Il titolone ad effetto è, ovviamente, una provocazione ma…ogni provocazione che si rispetti, per ottenere l’effetto voluto (indurre una riflessione), deve nascondere un fondo di verità. Proverò a spiegare il mio punto di vista, confidando nelle straordinarie doti di Brad e negli aggiustamenti di cui sarà senza dubbio artefice alla prossima occasione.
Fughiamo subito qualsiasi ombra di dubbio sul fatto che la partita la vinca un LeBron James da 44 punti in 41 minuti: un 17/28 dal campo che la dice lunga sulla sua centralità assoluta nell’attacco wine & gold e sul suo strapotere una volta messo nel mirino quell’anello appeso a 3,05 da terra. Se il prescelto ha deciso che alla Quicken Loans non si passa, probabilmente non c’è artifizio tattico che tenga. Eppure…
Ha un piano partita ben preciso, il giovanissimo coach biancoverde, e da questo non deflette mai: cambio difensivo sistematico, per togliere tiri facili agli avversari; lunghi mobili e capaci di trattare la palla anche lontano dal ferro, una volta portato il blocco, per aprire il campo e sfruttare le doti in avvicinamento dei gioiellini Tatum e Brown, con il fin qui splendido Rozier at the point. Scelte legittime e che, in altre occasioni, hanno pagato sugosi dividendi. Non stavolta.
Diciamo subito che, solite amnesie a parte, una mezza idea di come difendere ce l’ha anche Lue: inizialmente, il gioco celtico si snoda a partire dal pick and roll, o almeno ci prova, ma i lunghi dei Cavs svolgono da subito un lavoro sporco, poco appariscente, ma egregio in tutti i fondamentali: eseguono senza sosta e bene il tagliafuori (su questo concordo col maestro Tavcar: fondamentale troppo spesso sostituito dalle straordinarie doti atletiche: in realtà, ancora decisivo!). Sprizzano energia, che traducono in un numero incalcolabile di smanacciate sulla carambola capaci, da sole, di mettere fuori tempo lo schieramento avversario e di recuperare la palla ai compagni. Questo è stato un fattore pesante ancorché semplice come l’uovo di Colombo. Vanno al raddoppio o al cambio sul palleggiatore, in modo da oscurargli linee di passaggio e corridoi, aspettano il rientro del difensore piccolo per poi recuperare sul rollante. Ripeto: un paio di amnesie fanno temere il peggio e arrivare gli ospiti fino al ferro in carrozza, ma alla lunga il piano funziona e, per lunghi tratti di primo quarto, i verdi paiono disorientati, non sanno bene cosa fare, cercando di aggrapparsi alla partita, di non farla sfuggire di mano come in gara-3, accelerando le conclusioni ed aggiustando le spaziature, ma il parziale che ne nasce risulterà, sì, meno netto, ma ugualmente decisivo nell’economia dell’andamento della partita e del risultato finale.
Brad Stevens è maestro di spaziature sopraffino, i suoi non ci mettono molto a carburare punendo i raddoppi: non sempre James fa la scelta giusta, in difesa, si sa; ma ciò che combina in attacco basta e avanza a imprimere il suo marchio sulla gara. La sua presenza in campo è un mismatch perenne. Lo vedremo ad inizio gara prendere posizione in post medio, girarsi e tirare col bisturi in testa a chiunque; poi giocare il P&R laterale ed abusare del cambio di Rozier per farla da padrone dal low post; infine creare per sé a partire dal palleggio fronte a canestro, arrivando al ferro sempre (e dico sempre) nel momento in cui si trova un lungo a fronteggiarlo, sia egli Horford (meno) o un dannoso Morris (più spesso).
Dall’altro lato, la scelta offensiva di Stevens ha basi filosofiche solide ma, per tradursi in moneta, necessita di un prodromo fondamentale: se hai in campo lunghi magari meno rimbalzisti, meno dominanti fisicamente, ma più tecnici, più abili nello show, perché il giochino funzioni devi avere gente che sguazza negli spazi aperti. Se questo non succede, oltre al lavoro dei lunghi di casa, lo si deve allo straordinario primo tempo difensivo (perché quello offensivo è, semplicemente, ordinaria amministrazione) di un certo Kyle Korver, capace di scegliere i tempi giusti per chiudere la penetrazione scivolando e annientare Brown con due stoppate e non solo. Dopo quasi metà gara Brown aveva 1-4 dal campo. C’è da gridare al miracolo se i Celtics pagano solo 15 punti di dazio all’intervallo lungo.
Nella ripresa gli aggiustamenti arrivano, forse un po’ in ritardo, forse non del tutto convinti: i lunghi iniziano a ruotare come si deve, sostituendo il cambio difensivo di Rozier su James. Inizialmente, Brown va a prendersi cura di LBJ e sarà l’unico a creargli qualche piccolo grattacapo. L’ingresso di Aron Baynes fattura dividendi macroscopici tanto a rimbalzo (7, di cui 5 offensivi in soli 16′!), quanto in fase realizzativa (8 punti, 6 liberi conquistati), perfino in difesa cambiando su James; Jaylen Brown (alla fine ne metterà 25, nonostante la pessima partenza) prende le misure a Korver giocando l’isolamento e facendolo a pezzi fisicamente (Lue cambierà molto presto marcatura, infatti); Al Horford scivola in post basso e dispone di uno spento Love a suo piacimento; Jayson Tatum sfrutta i corridoi lasciati aperti da James (che perde il tempo per l’uscita seguendo Horford) e finalmente attacca il canestro come solo lui sa fare.
Il tutto permette ai Celtics di non morire mai, ed anzi di sfiorare più volte il -5 a pochi minuti dalla fine (con James in panchina a prendere due boccate di ossigeno, va detto).
Se tutto ciò risulterà vano, come detto, lo si deve alla straordinaria prova di LeBron, d’accordo. Qualche domanda per Stevens, però, la vorrei porre, sulla falsa riga della provocazione del titolo: perché Baynes si accomoda subito in panchina per riproporre di nuovo un Marcus Morris difensivamente inguardabile? Perché tornare subito ad insistere con i sistematici cambi difensivi, visto che James ha costruito la sua fortuna su questi?
I Cavs reagiscono alle contromisure ospiti con energia e reattività, soprattutto sotto canestro (ancora una straordinaria prova di Tristan Thompson, ma non solo), senza sottovalutare il contributo di George Hill, specie nel finale. Per gestire il vantaggio accumulato sono sufficienti un paio di extrapass fatti bene e ancora quelle smanacciate sulle innumerevoli carambole. Emblematiche spiritualmente, quanto decisive all’atto pratico.
Tanto basta. La serie è riaperta, pareggiata; l’inerzia è invertita, però. Occhio: contro Sua Maestà, caro Brad, non è detto che basti blindare il fortino del TD Garden…
Aspettiamo con ansia la reazione in gara-5.