Ci siamo: è già tempo di pre-season. Il parquet, giudice insindacabile anche delle strategie più raffinate ed ambiziose, già cigola le sue prime impressioni: è il momento dei training camp, dei media day gravidi di buone intenzioni. Talora troppo buone…
Tra le dichiarazioni di circostanza, tutte uguali, emergono, invece, per una volta, indizi interessanti in casa Nets: stavolta, per la prima volta dopo anni di silenzioso anonimato, i Nets fanno cronaca, fanno eccezione, fanno notizia. Lì, oltre la fredda annotazione delle news, tra le pieghe delle voci e dei rumors, ci siamo noi, con #stillawake.
Settembre 2018: finalmente, dopo anni di emblematica ed unanime gogna, è il preciso momento in cui, simbolicamente, i Brooklyn Nets ristabiliscono la propria dignità di franchigia, annullando l’handicap morale impresso dal marchio di Billy King. Lo dicono i principali commentatori d’oltreoceano, definendo Brooklyn “the sleeping giant” della Eastern Conference, lo dice, soprattutto, il significato recondito del caso – Butler… Sì, perché settembre lo ricorderemo soprattutto per la sua vicenda di mercato, peraltro ancora non chiusa, che, per una volta, vede i Nets protagonisti e sottende uno spartiacque storico che va ben oltre il mero cambio di canotta o il potenziale dell’atleta in questione. Jimmy Butler è il probabilmente involontario, sicuramente immeritato artefice di questo salto di qualità, comunque vada. Se lo scorso anno avevamo citato il capolavoro di Zemeckis per celebrare la firma di Carroll da parte di Sean Marks, qui il parallelo cinematografico è ancora più cogente…
Ma procediamo con ordine. Ci sarà tempo per arrivare al dunque e teniamo in ghiaccio, per ora, pellicole cult e opinione di chi scrive.
La cronaca. Per rispetto dell’ordine cronologico degli accadimenti bianconeri, ma anche della Storia della franchigia e della grandezza del personaggio, apriamo con il doveroso omaggio alla figura di Jason Kidd, finalmente insignito di un posto nella Hall of Fame. Ciò che JK ha fatto con e per i Nets come leader degli anni d’oro, conducendo per mano gli allora New Jersey a due Finals consecutive, non ha, effettivamente, eguali. Benché Kidd vanti glorie anche con altre divise, con orgoglio i Nets ne issano il vessillo e ne rivendicano l’appartenenza, anche in virtù dell’esperienza da head coach. Honor and glory to you, Kidd!
Intanto i Nets completano la rosa dei venti per il training camp acquisendo, dopo Theo Pinson, Mitch Creek e Jordan McLaughlin, anche la partecipazione del gigante keniota Nuni Omot e, soprattutto, di Alan Williams, il primo two-way contract garantito, per quella che si prefigura come una potenziale steal del mercato di seconda fascia: Alan, undrafted nel 2015, ha praticamente saltato la stagione scorsa, penalizzato da una lesione meniscale, ma nella stagione precedente, con i Suns, ha fatto mostra di numeri notevoli sotto canestro, mettendo insieme cifre ragguardevoli, specie dopo l’ASG (11,4+9,1, con 12 doppie-doppie off the bench, 15 nell’intera stagione, terzo assoluto nell’intera Lega per doppie-doppie realizzate uscendo dalla panchina!). Qualora la forma fisica lo sorregga, una riserva di gran lusso per la stagione a venire…
Dzanan Musa, il rookie più atteso, ha avuto modo di mettersi in luce con la nazionale, durante la finestra per le qualificazioni ai mondiali, con la sorpresa di vederlo anche impegnato at the point, non senza qualche numero davvero incoraggiante (15 punti di media, 9 assist in una sola gara, ancora qualche palla persa, ma davvero grande personalità e versatilità e già ad un livello internazionale: un leader nato!) ma tornatosene a casa anzitempo per una distorsione alla caviglia e con un fardello pieno di sconfitte. L’infortunio, meno grave di quanto le immagini lasciassero presagire, non gli sta impedendo di partecipare alla fase di preparazione, così come a Rondae Hollis-Jefferson, vittima di una lesione muscolare in corso di esibizioni all’estero e tuttora impegnato in lavoro differenziato. Acciacchi di stagione anche per Napier e Faried: non se ne avvertiva, davvero, il bisogno, ma poteva andare peggio. E, intanto, mentre scriviamo, le prime gare di preseason già bussano alle porte delle nostre nottate…
Pillole dal campo… Le news fioccano quotidianamente e il nostro dovere è quello di estrapolare le più significative, per carpire i segreti del futuro prossimo in cui i Nets si stiano proiettando.
Jarrett Allen appare visibilmente cresciuto di massa muscolare e sta lavorando assiduamente sul tiro da tre punti. Obiettivamente, insieme con la necessaria esperienza in partita, i due capitoli nei quali il ragazzo aveva più bisogno di crescere. Allen è sempre più investito del ruolo di centro titolare e dovrà giocoforza implementare la sua versatilità, per calarsi ancor meglio nella filosofia di gioco dei Nets. Sorprende forse di più il fatto che anche Kenneth Faried stia lavorando sul tiro dalla distanza, lui che, in carriera, ne avrà tentati si e no un paio… Ma nulla ci sorprenderà più, dopo aver visto lo staff bianconero trasformare Brook Lopez in un micidiale tiratore nel giro di un’estate…
La stampa americana ha puntato parecchio i riflettori sul lavoro di raffineria nell’officina di playmaking che porta il nome di Atkinson, ed in particolare su D’Angelo Russell: per lui, in questi giorni, continue interruzioni del gioco e richiami per ogni turnover. Il ragazzo, noto come testa calda in quel di Los Angeles, sta mostrando, invece, una maturità inusitata, è lui stesso a chiedere al coach di tirarlo fuori dal campo ad ogni errore. Ha preso coscienza, D’Angelo, che “qui si parrà la sua nobilitate” e che la prossima stagione sarà senza appello, o quasi, per il suo futuro, che sia ancora in maglia bianconera o meno.
Capitolo Caris Levert: non abbiamo ancora nozione di cosa effettivamente stia accadendo, ma non c’è un solo membro del roster o del coaching staff che non si sia detto sorpreso dai progressi del ragazzo, fisici e tecnici, al punto da faticare a trovare le parole per definirli. Levert ha doti incommensurabili, è, a mio parere, tra i giovani più underrated dell’intera Lega, ha le stimmate del fuoriclasse, perché fa cose incredibili sfoggiando una facilità di esecuzione propria di un Durant (con le dovute proporzioni, s’intende). Nella seconda parte della scorsa stagione ha mostrato anche una migliore selezione e rapidità di rilascio nel tiro dalla lunga ed aveva già stupito per la capacità di guidare la squadra a cambiare ritmo come backup PG… Non so dove potrà arrivare, ma se continua a perfezionare le sue “minacce”, essendo già tra i migliori difensori della squadra… Prendiamo nota di tutto: ci torneremo.
…e dalla sala stampa. Un’interessantissima intervista rilasciata da Kenny Atkinson, su temi tecnici, a Nets Daily ci regala numerosi spunti di riflessione sulla squadra che verrà.
Kenny ha insistito molto sul training psicologico, in particolare per affrontare con nervi saldi e continuare a fare il proprio gioco nei momenti clutch. Lo scorso anno ben 49 situazioni di risultato in bilico negli ultimi minuti e ben 31 sconfitte maturate per aver ceduto di schianto, sul piano dei nervi e del gioco: basterebbero sei o sette vittorie in più sul filo di lana per cambiare volto ad una stagione.
Esplicitamente, il coach conferma la sua vocazione al platoon system, corroborato da un mercato che gli ha imbottito la panca di veterani ed ampliato la varietà tecnica, fornendogli più alternative di gioco: nessuno avrà più di 30 minuti, aspettiamoci l’impiego di 11-12 giocatori per gara.
Occhio, Kenny: questo implica una cascata di responsabilità sulla tua testa: rende più complicata l’individuazione delle gerarchie e comporta, per poter funzionare, una rapidità di lettura delle situazioni di gioco e di reazione (trovando in tempo reale la formula giusta tra le mille, possibili combinazioni) che non hai ancora dimostrato di avere… Occhio, perché non saranno solo i tuoi ragazzi ad essere ad un bivio, a partire da ottobre!
La parte più chiara, perfino inusuale nella sua trasparenza, è quella in cui Kenny parla degli schemi difensivi: i Nets sono risultati undicesimi per percentuali al tiro concesse agli avversari, ma penultimi per recuperi palla. I prossimi Nets cercheranno sì, di implementare i turnover avversari, ma senza scalfire la vocazione alla compattezza al di qua della linea dei tre punti, senza allungare la difesa, in modo da continuare ad intasare le linee di passaggio e i corridoi, facilitando i tempi di rotazione e gli aiuti. Si tratta, in sostanza, di proseguire il duro e lento lavoro che, ad esempio, ha portato gente come Harris o Crabbe, noti per essere specialisti tiratori e poco altro, a figurare tra i migliori rispettivamente in cambi e aiuti, cercando di supplire all’atavica e macroscopica voragine rappresentata dalla tenuta sui blocchi e sul pick and roll.
Infine segnaliamo una precisa dichiarazione di intenti sul ruolo di Carroll, che è anche un implicito rilancio dello smallball: DeMarre sarà impiegato, più spesso che in passato, da PF (ruolo nel quale, a questo punto, c’è una sorprendente abbondanza, con RHJ, Faried e Dudley), il che lascia presagire più ampio e meritato spazio per Levert in ala piccola, anche dalla quale, tuttavia, sarà chiamato a condividere il playmaking.
Ball sharing, smallball, spaziature, più minacce, specie in area, con l’evidente crescita di taglia fisica e gioco nel pitturato assicurati dai nuovi arrivati. E ancora: sviluppo individuale nel contesto di una chimica di squadra già rodata. Primato della squadra sul singolo, le cui doti si esaltano mettendosi al servizio del collettivo. Miglior uso dei blocchi, si spera, anche grazie a Davis, delle cui qualità nell’uso di questo fondamentale hanno tessuto le lodi in tanti, in questo primo scorcio di training camp. E tanti, tanti tiratori, a rotazione o anche tutti insieme in campo, per una migliore costruzione e selezione di tiro. La direzione di marcia sembra chiara e coerente.
Il futuro sarà senz’altro ancora nebuloso e aperto ad ogni sorta di evoluzione, ma la vera notizia di settembre è che un futuro c’è, si staglia nitidamente all’orizzonte e sarà “inevitabilmente roseo” (cit. David Aldridge). Noi lo diciamo da tempo, perché lo abbiamo visto costruire, mattone dopo mattone, con pazienza certosina e con sudore.
Mancava, però, la scintilla, l’innesco, il reattore al plutonio per la DeLorean di “ritorno al futuro”, per la franchigia più vituperata degli ultimi anni.
L’innesco è arrivato: è la vicenda-Jimmy Butler. Se Marks è il doc, Butler, comunque vada a finire, è il fulmine delle 22,04 che Marty McFly, alias Mickael J. Fox, attende con trepidazione per tornare al futuro: era il 19 settembre quando Butler, ormai in rottura prolungata con coach e spogliatoio di Minnesota, ufficializzava e pubblicava la sua richiesta di essere ceduto. Non è certo il primo, non sarà l’ultimo caso del genere, tra le star: è all’ultimo anno di contratto e ambisce a monetizzare le sue doti straordinarie strappando un contratto massimale, tant’è che, tra le sue preferenze, indica franchigie con spazio sufficiente a garantirglielo. La breaking news sta proprio qui, perché Butler, oltre Clippers e Knicks, tra le sue destinazioni preferite indica anche i Brooklyn Nets! E sì, è una notizia vera, dopo anni di ostracismo da parte di star, giornalisti e ambiente tutto.
A questo punto, si scatenano immediatamente ridde di voci, incontrollate ipotesi di trade, si fantastica a migliaia, sui social, sulle possibili contropartite. Per certo, da più fonti, si sa che diverse altre squadre si interessano a Butler: almeno 5, una delle quali, gli Heat, capace di suscitare l’entusiasmo del diretto interessato e convincere la dirigenza di Minnesota a reiterare incontri e trattative. Si sa per certo che anche i Nets hanno incontrato la dirigenza dei Twolves per saggiare il terreno. Le richieste di Thibodeau, però, a quanto pare restano altissime, troppo alte, al punto che, proprio pochi giorni or sono, Butler ha dovuto ribadire il suo disinteresse verso la permanenza in squadra (che, nel frattempo ha approfittato della volontaria uscita di scena dell’ingombrante Jimmy per estendere con un massimale il suo diretto rivale nello spogliatoio, Karl Anthony Towns e, di fatto, chiudendo l’ultimo spiraglio per un riavvicinamento) e la delusione per le aspettative disattese da parte della sua (quasi) ex franchigia.
Questi i fatti, nudi e crudi, fino al momento in cui chiudiamo il numero di settembre.
Nessuno di noi, scriventi dal versante orientale dell’Atlantico (ma probabilmente anche di molti commentatori stars and stripes), ha elementi certi per poter prevedere il finale della telenovela-Butler, l’ennesima di questa calda ed interminabile estate di mercato. Qualunque previsione o lettura, dunque, è basata su sensazioni, analisi ed opinioni personali: lo sarà anche la mia, sono reo confesso e mi sottopongo al pubblico giudizio, confidando nella clemenza dei lettori.
Butler? Ni. La butto lì senza tergiversare: per me sono completamente fuori strada e fuori dalle logiche strategiche di Marks tanto i fautori della superstar ad ogni costo, pronti a stracciarsi capelli e vesti pur di convincere Butler a vestire il bianconero, quanto (soprattutto) gli scettici disposti a sacrificare nulla per firmare Jimmy. Ne ho lette di ogni, anche da autorevoli commentatori americani, qualcuno è arrivato a sostenere che una costosa trade imbastita per arrivare alla ex star dei Bulls sarebbe in contraddizione con la nuova strategia griffata Marks e segnerebbe un ritorno all’ancien regime.
Lo dico con fermezza: non è così! Billy King tagliò tutti i ponti con il futuro pur di farcire la squadra di star quali che fossero, senza alcun disegno prospettico, se non quello di provare a vincere subito. La logica era perversa, i risultati lo sono stati in modo conseguente, purtroppo.
Questo, tuttavia, non può indurre il tifoso e, soprattutto, l’osservatore o l’opinionista a guardare all’acquisto di una star come ad un cataclisma: le star producono il salto di qualità, attirano attenzioni, sponsor, hanno ascendente sul mercato e favoriscono l’innesco di un circuito virtuoso facilitando l’arrivo di altre star. I grandi nomi fanno vincere. I grandi nomi, ovviamente, hanno un costo e, se arrivano via trade, comportano, dolorosamente, delle rinunce, in termini di assets, cap space e/o picks. Sta alla bravura dello staff societario trasformarle in addiction by subtraction. Lenin l’avrebbe definita la strategia di un passo indietro e due in avanti.
Ma non era forse questo il fine ultimo della strategia di Marks? Non erano a questo scopo l’edificazione di una cultura nuova, la creazione di talenti in casa, la costruzione di un core futuribile, la liberazione di spazio salariale e, buon ultimo, un roster quasi interamente in scadenza tra un anno? Per selezionare, cioè, in libertà i giocatori da tenere, quelli da rilasciare e altri ancora da usare come pedine di scambio per bussare a denari con una o più stelle?
Decade così la motivazione dell’irrinunciabilità dei giovani talenti: nessuno dei ragazzi a roster sarà mai il futuro Chris Paul, né Kevin Durant, né Anthony Davis; si tratta, pertanto, di scegliere bene su chi investire, per creare squadra intorno al Butler di turno e chi, invece, è sacrificabile per la causa, senza pregiudizi. Butler sarebbe il benvenuto al Barclays, altroché… A condizione, naturalmente, che il prezzo sia equo, perché lasciargli il deserto intorno sarebbe controproducente per tutti: come convincere Butler ad estendere l’estate prossima, o addirittura altri fuoriclasse a raggiungerlo al di qua del ponte, dopo un’emorragia di talento?
Il problema è un altro: Butler finirà per firmare altrove, ingolosito dalla possibilità di competere fin da subito, dunque niente voli pindarici e olio di gomito! E, tuttavia, la scia dorata lasciata dalla cometa-Butler illumina comunque la notte di Brooklyn: alea iacta est! Le dichiarazioni di Butler, collocando i Brooklyn Nets tra le sue destinazioni preferite, quali che fossero le sue motivazioni, hanno comunque sortito l’innegabile effetto di accreditare la nuova strategia di ricostruzione della franchigia e di sdoganare definitivamente Brooklyn “l’appestata”. D’ora in avanti, nessuno potrà più escludere i Nets pregiudizialmente da qualunque obiettivo di mercato. La vicenda Butler è, insieme la legittimazione del recente passato e la valorizzazione del prossimo futuro. Il ritorno al futuro degno dell’indimenticabile Robert Zemeckis…
Stay tuned!