Tra coloro che possono a buona ragione parlare di finali nazionali giovanili femminili, Amedeo D’Antoni, deus ex machina dell’USD San Raffaele Basket Roma, è certamente uno di quelli più accreditati a farlo. Nella lettera che segue D’Antoni elenca le edizioni delle finali nazionali a cui ha partecipato ma i sei scudetti giovanili e le tantissime finali a cui ha partecipato il San Raffaele e le tante promozioni guadagnate sempre con squadre formate da giocatrici del settore giovanili aumentano l’autorevolezza della proposta.
A luglio la Fip ha raccontato alle società maschili e femminili che parteciperanno ai campionati Under 18 che è allo studio un cambiamento della formula della finale: un evento che diventi una Final Four congiunta maschile e femminile da tenersi nella stessa località negli stessi giorni. Nulla di più sulle date, sull’eventuale abbinamento con un altro evento e soprattutto sul meccanismo di accesso a queste Final Four durante la stagione regolare.
Ecco allora cosa ne pensa Amedeo D’Antoni, pensiero per altro condiviso da All-Around e da altre società che abbiamo sentito.
Al presidente della FIP Petrucci
Al vice presidente La Guardia
Al vice presidente Invernizzi
A tutti quelli che amano la pallacanestro
Dopo aver ricevuto svariate informazioni sulla possibilità di un cambiamento radicale nell’organizzazione della finale nazionale under 18 femminile, vorrei sottoporre all’attenzione di tutti coloro che hanno a cuore il destino della pallacanestro femminile alcune riflessioni.
Si parla di una finale ad otto ad eliminazione diretta.
Da quaranta anni contribuisco a dirigere una società di pallacanestro femminile da me fondata nel 1978, società che ha giocato a un po’ tutti i livelli e ha disputato una sessantina di finali nazionali giovanili delle quali ne ho personalmente dirette una cinquantina.
La finale nazionale non è solo un metodo per assegnare lo scudetto, non è lo sbrigativo sistema di arrivare in fondo, come è una finale ad otto ad eliminazione diretta, ma è un mezzo attraverso cui contribuire a far crescere le nostre atlete. Spesso si impara di più in quei sette giorni che in qualche mese di lavoro. Si respira pallacanestro, la si vive, se ne parla la notte tra allenatori e per mesi prima e dopo anche attraverso ogni mezzo di comunicazione attuale utilizzato dai giovani di oggi.
Per le ragazze resta un obbiettivo per cui correre fin da settembre, un ricordo che resta impresso per sempre. Certo c’è chi ne gioca sette nella vita, chi ne gioca due in un anno, chi ne allena tre in una stagione, mi è capitato, ma ci sono tutti gli altri per i quali la sola partecipazione ad una finale è già un successo.
Perché vogliamo ridurre questa esperienza ad una sola partita? Chi perde va a casa, gioca poco non impara, non partecipa, assistendo alle gare fino alla fine. Per me la finale nazionale va giocata a sedici o addirittura a 24 dando a più atlete possibili una settimana per sentirsi brave e coinvolte, non solo a chi arriva sul podio, ma a tutte. Le giocatrici più scarse delle squadre deboli, quelle che non ci arriverebbero mai con la finale ad otto, quelle che vanno a casa la prima sera, sono le sorelle più grandi delle prossime atlete, sono le mamme delle atlete di domani. Le squadre, come ad un europeo giovanile, dovrebbero giocare tutte fino all’ultimo giorno. La finale nazionale dovrebbe essere una festa coinvolgente che stila una classifica, incorona la migliore squadra, ma fa crescere e gratifica il maggior numero di atlete, dando immagine e vetrina ad un movimento in difficoltà. Per non parlare della possibilità di trovare sponsorini che una manifestazione di otto giorni dà e quella di una sola sera molto meno.
Spero di aver fornito elementi di riflessione a chi ha il potere di valutare e decidere e la possibilità di esprimersi in merito a tutti coloro che lavorano duramente per tenere vivo il movimento di base della pallacanestro femminile italiana.
Buon lavoro a tutti
Amedeo D’Antoni
USD San Raffaele Basket Roma