Se vi aspettate un ranking, forse è il caso che chiudiate l’articolo e vi rivolgiate altrove. Ci sono fior di colleghi specializzati cui piace giocare con classifiche virtuali e addirittura con i record del futuro. Divertenti e piacevoli da leggere, ma non è il mio caso.
Se il basket è, già di per se, uno sport ricco di sorprese, l’NBA è addirittura un moto perpetuo in cui il cambio di rotta è dietro l’angolo e il capriccio di una star (Leonard, Butler e chissà chi altri, nel prossimo futuro), o gli imprevisti (vedi San Antonio che perde, nel giro di pochi giorni, Murray, Walker e adesso anche White!), possono radicalmente modificare prospettive, aspettative, strategie, obiettivi di mercato.
I ranking estivi, pertanto, sono solo un giochino, un sudoku estivo, null’altro. Ognuno si faccia il suo e ciascuno avrà la medesima dignità.
Mi interessa di più cogliere la morale sottesa a quest’estate tumultuosa e un po’ inconcludente, farcita da polemiche di contorno, e capire dove le franchigie abbiano intenzione di andare a parare. Riuscirci, poi, è un altro paio di maniche…
La morale. Si, perché c’è un leit motiv in ogni offseason. Lo scorso anno, ad esempio, all-around.net l’aveva individuato, prima di chiunque altro, negli infortuni. Fummo buoni profeti di sventura, purtroppo.
Questo, invece, ha l’aria di essere ricordato come il torrido turbinio dell’attesa. È la stagione della transizione, quella alle porte, per una serie di motivi tutti meritevoli della più degna attenzione. Occhio, perché l’anno prossimo potreste non vedere più la NBA con i medesimi occhi. O meglio: la Lega, le gerarchie attuali e i criteri stessi con cui siete abituati a leggere le strategie delle franchigie potrebbero subire mutamenti epocali.
Se c’è una terra di mezzo emblematica, quella è la stagione alle porte.
L’ultima in cui (almeno secondo le intenzioni del commissioner) si possano vedere i frutti di un tanking strategico (a partire dal prossimo, cambieranno le regole d’ingaggio del draft).
La prima a vedere l’introduzione di regole nuove forse finora sottovalutate (il reset del cronometro a 14 secondi e non più a 24 dopo un rimbalzo offensivo, mutuata dalla FIBA, credo sia argomento ancora poco dibattuto ma foriero di seria incidenza su ritmi-partita e scelte di gioco).
L’ultima di contratto per un’infinità di star (Cousins, Russell, Leonard, Thompson, Durant, Butler, Irving, Davis, Jordan, Walker, T. Harris, Lopez, tanto per citarne qualcuno a memoria, saranno free agent l’estate prossima), con franchigie emergenti, dal cap space davvero invitante, pronte all’assalto, lasciando presagire rose stravolte e gerarchie completamente rivoluzionate.
L’ultima, forse, con una vincitrice già designata prima ancora di cominciare a giocare…
La offseason ormai agli sgoccioli, invece, lasciando ancora alcuni cantieri aperti e fior di telenovele in attesa di un degno finale, è stata sì, ricca di colpi di scena ed illustri cambi di casacca, conditi da polemiche a mio avviso eccessive (Cousins) e forse anche un tantino ipocrite (Leonard, Butler) ma, a ben vedere, priva di scosse telluriche tali da stravolgere la crosta terrestre: la favorita è sempre la stessa (superfluo nominarla), le candidate ai playoff sono più o meno le medesime, le potenziali contender, anche, così come ben poche sembrano le realtà di seconda fascia pronte, fin d’ora, ad uscire dalla penombra e scalare posizioni.
I Lakers sono la più emblematica delle eccezioni che confermano la regola: acquisire le prestazioni dell’unico giocatore al mondo capace, da solo, di mutare radicalmente le sorti di una squadra (superfluo nominarlo) non invalida, anzi, corrobora, la mia teoria ed il giudizio complessivo. Intorno a lui ed ai veterani che si è tirato dietro, i giovani virgulti inizieranno a fruttare (Ingram, Hart, Kuzma) e qualcuno dovrà dimostrare di valere un posto a tavola (Lonzo), ma i Lakers riconquisteranno la post-season dopo anni di un anonimato talmente kitsch, per un blasone come quello gialloviola, da sembrare quasi innaturale ed inappropriato. Su questo non ci piove.
Troppo per recitare l’antico adagio “tanto rumore per nulla”, ma ancora troppo poco per parlare di rivoluzione strutturale. Un via di mezzo, appunto.
Il paventato, ulteriore trapianto di star da Est a Ovest, alla fine, nemmeno c’è stato (LeBron, certo, e DeRozan; Melo, ok, posto che ancora di star si tratti, ma Leonard, ad esempio, ha effettuato il percorso inverso, Butler pare in procinto di fare altrettanto: e allora?).
Piuttosto, le più succose manovre sono occorse in seno alla sponda occidentale: Randle a New Orleans va a dar man forte ad una squadra che ha già saputo fare benino e già da tempo orfana di DMC. Contrariamente alla vulgata più popolare, e nonostante Rondo sia volato alla corte del Re, NOLA continuerà a crescere e resta un bell’esperimento di squadra. A condizione che Davis continui a crederci e non presti orecchio a certe, presunte sirene…
Ariza alza l’asticella a Phoenix (checché se ne dica in giro, anche Ryan Anderson): benché restino clamorosamente ancora orfani di una PG, i Suns non sono più solo un’allegra combriccola di belle speranze e, tutti protesi verso il futuro, hanno iniziato a fare delle scelte. Si tratta di scoprire se il contratto annuale all’ex collante dei Rockets prefiguri un parcheggio temporaneo o un disegno strategico, visto anche l’ampio spazio salariale spendibile.
Al futuro, secondo me, stanno guardando anche i Rockets, appunto. Che dolore, la partenza di Trevor, d’accordo, ma era in scadenza ed ha fatturato nientemeno che l’erede di Chris Paul, Knight! Come dite? La sua salute è ancora work in progress? Giusto, ecco allora Carter-Williams per tutelare anche il presente ed ecco Anthony, tanto per gradire! Il tutto mentre si estendeva fin oltre l’orizzonte l’asse Paul-Capela, tanta roba per altri 4-5 anni e alzi la mano chi può vantare qualcosa di simile! Non credo che le distanze con Oakland si siano accorciate, nell’immediato, tutt’altro, ma le basi per dominare la Lega le hanno gettate a Houston come in pochi altri posti…

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Se c’è qualcuno che può vantare (mutatis mutandis, s’intende…) qualcosa che si avvicini alla medesima lungimiranza, quelli sono i Nuggets: Millsap e Jokic sono una frontline seconda a (quasi) nessuno, il cielo è il limite per il serbo e a Denver lo hanno capito al punto da garantirgli 5 anni sotto il firmamento del Colorado. Un colpo al cerchio del futuro, con la scelta fortunatissima di Michael Porter Jr. (ci vorrà tanta pazienza per rivederlo in campo, ma ne potrebbe valere davvero la pena), uno alla botte del presente: d’accordo l’anca, ok i limiti fisici, ma non ci credo che IT4 sia improvvisamente diventato un brocco dal quale tenersi alla larga, anzi…
E mentre gli Spurs si leccano le ferite di una transizione che voleva essere morbida, alla prima stagione senza Parker e Ginobili e dopo il lungo addio di Leonard, e che, invece, inizia con la dolorosa rinuncia a tre giocatori chiave e di belle speranze (but in Pop we still trust!), faranno vedere belle cose, quest’anno, i cugini di Dallas. Cuban sta guidando una ricostruzione davvero ben fatta intorno ai totem Carlisle e Nowitzki: un paio di generazioni dopo l’immortale WunderDirk, è arrivato Doncic, il nuovo fenomeno d’oltreoceano, con il Draft, a formare, con il sophomore Dennis Smith Jr., un backcourt tra i più futuribili che io ricordi in trent’anni di passione. E DeAndre Jordan lì sotto a far loro la guardia e da balia. Ce n’è a sufficienza per meritare più di un’occhiata, direi…
E l’oriente? Beh, quest’anno è tutt’altro che il luogo in cui sorge il sole, visto l’addio del Re…oppure no? Forse per rivedere l’alba è ancora presto, ma, nel buio di una notte destinata a durare ancora un po’, stelle nascenti non mancano, e contender, volendo avere un po’ di fiducia, neppure.
Continuità è il mantra recitato a Boston, già finalista di Conference e per di più in attesa del rientro di Hayward e Irving (mica nessuno, eh?), ma anche a Philadelphia, dove, invece, si spera di far tesoro dell’esperienza passata e di assistere all’ulteriore step di Embiid e soci. E se Fulz….
Continuità, e tanta fiducia nei rispettivi trend di crescita, è il filo rosso che attraversa anche Indiana e Milwaukee, ovvero le protostelle Oladipo e Antetokounmpo, ma anche i gregari chiamati ad orbitare loro intorno. Ove l’armonia dei pianeti si incastrasse bene con cotanta forza…di gravità, potrebbe esserci vita (da contender) anche nei loro sistemi solari.
L’azzardo. Io personalmente, però, amo l’azzardo, quindi terrò più volentieri gli occhi sgranati su Toronto, la rischiatutto, pronta a rinunciare al suo volto di sempre (DeRozan) per un anno di Leonard ed a scommettere tutto sulle proprie magnifiche sorti (finals?) e progressive (estensione fra un anno per la nuova star?). Sarà un nuovo inizio su tutti i fronti, lassù al Nord, dopo aver silurato il Coach Of the Year Dwane Casey per promuovere al suo posto, a gestire una stagione così delicata, un rookie coach come Nick Nurse… Un bel coraggio, davvero!
L’orgoglio. E nutro profondo rispetto per l’orgoglio altrui, quando legittimo, per cui presterò deferente attenzione anche a Cleveland, la maledetta (dalla sorte): in Ohio non hanno nessuna intenzione di fermarsi a raccogliere i cocci lasciati da LeBron, né di indossare i panni della vedova inconsolabile e la società ha coraggiosamente scommesso su chi è rimasto (quasi tutti) e su coach Lue. Tutti chiamati a dimostrare il proprio valore e tutti dettisi pronti a rispondere “presente”. Tra il dire e il fare, poi, c’è di mezzo…un volo per Los Angeles, ma i Cavs saranno la scheggia impazzita della Lega, un gustoso boccone per i più curiosi e sportivi tra gli appassionati.
Tutto il resto non è noia, anzi: le promettenti pesche al Draft o le significative mosse di mercato rendono appetibili anche le esibizioni di una New York che, però, pagherà a caro prezzo lo scotto della lungodegenza di Porzingis, di una Atlanta che inizia appena a prendere forma, di una Brooklyn che sta armando le sue truppe in attesa, finalmente, di trovare un generale in grado di guidarle sui sentieri della vittoria, di una Chicago che ha azzardato una delle scommesse più rischiose e, per questo, affascinanti della stagione, puntando forte sul rilancio di Jabari Parker.
Da quelle parti, però, l’atmosfera è ancora rarefatta e la notte ancora giovane: c’è una terra di mezzo da attraversare prima di giungere nell’Eden delle vincenti, ed ha le fattezze della stagione alle porte. Carne al fuoco, come vedete, davvero tanta, la tavola imbandita: voi non avete fame?