Bianchini partiamo da una delle sue ultime considerazioni: lei ha parlato male del pre campionato di queste ultime stagioni. Perchè cosa dovrebbero fare le squadre per prepararsi?
“No non ho parlato male del pre campionato. Ho detto che con questo sistema nel quale le squadre ogni anno cambiano 10 giocatori su 12 e spesso anche l’allenatore ogni anno il pre campionato finisce a gennaio o febbraio e quindi è una cosa estenuante. Il basket è un gioco complesso che ha bisogno di tempo. Fino a qualche tempo fa per costruire una squadra ci volevano tre anni o due, adesso un allenatore dovrebbe farlo in tre mesi. Va bene che molto è cambiato ma insomma è un pò troppo. D’altronde – altra cosa che ho detto e ribadisco – il basket è in mano ai procuratori che devono muovere il prodotto ed i giocatori), che hanno in magazzino altrimenti la merce si deteriora. Le partite della pre stagione sono necessarie per carità. L’esempio eclatante del mio ragionamento è l’Olimpia Milano: ogni anno ci mette mesi a trovare l’equilibrio e il sistema. Nel frattempo ha rimediato figuracce in Eurolega, in Coppa Italia talvolta e qualche brutta sconfitta in campionato. Poi a fine stagione ha trovato il suo gioco ed ha vinto lo scudetto. Quest’anno forse…”
Lei però, e spero di aver capito bene questa volta, parla anche di una qualità di gioco più scadente ogni anno che passa. E così?
“Sì sì. manca sempre di più il gioco di squadra. In attacco ed anche in difesa. Con gli intimidatori e stoppatori che si vedono in giro in difesa in qualche modo si rimedia ma in attacco…Il basket è un gioco, ripeto, difficile, complesso, basato sull’uno contro uno che però è la parte finale di uno schema, di un gioco di squadre che coinvolge tutti. Oggi si vede una circolazione di palla farraginosa che spesso, molto, troppo spesso si conclude con il tiro da tre, o con un tiro che arriva perché sta scadendo il tempo dei 24 secondi. In Italia ancora ancora ti può andar bene ma è in campo internazionale che facciamo male“.
Non starà parlando della Nazionale?
“Anche ma la Nazionale è un caso a parte. L’ultima Nazionale che ha dato soddisfazione non solo a livello di risultati è quella del 2004 di Charlie Recalcati. Era un momento diverso della nostra pallacanestro: solo 2 stranieri, gli italiani erano ben curati ed allenati, non cambiavano ogni anni squadra, gli allenatori avevano tempo di impostare piani di allenamento c’era qualità e tranquillità. La cura della Nazionale passa dalla cura del campionato e da quella del sistema pallacanestro italiano. In questi anni sono stati chiamati ottimi allenatori compreso il top di quelli europei come Messina ma i risultati non sono stati all’altezza. Quindi forse bisogna cambiare qualcos’altro. Magari a livello dirigenziale? Il mio ideale? La linea tra Sandro Gamba e Cesare Rubini che era il GM di raccordo tra il coach, la squadra e la Federazione“.
All-Around le consegna le chiavi del potere della pallacanestro italiana e domani deve iniziare a cambiare. Cosa fa?
“Primo: separo nettamente professionismo e dilettantismo. I professionisti devono fare quello che vogliono avendo obiettivi diversi rivolti all’eccellenza quindi non devono rendere conto alla Federazione come avviene in America dove l’NBA non ha nessun vincolo con la Federazione americana.
Secondo: per i dilettanti due obiettivi. Numero uno i campionati regionali, la serie C, aperta a tutti ma davvero a tutti quelli che vogliono giocare a basket nel nostro paese. Campionati regionali e basta, con trasferte limitate senza bisogno di spendere soldi inutili. Numero due la serie B. Un campionato di barriera, riservato solo agli italiani di massimo 22 o 23 anni (con 3 fuori quota), senza stranieri. E solo per le società con un proprio vivaio dal quale attingere i giocatori per la prima squadra, senza prestiti ed altre storie. Quindi ridotto nel numero di squadre. Numero tre la serie A2, un campionato di formazione, anche questo con un numero minore di squadre rispetto ad oggi, solo due stranieri.
Vorrei rompere il perfido meccanismo delle promozioni/retrocessioni che incombe sulle società ogni giorno, l’Erode che dei giovani innocenti giocatori che usciti dai settori giovanili vengono in larga parte parcheggiati nelle panchine delle prime squadre a non giocare uccidendo così la loro passione“.
Eduardo Lubrano