È difficile tirare le somme di un mese contraddittorio come quello di marzo: fanno capolino sensazioni contrastanti e, benché ci si esalti di fronte ad alcune prestazioni, individuali e di squadra, al netto dei sentimenti, il bilancio deve essere il più possibile asettico: non è stato un marzo positivo, non come ce lo si sarebbe aspettato. I Nets hanno viaggiato sulle montagne russe e, sia pure essendo usciti dal tunnel di febbraio, la sindrome della coperta corta l’ha fatta da padrona e molte aspettative sono rimaste disattese. Vedremo il perché alla luce di risultati sul campo e dati statistici.
Il leit motiv di marzo verterà, come vedrete se avrete la pazienza di arrivare fino in fondo nella lettura, sulla contraddizione tra la crescita individuale, talora esaltante, ed i risultati che latitano. Il che, in una stagione ancora interlocutoria e costellata di infortuni, ci può anche stare, a patto che sia frutto della superiorità degli avversari, di peccati di gioventù o di episodi sfortunati; meno, e ben più difficile da digerire, ove sia invece diretta conseguenza di scelte tattiche sbagliate o mancanza di mordente: questo è inaccettabile, per una franchigia che non ha alcun beneficio dalle sconfitte.
Navigare nei bassifondi della Lega, con record simili a quelli di squadre che tankano giocando con la terza ingranata o con le riserve, non fa onore e non favorisce la crescita di quelle che dovranno essere le pedine chiave del prossimo futuro, non migliora la credibilità di squadra e franchigia, non agevola le operazioni di mercato. E neppure aiuta i tifosi a capire: se è vero che una parvenza di gioco si inizia ad intravedere, lo è anche il fatto che, quando il tradizionale “passa e tira” non funziona, sembra non esserci alcuna alternativa e, spesso, non è un fatto di uomini, ma di schemi. Atteniamoci ai fatti e proviamo a mettere ordine.
La cronaca. Si parte malissimo: solo i Nets sono capaci di passare, senza fare una piega, dal battagliare quasi alla pari con i Cavaliers al perdere (all’OT) contro Sacramento, una squadra in pieno tanking che ha finito la partita con un manipolo di volenterosi ragazzi in campo, eppure ha strappato il supplementare e lo ha portato a casa. Croce e delizia, manco a dirlo, D’Angelo Russell, che prima ripristina il vantaggio inventando due triple, poi regala la partita agli avversari con alcune cervellotiche palle perse, decisive! Vale a poco la prova super dei soliti Crabbe e Carroll.
Non consola, tutt’altro, vedere i Nets primeggiare, per distacco, solo nella classifica degli errori arbitrali subiti (fonte NBA, pubblicazione dei primi di marzo!), il che non ha certo aiutato una squadra che ha visto decidersi solo negli ultimi 5′ più della metà delle partite giocate! Ma, se ti tremano le mani e ti mancano idee e risolutori nei momenti che contano, appellarsi alla sfortuna è da perdenti: la prova del nove è allo Staples, contro i rilanciati Clippers: ancora avanti di 8 a spiccioli dalla fine, i Nets non sanno più che farsene della palla e della partita, se non rivitalizzare Austin Rivers, eroe di giornata, e buttare alle ortiche palloni, stavolta con Russell a languire in panchina. Quando le soluzioni latitano quanto le idee e la gestione della palla, perché non fermare il tempo? Perché non provare con il talento del singolo? Atkinson aveva deciso diversamente ed ha lasciato che la partita gli sfuggisse di mano.
All’Oracle Arena, non si poteva mica sperare di meglio! Vittime di un primo quarto da dimenticare, i Nets hanno risalito la china con orgoglio, costringendo Golden State a giocare sul serio ma, quando i Warriors hanno messo sul piatto la loro difesa, si è spenta la luce. Prima di tornare a casa, però, arriva il primo exploit mensile, a Charlotte, ove Crabbe, con un primo tempo da 20 con percorso netto dall’arco, ha indirizzato la partita e Levert, nel finale, ha messo la sordina al tentativo di rientro degli Hornets, con una gestione da campione e 22 punti all’attivo.
Neppure il tempo di riprendere fiato, dopo aver tirato per un attimo la testa fuori dalla palude, che i Nets incassano una batosta ed una lezione di basket dai Sixers, parsi irrefrenabili grazie al sapiente uso dei blocchi ed alle irreali percentuali della interminabile batteria di tiratori di cui dispongono. Vano ed infruttuoso il tentativo dei bianconeri di star dietro al proprio uomo, ecco un’ottima occasione perduta per fare un uso più appropriato ed intelligente del tante volte abusato smallball; il momento migliore della squadra è stato durante l’inutile rimonta dal -19 al -6, con un quintetto atto a cambiare sulle marcature e con Okafor da centro: non è stata mai più riproposta… nessun aggiustamento, nessuna reazione dalla panchina: niente.
Come spesso è accaduto durante la stagione, dopo una partita oscena segue una reazione orgogliosa, e con i Raptors i Nets giocano un primo tempo stellare, con un Russell da record (24 punti nel primo quarto!), azzeccano le marcature, ruotano in difesa con tempismo e non lasciano conclusioni facili. Si resta in equilibrio fino a che non entra in scena il secondo quintetto canadese, guidato da Miles, che ha posto cinicamente sotto i riflettori il dato di fatto che loro sono al primo posto, perché han più di un giocatore in grado di risolverla, i Nets, invece, nessuno: più volte si sbaglia il canestro dell’ulteriore aggancio, nel finale, e Russell, il superlativo @Dloading della prima frazione, ne manca tre in fila e i giochi sono fatti… Idem con patate nella replica a stretto giro contro Philadelphia: gran partita, con la giusta scelta di riportare Dinwiddie in panchina, dalla quale ripagherà con una prova solida. Ma mille occasioni sprecate per vincerla e, nel convulso finale, il doppio errore di affidare a Dinwiddie la palla decisiva: un po’, perché prevedibile il suo drive; molto per l’altrettanto prevedibile doppio fallo subito senza che gli arbitri battessero ciglio. Ah, si è rivisto Okafor, con dieci minuti di alto livello perfino in difesa… Per poi sparire nuovamente dal campo.
Seguono le vittorie contro Dallas e Memphis, obbligate ma neppure così facili, anzi: sempre in difficoltà contro chi mette pressione sulla palla, sempre in crisi sui blocchi avversari, ci si è affidati a Crabbe, nel primo caso, a Carroll e RHJ, nel secondo, per togliere le castagne dal fuoco nei rispettivi finali, in partite di rara bruttezza tecnica. Quasi un presagio per una delle sconfitte più sanguinose della stagione, contro Charlotte: dopo aver scollinato i venti di vantaggio a metà terzo quarto, ecco l’inesorabile rimonta ospite, capitanata dal solito duo Walker-Howard, con quest’ultimo capace di mettere insieme 30 (sì, avete letto bene: trenta!) carambole mandando al bar il povero Allen e senza che i Nets trovassero, o neppure cercassero, la minima alternativa, con Okafor e Mozgov lì in panchina a languire. Risultato finale? Primo sorpasso subito a 20’’ dalla sirena e gara scivolata via ancora non sappiamo come.
Ancora Toronto a sbarrare la via alla voglia di riscatto bianconera e quella di sugellare, con una vittoria che ci sarebbe potuta benissimo stare, la prima tripla doppia di Russell e il record stagionale di triple di Crabbe: insieme ad Allen e Levert, probabilmente, le uniche certezze del futuro (ma con Marks non ci metterei la mano sul fuoco). Ancora un cedimento nel solito finale punto a punto. Un copione ormai ricorrente, per di più contro avversarie affrontate più volte nel corso del mese.
Il tempo di strabuzzare gli occhi di fronte ai tre quarti bellissimi giocati dai Nets contro i Cavaliers e da un Harris che meriterebbe ben altra celebrazione (30 punti e non solo triple, una forza della natura!), per poi veder naufragare tutto contro la difesa matchup estrema adoperata dai vice-campioni ed il ritorno in campo dei big Love e James…Magari sarebbe stato il caso di provare ad opporre loro qualche chilo in più, ma….
Ad Allen la palma del giocatore più migliorato difensivamente nel mese di Marzo, per la tenuta dimostrata nelle ultime due (Orlando e Miami, finalmente due belle uscite consecutive, con la ciliegina della vittoria in casa dei lanciatissimi Heat), ma a Levert (che contro la truppa di Spoelstra deve avere un conto in sospeso) quella di MVP della sfida e la mia platonica e personalissima retina del mese! L’importanza acquisita dal sophomore col 22 sulla canotta, in qualità di uomo di rottura off the bench, di sesto uomo di lusso, la sua capacità di attaccare i mismatch con quel primo passo apparentemente felpato, ma capace di rendere facili anche i drive più complessi, il miglioramento nella selezione dei tiri (il 38% o giù di lì, da 3 punti, a marzo), nonostante una fiducia ancora altalenante ed una fluidità nel caricamento e nel rilascio ancora rivedibile, la solita qualità difensiva, pur con qualche distrazione, lasciano intravedere già un giocatore di livello, ma anche opportunità di crescita incalcolabili. Dopo “the Fro” (mia personalissima opinione), è lui a detenere i più ampi margini di miglioramento; dopo Russell, il più probabile candidato a divenire una star.
Riflessioni sparse e qualche dato. Nets in altalena, dunque, a marzo come non mai. Si rafforza la sgradevole sensazione di una squadra che fatica a trovare la sua dimensione, l’identità, il giusto quintetto da schierare nelle fasi nevralgiche della partita. Bella per tre quarti, dannata nei finali. Esaltante in attacco, tenera come il burro in difesa: un mese da Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Qualche dato statistico rende l’idea più di mille parole: a marzo i Nets hanno palesato una circolazione di palla mai vista prima, grazie anche alla disponibilità a tempo pieno di tutto il pacchetto di PG (terzi assoluti per AST%), il che si è finalmente tradotto in percentuali adeguate dall’arco (sesti con il 38%, contro il 34,6 come dato medio dei mesi precedenti) ed in una complessiva crescita in attacco (111 ppg vs 105). Dall’altra parte del campo son dolori, però: 114,4 ppg subiti contro 109,6 dei mesi precedenti ed il peggior dato medio nelle percentuali dall’arco degli avversari (39,8% vs 36,4).
Cos’è la “sindrome della coperta corta” alla quale faccio riferimento da due anni a questa parte? Quella condizione per la quale, essendo i Nets zeppi di buoni giocatori situazionali ma ancora poveri di all-around players (work in progress), è difficile e, per Atkinson, sembra impossibile, trovare la giusta combinazione di risorse offensive e difensive. Tradotto in soldoni: il miglior quintetto per offensive rating, scegliendo, ruolo per ruolo, chi primeggia in questo preciso dato statistico è composto da Dinwiddie, Crabbe, Carroll, Acy e Cunningham. Il miglior quintetto difensivo, assemblato secondo lo stesso criterio sulla base del defensive rating, sarebbe Levert, Harris, Carroll, Hollis-Jefferson, Allen. Unico punto di contatto, manco a dirlo, il veterano Carroll, le cui continuità ed affidabilità in tutte le fasi di gioco fanno di lui un perno irrinunciabile. Chi attacca non difende. Chi difende non attacca. Dr. Jekyll e Mr Hyde, appunto…
Tempo di bilanci… Non inganni il record (5-9) in linea con quello stagionale e di tutti i mesi precedenti, fatto salvo il disastroso febbraio: il mese di marzo è stato per lo più deprimente. Un po’, perché ci si aspettava un ritorno di fiamma dopo l’ASG, così come era accaduto l’anno precedente, in modo da chiudere con un record rispettabile e non regalare la lottery ai Cavs, che detengono il controllo della scelta bianconera al prossimo draft; molto, perché c’era la speranza che pesasse di più il pieno recupero degli infortunati e che si fosse fatto tesoro dei tanti errori commessi strada facendo per tradurli in correttivi, miglioramenti, risultati. Così non è stato, ed anzi certe scelte sbagliate sono state reiterate apparentemente senza una logica ed un filo conduttore, inducendo tifosi ed osservatori (il sottoscritto appartiene ad ambo le categorie, quindi è disorientato il doppio) a dubitare della strategia societaria o delle qualità tattiche del coach.
Vero è che, mentre scrivo, ci sono segnali di ripresa: le vittorie a Miami, nell’ultima del mese di cui parliamo, quella a Millwaukee pochi giorni or sono; la prima, con Levert sugli scudi, la seconda con Russell di nuovo autore di un primo tempo da incorniciare e Crabbe clutch con due triple delle sue nel finale (il quarantanovesimo risultato della stagione deciso negli ultimi cinque minuti!). La chiosa agrodolce, però, non deve fuorviare dalla cruda analisi di marzo, né far dimenticare le sensazioni spiacevoli trasmesse dai Nets a chi osserva.
Polemiche… Poiché sui social d’oltreoceano, ed anche tra i tifosi sparsi nel vecchio continente, marzo è stato, probabilmente, il mese più denso di polemiche, mi corre l’obbligo di motivarne le ragioni, perché, ad onor del vero, tanto peregrine, certe osservazioni, non sono. A differenza dello scorso anno, quando, dopo l’All Star Game e dopo il disastro dei mesi invernali, si intravedeva una parvenza di progetto tecnico e societario, quest’anno i Nets sono parsi sempre sul punto di ingranare, hanno trasmesso la perenne sensazione che mancasse solo la scocca per la definitiva esplosione e, invece, il finale di stagione, lungi dal mettere in scena l’atto primo di un’opera finalmente compiuta, ha il sapore del colpo rientrato in canna. Oggi come oggi prevalgono i dubbi e le nubi si addensano anche sul futuro, alimentati dalla ormai consueta riservatezza-reticenza del gruppo dirigente nel fare chiarezza sulle scelte fatte e sui programmi.
Per la prima volta nell’era della nuova gestione, qualcosa è sembrato vacillare. Qualcuno va via. Qualche operazione di mercato risulta poco comprensibile. C’è odore di misundestanding, maretta o divergenze. Durante il mese abbiamo assistito alla notizia della partenza di Vaughn, destinazione UConn; alle perplessità di Okafor sul suo futuro a Brooklyn (è solo il primo della lunga lista di giocatori in scadenza) ed alla comparsa di un tweet simbolicamente ma piuttosto chiaramente polemico, subito rimosso, sul profilo di Allen Crabbe, apparente destinatario il coach, immediatamente dopo una delle solite batoste, quando pareva sotto gli occhi di tutti, tranne che di Atkinson, l’inefficacia del massiccio ricorso allo smallball contro squadre dominanti sotto canestro. C’è Okafor…? E qui il tema delle decisioni future interseca quello riguardante il non-impiego di Okafor: lui e Stauskas sono arrivati a dicembre, facendo qualche apparizione prima dell’ASG, per poi sparire dalle rotazioni. Okafor ha calcato il campo per qualche minuto, in pratica, solo contro la sua ex-squadra, peraltro comportandosi bene, andando a bersaglio con disarmante facilità ed opponendo il corpo ad Embiid, salvo poi perdersi, come al solito, nella difesa a centro area ed a rimbalzo. Forse si sono visti pochi progressi, anche per ottenere i quali, però, la componente agonistica è importante (vedasi Allen ed i miglioramenti fatti da che parte titolare), ma anche flash di sicuro talento, per cui?
Difficile immaginare una strategia di oscuramento concordata tra società ed allenatore allo scopo di sottrarlo alle luci del mercato: viene più da pensare ad un’incompatibilità tecnica. Stante la penuria di lunghi, e indovinando che sarà difficile che i migliori centri della Lega facciano la fila per giocare ai Nets, ci si rassegna così a perdere Okafor, dopo aver rinunciato per quasi l’intera stagione ad un veterano affidabile, di sicuro e continuo rendimento come Booker, per averlo? Oppure, al contrario, Okafor sarebbe un ottimo alter ego per Jarrett Allen, prezioso per farlo giocare, in allenamento, contro uno più grosso ed altrettanto bravo (a differenza di Mozgov), complementare, per sostituirlo in fasi di gioco che richiedano potenza in post basso e chilogrammi per opporsi a gente con spalle più larghe del diciannovenne, alternativo, per incidere maggiormente, finché “the Fro” non sia fisicamente e tatticamente pronto, sui blocchi, liberando il palleggiatore?
Sull’uso e l’interpretazione piuttosto limitata e spesso disfunzionale dei blocchi da parte dei Nets di quest’anno ho già scritto (ove foste interessati, troverete la mia analisi qui) e non mi dilungo. Ma gli interrogativi sono molteplici e non fanno che alimentare i dubbi. Fatto è che, proprio mentre scrivo, i Nets vanno a vincere a Millwaukee con una gran difesa dell’area, con i raddoppi, e del ferro, a furia di stoppate, da parte di Jarrett Allen, che sta, in pratica, mettendo una seria ipoteca sul suo futuro da titolare inamovibile ma, quando c’è stato da dargli respiro senza diminuire il peso specifico sotto canestro (finalmente!), è andato in campo Mozgov, non Okafor! Il che, ad ormai pochi giorni dalla fine della stagione, più che una scelta tattica ha il sapore di una sentenza….
Dubbi e timori sul futuro, tanti, non c’è solo Okafor… E badate bene: non parlo della scelta dei quintetti titolari: tra infortuni ed evidenti cali di rendimento, lo scivolamento di Dinwiddie in panchina, il ritorno di Carroll in ala piccola ed il reinserimento di RHJ in spot 4 erano le scelte più giuste da fare, con un Crabbe che, peraltro, è stato on fire nella prima metà del mese, è tra i pochi in grado di inventare una soluzione e sembra avviato sulla strada della continuità di rendimento. Dinwiddie, inoltre, pur con i reiterati problemi al tiro, ha ridisegnato il suo gioco, limitato le conclusioni al ferro e corroborato, spesso in modo lampante, la circolazione, mettendo i compagni in ritmo come nessun altro, laddove Russell è più l’uomo dell’idea geniale, della linea di passaggio visibile solo a lui. Una panchina con lui (che resta il miglior giocatore NBA per rapporto assist/palle perse), il cambio di marcia di Levert, la garanzia rappresentata da Harris (anche a marzo un irreale true shooting percentage del 65%!), l’esperienza e le giuste scelte di Cunningham e (se solo lo si volesse) Okafor a centro area, vale molto, ma molto di più dell’attuale classifica dei Nets!
No, non si tratta di starting five o di gerarchie, ma di aggiustamenti, timing, correttivi, scelte tattiche. Durante il mese di marzo mi sono trovato a reclamare lo smallball per essere in grado di accettare i cambi e non lasciare vantaggio al tiratore in una serata di grazia dei cecchini di Philadelphia, con Embiid in panchina, ma Atkinson aveva deciso che Acy stesse fuori dalle rotazioni…: niente! Mi sono sorpreso, al contrario, solo due giorni dopo, a chiedere notizie di Okafor mentre assistevo allo spettacolo indecente di Valanciunas che frantumava ogni record passeggiando sulla testa di cinque piccoli: niente! Ho pregato (e non sono credente…) che allo strapotere fisico di LeBron, a quello disarmante di Howard o Drummond a centro area si provasse ad opporre qualche muscolo in corridoio: niente! La sensazione, frequente e fastidiosa, è quella di un coach innamorato delle proprie idee e delle scelte fatte, rigido sulle sue posizioni, sempre in ritardo nel cambiarle, nel chiamare timeout, nel capire il momento, nel distinguere tra strategia e tattica.
Il contraltare è quello di un preparatore favoloso, un motivatore capace di trasformare in oro da NBA ciò che appena luccica nel sottobosco. I progressi, nell’amministrazione del gioco, di Dinwiddie, l’indicibile acquisto di consistenza e consapevolezza da parte di Levert, l’incredibile crescita e l’acquisizione di una nuova dimensione, offensiva e difensiva, da parte di Harris, i miglioramenti a tratti sorprendenti di Crabbe nella propria metà campo, l’acquisizione di gioco in post ed i recentissimi miglioramenti anche in difesa da parte di Allen, il tiro dal mid range divenuto una sicurezza da parte di Hollis-Jefferson (peraltro l’unico a considerare il fazzoletto di terra compreso tra l’arco dei 7,25 e l’area franca da sfondamento qualcosa di più che un arido deserto), la rinascita a seconda vita sportiva di Carroll sono tutti clamorosi successi individuali da ascrivere per intero a lui ed ai suoi assistenti! Si tratta di un lavoro lungimirante che tornerà utile in prospettiva futura, per individuare le pietre angolari dei Nets che verranno o per implementarne il valore di scambio in vista di una offseason decisiva. Nessuno più del coach incarna, prima ancora della squadra e della stagione, l’ambivalente, geniale personaggio del capolavoro letterario di Stevenson.
E poi c’è D’Angelo… Talento sconfinato, capace di momenti di sublimazione del gioco ad arte, ma talmente sospetto di turnover e triple sul ferro da finire nel range della mera inconsistenza, rendersi responsabile di sconfitte, indurre il suo coach a lasciarlo fuori, con la sua immaturità e le sue forzature, in finali combattuti che avrebbero, invece, richiesto il suo ghiaccio nelle vene, il suo gesto dell’orologio. Avesse saputo, dal suo ritorno dall’operazione al ginocchio, regalare ai suoi tre o quattro vittorie, come aveva fatto prima del 13 novembre, lo spirito di questa riflessione sarebbe stato, probabilmente, meno amaro. Eppure, tenerlo fuori in tanti finali concitati, poi puntualmente finiti male lo stesso, non credo abbia giovato, né a lui, né, come amaramente il record ci rammenta, alla squadra.
Come dite? Più che il solito commento tecnico mensile sembra uno sconsolato consuntivo della stagione? Può darsi, ma, mentre rifletto, aprile ci ha già regalato due batoste e l’esaltante vittoria a casa dei Bucks, in un trend che sembra ricalcare in ciclostile quello di marzo, e ne mancano solo tre da giocare… É tempo di tirare le somme: tra un mese, i riflettori saranno già puntati sulla programmazione. Che, c’è da augurarsi, sarà ben concordata tra Marks, il signore del mercato, ed Atkinson, il giano bifronte.
Sempre sperando che mr. Hyde si dilegui insieme alla lunga notte di marzo e della stagione che sta per concludersi…