Cambiamo per restare noi stessi. In piena autonomia, ho deciso di cambiare il nome del mensile sui Nets: “Still awake?” è più esotico e, soprattutto, più evocativo. Qui non si racconta il mese dei Nets attraverso la lente distorta degli highlights, non lo si interpreta attraverso le statistiche (di cui si fa buon e parsimonioso uso), non si fa il “copia e incolla”, dopo una sommaria traduzione, da commentatori d’oltreoceano. Qui si attingono le notizie dalle fonti più attendibili e si commenta ciò che si vede per davvero, spesso in tempo reale, in barba e sprezzo del fuso orario. Il risultato può risultare gradito o meno, ma è, si spera, realistico, credibile, completo.
Lontani tanto dai clamori del mercato, quanto dal basket giocato, agosto è un mese povero di cronaca (che cercheremo comunque di ripercorrere nei tratti salienti), ma ricca di spunti di riflessione sulla prossima stagione, sulla quale già fioriscono pronostici (primi ranking) e letture molto interessanti.
Proveremo, come sempre, a correggere la prospettiva inquadrando alcuni aspetti tecnici della squadra nascente, in modo da fondare il nostro moderato ottimismo ed i dubbi residui su basi concrete.
La cronaca. Inutile girarci intorno: il fatto di cronaca più eclatante e rumoroso di agosto, per i Nets, sa più di gossip e cronaca giudiziaria che di basket. È del 21 agosto la notizia di una vettura fermata a New York per controllo sulla sobrietà dei passeggeri e dell’arresto dei medesimi per detenzione illegale di marijuana. La pallacanestro c’entra solo di striscio, per via delle generalità di uno dei protagonisti: si tratta di Kenneth Faried, neo-acquisto estivo, dump da 13,8 milioni di dollari. Al di là del giudizio personale che si può avere sulla detenzione e l’uso personale di droghe leggere, si tratta comunque di condotta non gradita e sanzionabile in NBA e, comunque, di un reato statale: se il ragazzo non ha sufficiente maturità per capire che, con il salario che percepisce, ha una responsabilità d’immagine ed un dovere morale nei confronti della franchigia, è bene che questa monitori la situazione e sia pronta ad intervenire, anche per evitare ripercussioni sulla solidità e serenità dello spogliatoio, fin qui davvero granitico. Non vorremmo che una delle mosse più azzeccate e dal potenziale maggiore (a mio avviso simile a quello di Carroll) della offseason bianconera ne risultasse scalfita…
Nel corso del mese si sono registrate alcune novità contrattuali interessanti: in primis, l’estensione del contratto garantito di Spencer Dinwiddie a tutta la prossima stagione, per 1,6 milioni. Mai salario fu più meritato, per il vincitore dello Skills Challenge 2018, terzo MIP della Lega, secondo assoluto per rapporto assist/palle perse nonché (recente scoperta di un sito brasiliano) leader assoluto per triple da oltre 30 piedi (ben 11!).
Firmati per il training camp, con ambizione di conquistare uno dei due spot per un two-way contract, Jordan McLaughlin e Theo Pinson (visti alla Summer League) e Mitch Creek, guardia tiratrice e star assoluta australiana. Restano due posti disponibili in vista della preparazione pre-campionato, vedremo…
Detto di Will Weaver, “promosso” da assistant di Atkinson a head coach dei Long Island Nets; detto dell’annuncio, da parte di Dzanan Musa, della propria partecipazione alle prossime gare di qualificazione per i mondiali con la sua Bosnia (ben venga, in vista di una stagione di probabile apprendistato in maglia bianconera); l’onere informativo principale, di cui ci corre obbligo, è la pubblicazione dei calendari NBA 2018-19. Ben 14 back-to-back (oltre la media), un inizio complicato, con poche e difficili gare al Barclays, un finale forse anche peggiore, contro i probabili playoff team della Eastern; nel mezzo, una stagione da vivere sul filo del rasoio, densa di emozioni e gravida di grandi scelte e responsabilità. Da cerchiare sul calendario in cucina: l’opening day casalingo che coincide con il primo derby stagionale (19/10), i campioni in carica al Barclays il 28/10, un ciclo a dir poco intrigante a metà dicembre, quando, in successione, i tifosi avranno occasione di accogliere colui che fece il gran rifiuto (Dwight Howard), l’ex leader sfortunato (Jeremy Lin) e il ritorno del Re (LeBron James).
Chiudiamo con le note liete: i primi ranking ufficiali. Da ESPN (32 W) a Pelton (37!), finora la maggior parte dei siti specializzati si è sbilanciato pronosticando un miglioramento, per Brooklyn, rispetto alla passata stagione. I dubbi riguardano il dopo, con una eventuale collocazione in quel limbo che gravita tra coloro che ambiscono al grado di contender (e, verosimilmente, di acquirenti per i big in free agency) e chi, invece, punta alla lottery.
Repetita iuvant… Non ce ne preoccuperemo: Kenny Atkinson ha ribadito che il tanking non fa parte della filosofia, anzi, non è neppure presente nel vocabolario dei Nets e Sean Marks si è pubblicamente domandato perché mai la sua squadra non possa fare i prossimi playoff… Tra il dire ed il fare, poi, c’è di mezzo l’intero Atlantico e chissà che, a febbraio, se la malasorte dovesse ancora vessare i bianconeri, non ci sia qualcuno disposto a cambiare idea. Ma certo non è quello il piano. C’è la ferrea convinzione che i ragazzi rimasti posano crescere ancora e che i nuovi arrivati possano conferire un valore aggiunto, che tutti siano in buone condizioni fisiche e che i risultati non possano che arridere alla truppa bianconera. Almeno quanto basta per migliorare sensibilmente e, chissà, guadagnare, agli occhi dei free agent che contano, la credibilità necessaria per ascoltare le sostanziose offerte scucite dai portafogli di Prochorov e Tsai…
Ricapitoliamo in breve. La nuova squadra vede la conferma di un core già rodato ed affiatato che comprende il quintetto titolare ed i migliori rincalzi della passata stagione (Russell, Crabbe, Carroll, Hollis-Jefferson, Allen; Dinwiddie, Levert, Harris). A partire da Carroll, nostro personale MVP della passata stagione, mentore dei giovani e collante tuttofare, tutti attesi al salto di qualità o alla conferma rispetto ai migliori standard passati. E, naturalmente, a miglior sorte dal punto di vista della tenuta fisica…
A questi sono stati sottratti i comprimari (Whitehead, Lin, Doyle, Stauskas, Okafor, Acy, Cunningham, Mozgov), il cui contributo medio è stato prossimo allo zero per svariate ragioni (già approfondite nel numero precedente) ed aggiunte, via draft, FA o trade, nuove pedine (Napier, Graham, Dudley, Faried, Davis, oltre ai rookie Musa e Kuruks). Se si eccettuano i giovanissimi europei chiamati al draft, un leggero aumento dell’età media e così, a lume di naso, un significativo miglioramento qualitativo della second unit.
Il gioco, questo mese, sarà di andare oltre il giudizio basato solo sulla lettura dei nomi e di analizzare alcuni degli aspetti tecnici salienti del prossimo futuro, a partire dal quelli che sono stati universalmente ritenuti come i peggiori difetti dei Nets 2017-18, per poi domandarci se le scelte estive siano state quelle giuste, in vista di un 2019 che, alla luce del mercato appena concluso (un firmamento di stelle con contratti annuali, una galassia di giocatori in odore di scadenza), si prospetta un anno di transizione.
La scorsa stagione in pillole. Come già ribadito più volte, non amo le statistiche, le ritengo, per specifiche, appropriate ed avanzate che siano, affascinanti ma fuorvianti, sempre parziali, inadeguate ad un’analisi profonda di un match, di un’annata o delle prestazioni del singolo. Come il canto di una sirena, deviano e dettano troppo spesso la direzione di un’analisi, escludendo, per definizione, tutto ciò che non può essere misurato, compresso e ricondotto ad un algoritmo o ad un sistema binario e che, in uno sport di squadra, spesso conta quanto la tecnica.
Altro è, invece, se ciò che si osserva in presa diretta, guardando le partite, l’idea che ci si fa su pregi e difetti di singolo e squadra dopo un corposo numero di nottate bianconere, viene suffragato dai dati statistici: in tal caso, l’uso dei numeri non ha la freddezza o la presunzione di edificare l’analisi, ma torna nell’alveo delle sue funzioni naturali, rafforzative e non sostitutive.
Vitamine della verità, non surrogati.
I Nets, da ottobre ad aprile, sono risultati:
- Secondi per triple tentate (35,7 per gara), ma ventesimi per percentuali dall’arco (35,6%);
- Penultimi per percentuali dal campo (44,1%) e per punti realizzati entro la linea dei 7,25;
- Terzultimi per punti concessi su seconda chance (ovvero dopo un rimbalzo offensivo lasciato agli avversari);
- Ventisettesimi per punti concessi nel pitturato;
- Venticinquesimi per percentuale di rimbalzi complessivi conquistati per gara;
- Ultimi assoluti per scarto cumulativo nella fase clutch (-47) e penultimi per numero di sconfitte nella medesima situazione (31).
Chiavi tecniche. Troppe triple forzate, o costruite, comunque, in modo non pulito; inadeguatezza, sia sul fronte offensivo, sia su quello difensivo, dalla media e sotto canestro; crollo (quello che le cifre non dicono, lo aggiungo di mio pugno) soprattutto psicologico nei finali combattuti, per l’inesperienza di giocatori e coach, oltre che per via del gap tecnico.
Volendo trovare un minimo comun denominatore tra gli aspetti analizzati, io lo vedo nella mancanza di credibili alternative, in area, alla monocorde ricerca del tiro da tre e nell’inabilità o inefficacia nella costruzione di buoni tiri. Durante la stagione avevamo già posto l’accento sulla disfunzionalità dell’uso dei blocchi operato dai lunghi bianconeri, tale da non liberare il palleggiatore, né lo spot up. In queste condizioni, creare un buon tiro è un’impresa. Al contrario, la scarsa tenuta sui blocchi avversari, la taglia small e la pochezza difensiva sul post mettevano costantemente in inferiorità lo schieramento bianconero, troppo affidato alla reattività di RHJ o alle stoppate estemporanee di Allen, costringendo la difesa all’aiuto costante e lasciando praterie sul perimetro.
In soldoni, e nonostante i flash di talento del rookie “fro”, gran parte delle grane della scorsa stagione sono dipese dalla clamorosa inadeguatezza della frontline. Dalla crescita di questa, a partire dai miglioramenti ulteriori di RHJ e Allen, andando da Zeller, Mozgov, Acy, Cunningham verso Dudley, Faried e Davis, passerà la metà dei miglioramenti, in termini di gioco e risultati, in quel di Brooklyn.
Nel migliore dei mondi possibili, l’upgrade è tangibile: Jared Dudley è un veterano ed è un naturale stretch four, quel ruolo chiave, in un sistema basato sulla capacità di costruire le giuste spaziature, che riveste il lungo abile a portare via dal pitturato il suo marcatore e, contestualmente, non battezzabile dall’arco. Quello che, al Barclays, per intenderci, non si vede dai tempi dello sfortunato Mirza Teletovic. Dudley non è mai sceso, in carriera, sotto il 36% dall’arco ed è un buon passatore. Faried è la potenza fatta giocatore. Davis ha le carambole nel DNA e conosce l’arte della difesa sul low post. Kenneth Faried ha una naturale esplosività a rimbalzo, fondamentale nel quale, tuttavia, Ed Davis eccelle (lo scorso anno metteva insieme il 40% dei rimbalzi di squadra con una USG% appena dell’11). Grasso che cola…
Più realisticamente, occorre immaginare nulla di più di veterani in grado di dare respiro ed alternative al quintetto iniziale, far crescere Rondae e Jarrett senza, si spera, mandare fuori giri spogliatoio e parquet con le rispettive mattane (i primi due, in particolare). Ma per questo c’è Atkinson, uno che, con la psicologia del baskettaro, ha dato lustro al proprio curriculum.
Semplicemente, è l’ora di Dlo. Se l’orizzonte è il progresso, l’altra metà del cielo ha il nome ed il volto di D’Angelo Russell. La scorsa stagione incarnò la speranza di rinascita del basket a Brooklyn nonché quella di tornare a vedere una star con indosso la canotta bianconera, e l’inizio di stagione aveva semplicemente corroborato le aspettative, fino a quella disgraziata notte di metà novembre.
Poi l’intervento chirurgico al ginocchio, la riabilitazione, il ritorno con minutaggio ridotto, metà delle gare e anche più saltate o giocate a mezzo servizio, il passo ed il ritmo-partita lungamente non recuperati e mai davvero tornati quelli di prima, nelle gambe e nella testa. E lasciamo perdere il finale, quando ha sì toccato un dignitoso 35% da tre, ma ormai tutto contava poco.
Lampi di genio, tiri della vittoria, quel palleggio serrato con la mano sinistra, entrare in area e flottare in aria con quel polso morbido fino a sentire, nitido, il ciuff della retina…Flash di talento puro, certo. Ma Russell è una seconda scelta assoluta, non è Jarrett Allen. È tenuto a dare molto di più. Da lui ci si aspetta che domini la scena, che la sua figura metta nel cono d’ombra tutte le altre e che prenda per mano questa giovane squadra come si fa con un bambino che si affaccia sul mondo.
Non è solo una questione di salute. Ci sono fondamentali in cui Russell deve ancora migliorare e tanto, perché puoi anche vincere una partita premendo il tasto power per cinque minuti, ma non cambi il corso della stagione.
A fronte dei grandi numeri, che recitano, dignitosamente, 15,5 ppg e 5,2 apg, qualche statistica più avanzata ci soccorre: oltre il 30% di USG% ed un modesto 32,1% dall’arco, con solo il 30,6% dei suoi canestri realizzati da assist ricevuto (dato peggiore della squadra). Cifre che, decrittate e lette con gli occhi di chi le gare le ha viste, raccontano una guardia che è semplicemente e di gran lunga la più talentuosa e la migliore dal mid range (o forse, semplicemente, l’unica capace di traversare quel fazzoletto di campo senza considerarlo il deserto di Mojave), ma ancora troppo accentratrice, troppo innamorata della palla, troppo poco credibile come minaccia quando lontano da essa. Infine, 3,1 palle perse a partita testimoniano una difficoltà di lettura ed una tendenza ad intestardirsi nel palleggio che male si sposano con la necessità o la pretesa di rappresentare il cervello della manovra. Per non parlare della fase difensiva del gioco (peggior defensive rating di squadra con 111,7), ove il suo attardarsi sui blocchi, concedendo sistematicamente il vantaggio spazio-temporale al diretto avversario, è ancora una delle immagini più ricorrenti e scottanti nella memoria dello spettatore mediamente attento ai dettagli.
Tre fattori giocano a suo favore: la conferma di DeMarre Carroll, tanto importante per D’Angelo sia in campo, sia fuori durante la scorsa stagione, suo pigmalione e uomo di fiducia; aver confermato il blocco portante dell’anno scorso, che intorno a lui ha sempre fatto quadrato e, checché se ne dica, il non aver ancora parlato di estensione contrattuale con la società, il che rappresenterà, per lui, un continuo stimolo a migliorarsi.
Contro di lui, invece, gioca qualche problema finora mostrato nell’intesa con Spencer Dinwiddie, su cui meritano di essere spese due parole. Dopo l’exploit di Dinwiddie, il rientro di Dlo era atteso con ansia, nella speranza che i due potessero coniugare le rispettive qualità: destrimane, ritmi controllati, ragionieristica gestione della palla, visione di gioco e primo passo bruciante, il primo; mancino, talento puro e capacità di leggere le difese e le linee di penetrazione e passaggio fuori dal comune, genio e sregolatezza, il secondo. Le cose, sul parquet, sono andate diversamente: la mancanza di tiro credibile, la tendenza a volere la palla in mano da parte di entrambi e, soprattutto, le evidenti lacune difensive (defensive rating combinato di 118: una sciagura, quando in campo insieme!) hanno reso del tutto inefficace la loro coabitazione, spinto Dinwiddie di nuovo nella second unit con relativo calo di rendimento.
Eppure, nell’ottica dell’attacco in movimento targato Kenny, avere in campo, contemporaneamente, due point guard con una tale capacità di far girare la palla potrebbe agevolare non poco la rapidità di circolazione costringendo le difese ad adattarsi e ruotare… Insieme con Levert, già schierato at the point con ottimi risultati a metà della passata stagione e un Hollis-Jefferson sempre più sicuro di sé quando riceve palla e quando guida la transizione, ci sarebbe l’opzione di un quintetto capace davvero di negare punti di riferimento alle difese avversarie… Ecco un altro aspetto su cui versare olio di gomito!
Le migliori voci narranti d’oltreoceano ci parlano di un D’Angelo dedito al lavoro in palestra, quest’estate: bene! Dai sui progressi lontano dalla palla e nella condivisione della stessa, dall’arco e in difesa passerà gran parte del destino bianconero, intersecandosi con gli auspicati progressi nel frontcourt. Russell è la chiave di volta dei prossimi Nets, il possibile anello di congiunzione tra passato e futuro, la cifra stessa della stagione che verrà. È il go-to-guy naturale, la star in nuce, il leader designato. Nonché il più papabile per un rinnovo a 7 zeri, la prossima estate…
Sarà, Russell, l’artefice del proprio destino e di quello dei Brooklyn Nets. Avrà spalle sufficientemente larghe? La sentenza, come sempre, al campo…Stay tuned!