talenti attraverso l’Atlantico, impoverendo il Vecchio Continente (sempre più a corto di moneta) ed arricchendo di interesse la Minor per eccellenza del Basket stars and stripes. I fatti ci danno ragione. Le cifre del campionato parlano chiaro: il numero delle franchigie, ormai ciascuna delle quali affiliata ad una precisa squadra NBA, è salito fino a 26 (la prossima stagione vede già pronti i Washington Go-go ai nastri di partenza, restano solo in tre a non aver ancora un progetto definito, ma due hanno già annunciato il prossimo impegno), il salario oscilla tra i 75 e 225 K dollari a stagione, ben più appetibile della media dei club europei. Gli aspiranti fanno la fila per dichiararsi al draft di categoria o partecipare ai provini estivi e Adam Silver in persona sembra orientato ad attribuire alla G-League un ruolo centrale anche nella soluzione della controversa questione reclutamenti del College Basket, per evitare che anche l’immagine della sua Lega ne venga scalfita (link).
Dulcis in fundo, alla selezione dei migliori giocatori di G-League è stato affidato il compito di rappresentare gli Usa nelle gare di qualificazione ai prossimi giochi Americani (assolto, finora, in modo brillante).
Ancora: molti impianti, per quanto piccoli, sono spesso stracolmi, le promozioni per favorire l’ulteriore espansione del bacino d’utenza, soprattutto appannaggio di famiglie e giovanissimi, si sprecano, gli sponsor affluiscono. La Lega si è anche dotata di un avveniristico, per certi versi antesignano sistema mediatico. Ne parleremo: vale la pena di seguire il percorso evolutivo di una realtà sportiva che, quando sarà a pieno regime, come il campionato maggiore, assumerà un ruolo ancora oggi non del tutto immaginabile sullo scenario cestistico americano e mondiale.
Ma vale la pena anche di gettare un occhio su quanto succede sul campo, perché sta per chiudersi la Regular Season e, dalla prossima settimana, sarà playoff time, e ci sarà di che divertirsi! Tra le tante novità di quest’anno, anche la formula dei playoff, con accesso di dodici squadre, le sei vincitrici di Division (di cui le migliori 4 con bonus per il primo turno) e, a seguire per ciascuna Conference, le tre con i migliori record, cui spetta una sorta di wild card da usare in una fase preliminare, alla quale seguiranno tre turni ad eliminazione diretta fino ad accedere alle Finals, al meglio delle tre.
Sarà alto il livello agonistico, perché fin da ora si assiste a partite combattutissime tra le pretendenti agli ultimi spot disponibili, ma anche quello tecnico: se il meccanismo delle porte girevoli resta, ed è, forse, perfino lubrificato dalle nuove tipologie contrattuali (ciascuna società ha a disposizione due giocatori pensati proprio per andare in ascensore durante l’intera stagione); se è vero che siamo nella fase stagionale delle chiamate con contratti da 10 giorni da parte delle franchigie flagellate dagli infortuni, con i pezzi migliori che salutano e vanno a giocarsi la propria occasione in NBA; se è vero che questo ha impoverito la Lega di alcuni dei suoi talenti migliori (Cook è ormai stabilmente a roster con i GSW, ad esempio, così come Blakeney ai Bulls, Burke ai Knicks, mentre c’è anche chi viene pescato da franchigie non imparentate, come il figlio di Stockton, da Reno finito ai Jazz), vi è anche chi percorre l’autostrada in senso contrario (Hilliard o Murray, ad esempio, ai già tostissimi Austin Spurs). E restano in trincea fior di giocatori che hanno già vissuto la NBA in prima persona oppure hanno tutte le carte in regola per sfondare.
Ci saranno gran parte dei protagonisti della stagione in corso, consapevoli che i playoff saranno un palcoscenico seguitissimo. Ci sarà Luke Kornet, gigante dalle mani dolci di Westchester, ci saranno l’esplosivo DeQuan Jones ed Uthoff, lungo moderno se ce n’è uno, per Fort Waine, così come il re degli assist Magette, per gli Erie Bayhawks, verosimilmente Artis, se Lakeland taglierà il traguardo, o Felder e il dominante centro Nnoko da Grand Rapids, o la difesa totale dei Long Island Nets di Milton Doyle e di quel Whitehead che sta cercando di riconquistare un posto stabile tra i grandi con prove da 40 o 50 punti. Non ci sarà Lorenzo Brown, ma Best per i Raptors 905, organizzazione difensiva e Meeks e Thompson a far legna sotto il ferro. Così come Costello per Austin, tra le favorite di diritto. Ci divertiremo col basket totale e frenetico di Rio Grande, le bombe di Hunter, la velocità e la potenza di Waker; la multidimensionalità di Ashley per i Texas Legends, le bombe e la velocità di Caruso per i South Bay Lakers, Bryce Alford e Dakari Johnson a dare spettacolo e mostrare i muscoli per i Blue di Oklahoma…. Questi e tanti altri che faranno la gioia dei tanti appassionati, amanti del gioco e sempre a caccia di talenti semisconosciuti, vogliosi di scoprire le future steal di mercato.
Con tutte le variabili e le incognite, insite nella ragion d’essere della G-League, insomma, una vetrina dalla quale l’appassionato di basket, americano e non solo, difficilmente vorrà staccare gli occhi.
E sulla quale è facile, da quest’anno, tenerli puntati: per la prima volta nella storia del basket e dello sport professionistico in generale (salvo sporadiche apparizioni di prova), la gran parte delle gare in programma va in onda in diretta…su Facebook! Assistere, in modo del tutto gratuito e con una discreta definizione d’immagine, è semplicissimo ed alla portata di tutti: basta possedere un decente computer, tablet o telefonino, una buona connessione alla rete, essere registrati sul più usato social del pianeta e mettere il like sulla pagina della Lega. Il gioco è fatto: tra le notifiche, ogni sera ci sarà più di una partita proposta in diretta, senza contare la possibilità di gustare le repliche in qualunque momento.
La stagione regolare si chiude nella notte di domani e martedì 27 prenderanno il via i playoff: All-Around.net sarà in prima fila. E voi?