Pronti? Via! Che l’esordio stagionale sarebbe stato difficile era scontato, visto il calendario, ma che cinque gare sulle otto in programma fossero destinate a restare in bilico fino agli ultimi istanti, regalandoci dosi di adrenalina tali da scatenare la tachicardia ad un mammut, questo no, non era previsto. Nottate insonni e pluslavoro per le coronarie a parte, i risultati sono in linea con le aspettative; non altrettanto dicasi per il modo in cui sono maturati. Varrà la pena di fare un excursus sull’andamento delle partite, sulle novità tecniche e sul rendimento di alcuni giocatori, per avere un quadro più definito della situazione a Brooklyn, davvero un universo magmatico tra i più affascinanti ed imprevedibili della galassia NBA.
La cronaca. Come accaduto in preseason (bilancio 2-2), anche in stagione (record ottobrino 3-5, 3-6 al momento in cui scriviamo) risultati e prestazioni in altalena per i Nets. Competitivi, pronti alla battaglia, con più colpi in canna quando occorre, i ragazzi di Atkinson hanno mostrato sul campo la voglia di vincere sempre (o quasi), ma anche palesato difetti vecchi e nuovi. Le attenuanti non mancano: molti uomini nuovi a roster, ma soprattutto (ancora!) un mare di infortuni: Rondae Hollis-Jefferson prima alle prese con gli strascichi del trauma occorso in exibition game l’estate scorsa, poi anche con le gioie della paternità (auguroni!), DeMarre Carroll con un piccolo intervento di pulizia alla caviglia destra (in odore di rientro, ma senza alcun timetable pubblico), Napier e Crabbe, che hanno saltato le prime gare stagionali e ancora lontani (soprattutto il secondo) dalla forma ideale, Graham che, al contrario, dopo essersi ritagliato uno spazio come prezioso giocatore di sistema, si è stirato e sarà fuori ancora per un pò, per finire con Kurucs, faccia tosta, mano morbida e rivelazione di inizio stagione, fuori alcune partite per effetto di un trama distorsivo alla caviglia e poi finito a sbrinare a Long Island. Oltre al two-way contract Alan Williams, ancora costretto a rinviare l’esordio in white&black (ma autore, nel frattempo, di un esordio travolgente in G-League: 27 punti e 21 rimbalzi, di cui 8 offensivi!).
Spentasi l’eco della vicenda-Butler, tornato a Canossa-Minneapolis con più miti consigli (per ora), anche i Nets sono tornati con i piedi per terra, non deflettendo mai dalla strategia, esercitando l’opzione anche per il prossimo anno sui rookie contracts di Levert e Allen (sarebbe mancato altro!), e aprendo la regular season con gerarchie e starting five già discretamente definiti, in parte condizionati dalle assenze: coppia di esterni incarnata da Russell e LeVert (promosso titolare), Harris in SF stante la perdurante indisponibilità di Carroll, Dudley in PF, preferito in partenza a Rondae anche dopo il rientro di questo, Allen al centro, con Davis di rincalzo. Lo stesso Davis, Dinwiddie, Graham e Kurucs prima, Napier, RHJ e Crabbe, poi, le armi segrete pronte ad essere sfoderate dalla panchina.
La stagione è stata aperta dalla sfida con i Pistons, vinta da Detroit (103-100) nonostante una partenza quasi perfetta dei Nets e di Jarrett Allen (15 nel solo primo tempo), grazie al solito tracollo bianconero nel terzo quarto e rintuzzando il rientro ospite, nei secondi finali, complici le solite palle perse. Levert, protagonista di una di queste, mette, però, a segno un career high (27) che sarà addirittura capace di migliorare nel derby del Barclays (28), condendo il tutto con il buzzer della vittoria (107-105) in penetrazione: un’immagine indelebile nella testa e nel cuore dei tifosi. Pistons e New York Knicks sono le uniche avversarie già affrontate due volte (senza contare anche le amichevoli pre-stagionali); l’esito dei secondi confronti sarà decisamente differente: disfatta al MSG (115-96), in quella che risulterà, finora, la prova più abulica e sconfortante del mese, distrutti a rimbalzo, sotto il ferro e nelle conclusioni dalla media-lunga per mano di un basket semplice semplice… Il riscatto al Barclays proprio contro Griffin e soci (120-119), nell’unico overtime del mese, coronando, per una volta, una rimonta che Dinwiddie (25), autore di una gara da urlo, ha prima materializzato, conquistando l’extratime, poi suggellato con la splendida tripla del definitivo sorpasso.
In mezzo, rendimento in altalena, con la passeggiata in quel di Cleveland (86-102), contro un bocciolo di squadra che ha atteso l’esonero di Lue per accennare a schiudersi, il suicidio a New Orleans (117-115), dove una prestazione spettacolare ed una vittoria già in tasca sono finite alle ortiche in pochi secondi, giusto il tempo di un no-look senza senso di Russell ed un tecnico a gioco fermo di Davis. Infine, le sconfitte annunciate: sul parquet dei Pacers (squadra storicamente indigesta ed obiettivamente ancora fuori portata: 132-112) ed al Barclays contro i Warriors campioni (114-120), al termine, tuttavia, di una prova bellissima, orgogliosa ed impreziosita da bel gioco e scelte tattiche intelligenti, tali da far stropicciare gli occhi anche al mitico duo Tranquillo-Pessina, in diretta, su Sky.
Cinque gare decise solo nel finale, due delle quali vinte, e qualcosa di più si poteva portare a casa anche nelle altre occasioni, con merito. Un consuntivo che non farà gridare nessuno al miracolo o alla rivelazione, ma solido e confacente alle potenzialità dei Nets: giusto quello che Marks chiede alla sua truppa, in vista dei futuri obiettivi di mercato. In tal senso, novembre avrà il potere di consolidare nei bianconeri la fiducia nei propri mezzi, oppure quello di deprimere di nuovo l’ambiente.
Corsi e ricorsi. In attesa di leggere il prossimo capitolo, il leit motiv del mese, almeno come flusso di punteggio nelle gare succitate, sembra essere abbastanza ossessivo: partenza lanciata, talora straripante, adeguamento degli avversari nel secondo quarto e tracollo nel terzo. Infine, più o meno in tempo per riaprire la gara, le contromisure di Atkinson ed il recupero, le fiammate in grado di tenere il muso avanti o di riaprire la contesa, ed i finali entusiasmanti o sconfortanti, sempre con protagonisti diversi. In questo, ma solo in questo, il canovaccio sembra ricalcare in ciclostile quello, disgraziato, della scorsa stagione e pare un filo rosso destinato a tenere insieme i destini delle squadre di Atkinson. Sul fronte del gioco, invece, ci sono novità significative e scelte coraggiose che meritano di essere analizzate e corroborate con le giuste dosi di statistiche.
Il gioco. Dopo aver dovuto stravolgere non poco la vocazione al pace & space, lo scorso anno, adattandosi alle assenze (Lin e, per metà stagione, Russell) ed alle caratteristiche del sostituto (Dinwiddie), quest’anno Atkinson è tornato alle origini. Doppio play nel tentativo di implementare la circolazione di palla e spaziature caratterizzate da cinque uomini schierati sul perimetro, con Allen molto alto a portare il blocco dopo aver ricevuto ed eseguito il consegnato, per rollare ed eseguire di nuovo il blocco lontano dalla palla.
La strategia è mettere quanti più uomini in condizione di attuare le tre minacce ed avere libertà di scelta tra diverse opzioni di gioco: riprendere la circolazione, attaccare il ferro, riaprire o tirare.
La tattica è creare il vantaggio al palleggiatore e favorire la smarcatura del tiratore per la conclusione aperta o generare il corridoio per la penetrazione del portatore fino al ferro, rispettivamente grazie al genio di Russell (5,2 apg, 28 A%, 40% 3P), ed alla crescita esponenziale di Levert (18,9+4,6+4,8). L’uso dei blocchi, di molto perfezionato rispetto alla disfunzionalità della passata stagione, consente la rotazione offensiva ed il posizionamento di Russell, Dudley e talora dello stesso Allen in angolo: si tratta di giocatori dalle percentuali ancora altalenanti, ma sempre pericolosi, mentre Harris, sempre uscendo dai blocchi, tende a portarsi più fronte a canestro, il che gli consente di “minacciare” l’attacco al ferro o, più spesso, concludere da fuori con percentuali fin qui irreali (58% 3P), perfino al di sopra di quelle lusinghiere tenute lo scorso anno.
Il sistema si può dire che funzioni decisamente meglio della passata stagione (i Nets tirano dall’arco con quasi il 39%, ottavi assoluti, mentre erano penultimi fino ad aprile!), il che è sì, grandemente dovuto ai miglioramenti dei singoli (ci torneremo) ma, in una squadra il cui quintetto è composto, per 4/5, dagli stessi uomini disponibili lo scorso anno, anche alla presenza in campo dell’unico volto nuovo dello starting five, paradossalmente il più lento, meno tecnicamente dotato, meno realizzatore a disposizione.
Jared Dudley. Il veterano pescato dai Suns per quattro soldi non segna, non tira, difende quando ne ha voglia, eppure risulta alzare tutti i punti statistici di squadra quando è in campo, perché partecipa alla manovra in modo affidabile (3,83 As/TO, di gran lunga il migliore della squadra!), tiene poco la palla (il USG% più basso, circa 10) e, soprattutto, sgombra il corridoio aprendo il campo, avendo fama di tiratore “non battezzabile”. Non ci possono essere altre ragioni perché Atkinson si ostini a preferirlo in partenza sia a Rondae, sia al povero Faried, mai davvero entrato nelle rotazioni, e viene da domandarsi quanto ancor più efficace potrebbe essere il ruolino di marcia offensivo dei Nets qualora avessero in squadra uno stretch four davvero all’altezza…
Qui finiscono le note liete, perché questo sistema, tuttavia, presenta alcune criticità che espongono la squadra a notevoli rischi:
– l’imprevedibilità di rendimento di un sistema incentrato sul tiro da tre punti, specie per una squadra molto giovane e con tanti ragazzi dalla meccanica ancora migliorabile;
– la difficoltà a cambiare registro nel momento in cui le difese compiono i loro adattamenti, in particolare quando schierano giocatori in grado di passare davanti al blocco non concedendo vantaggio al palleggiatore o non permettendo al tiratore di avere il necessario distanziamento.
Quando queste evenienze si realizzano, il portatore trova difficoltà a smarcare un compagno e si vede costretto a forzare la penetrazione (LeVert) o il palleggio (Russell!), oppure a ripartire chiamando un compagno ad uscire per ricevere. Sono situazioni di gioco estremamente prevedibili e, pertanto, prestano il fianco all’intercetto da parte della difesa (16,6 TO, 22,5 punti per gara subiti a partire da una palla persa, peggior dato della Lega!).
Le alternative, anch’esse efficaci a corrente alterna, consistono nelle accelerazioni e le triple dal palleggio di Napier, finora molto positivo e, soprattutto, nel gioco molto più P&R-oriented di Spencer Dinwiddie, nonché nella “lama a doppio taglio” Ed Davis, maestro di blocchi e, soprattutto, di rimbalzi, specie offensivi (secondo assoluto in NBA per OREB%). Dinwiddie in particolare sta guadagnando sempre più spazio soprattutto nei minuti clutch, al di là della prova-monstre della notte di Halloween (quella con Detroit, la squadra che lo selezionò al Draft per poi abbandonarlo al suo destino, sembra essere una Nemesi annuale), a scapito di Russell. Si tratta di un problema molto dibattuto, su cui torneremo a parte.
La difesa. Come ampiamente preannunciato da Atkinson, la filosofia consiste nel chiudere i corridoi agli avversari presidiando l’area, anche a costo di rinunciare alla ricerca dell’anticipo (ventiseiesimi per STL e penultimi assoluti per punti realizzati da palle recuperate). Netta differenza rispetto alle scelte tattiche della passata stagione, così come rispetto all’uso, molto meno ossessivo, dei cambi difensivi sistematici. Questa strategia viene perseguita attraverso il sistematico schieramento di Allen (o Davis) in posizione di attesa sul pick and roll avversario, proprio allo scopo di sbarrare la strada al penetrante e di guadagnare metri preziosi in vista dello scivolamento sul drive o dell’aiuto al ferro. Anche questa scelta sta pagando dividendi ragguardevoli, se è vero che i Nets si classificano ad un più che dignitoso 13° posto per percentuali dal campo concesse agli avversari e addirittura all’11° per punti concessi nel pitturato. Eppure si subiscono tanti punti. Com’è possibile? Ciò è sì, largamente dovuto all’atavico e strutturale gap di fisicità che i Nets pagano agli avversari, soffrendo sistematicamente il gioco in post dei vari Kanter, Drummond o Turner, ma anche ai rischi che questo modello difensivo porta naturalmente con sé:
– non essendo dotati di giocatori in grado di passare sui blocchi, ed essendo, anzi, le guardie designate a marcare il palleggiatore visibilmente tra le peggiori in questo fondamentale, il semplicissimo arresto e tiro dal mid range rappresenta un fondamentale e sistematico coltello che gli avversari affondano nel burro, anticipando l’uscita di Allen;
– essendo Allen chiamato alla chiusura ed al raddoppio, ed essendo l’unico lungo vero in campo, lascia praterie al rimbalzista avversario (penultimi per OPPOREB, 13,3, e per punti concessi da seconda chance, 18,5!).
I singoli: croci e delizie. I Nets hanno chiuso la passata stagione, pur con mille attenuanti, con un record di sole 28 vittorie e, pur cambiando molto, hanno conservato un nucleo di giocatori, tra cui l’intero starting five, immutato, allungando le rotazioni ma senza acquisire nessuno in grado di dare una sterzata significativa alle aspettative per la stagione in corso. Perché il livello di rendimento si alzi, dunque, non può bastare una rosa più lunga ed equilibrata, magari leggermente più confacente alla filosofia di gioco del coach, ma occorre il salto di qualità da parte dei giovani più talentuosi. Ecco perché, quest’anno, #stillawake darà più spazio ed attenzione al rendimento dei singoli.
Detto del notevole contributo di Davis, degli exploit esaltanti di Dinwiddie, della preziosa certezza rappresentata dalla produttività di Harris; non detto, invece, dei progressi fatti (uso del corpo e scelta di tempo su tutti) e ancora da fare (difesa sul low post) di un Jarrett Allen comunque prezioso e futuribile come pochi altri, ci soffermeremo, invece, sui due ragazzi più talentuosi del roster, uno croce, l’altro delizia di questo primo mese di stagione regolare.
Russell, chiamato ad essere leader e risolutore di questo manipolo di ragazzi e di veterani scappati di casa, ad ottobre ha dato un contributo realizzativo ragguardevole (14,8), ancor più nel tiro da fuori, come testimoniano le percentuali dai 7,25, ma, guardando le partite, sta rappresentando più una parte del problema, che della soluzione. Capace di letture ignote ad altri, così come di creare il tiro dal palleggio, soprattutto con l’arresto dal mid range, è riuscito sì, ad implementare la pericolosità da tre punti mettendosi in proprio, ma soprattutto ricevendo gli scarichi (il 72,3% delle conclusioni da tre mandate a bersaglio sono frutto di un assist ricevuto). Questo dato stride, invece, con quanto mostrato at the point contro la difesa schierata, laddove è del tutto evidente l’insistenza nel palleggio sullo stretto, il che, se testimonia, da un lato, fiducia nei propri mezzi, dall’altro inceppa la fluidità della manovra e lo rende prono al rischio di perdere palla (2,8 perse a partita, peggior dato di squadra, e 12,6 TO%, appena meglio di Dinwiddie, ma ben peggio di Napier e Levert). Il tutto indica in Russell un formidabile bomber e facilitatore, meglio da 2 che da 1, almeno finora, ma un pessimo gestore della palla e selezionatore di conclusioni, come testimoniano EFG inferiore al 50% ed uno dei dati peggiori di squadra quanto a TS%.
Note ancor più dolenti in fase difensiva (DEFRTG 114,4), ove, pur essendo capace di letture anticipate (terzo di squadra per palle rubate), la sua marcatura sul portatore di palla rappresenta uno dei talloni d’Achille dei Nets nella propria metà campo: sistematicamente subisce e si pianta sui blocchi, regalando il vantaggio all’avversario e costringendo la difesa a ruotare anticipatamente.
Se finisce in panchina nei minuti finali (quasi sempre) e, quando non lo fa, si rende artefice di clamorose topiche, come quella di New Orleans, si capisce che, per una squadra abbonata ai finali punto a punto, questo rappresenti il principale motivo di preoccupazione, il fronte di lavoro più impegnativo per il coaching staff e, forse, persino la chiave di volta del prosieguo della stagione.
LeVert, insignito da tutti, compagni e tecnici, della palma del più cresciuto nel corso del training camp, ne ha dato, finora, clamorosa dimostrazione sul campo, e non parlo delle cifre, peraltro già riportate. Parlo della sicurezza nei propri mezzi e di quella che è in grado di trasmettere anche ai compagni e a chi guarda la partita attraverso il linguaggio del corpo. Parlo del ball handling e della imprevedibilità sul primo passo, del controllo del corpo in penetrazione e della capacità di assorbire i contatti (di gran lunga il migliore della squadra per punti nel pitturato, 11,3 a partita). Parlo della lenta ma testarda crescita nel tiro da fuori, l’arma che resta da aggiungere per fare di lui un pericolo pubblico in fase offensiva. Parlo di “mamba-mentality”, quando il tiro si ostina a non entrare e lui, con la medesima fiducia, continua a cercarlo fino ad infilare il più importante. Se riuscirà a tornare sui suoi standard difensivi e ad evitare di andare “fuori giri”, avremo di fronte un serio candidato al MIP dell’anno e ad un futuro da star.
Dalla voglia di leadership di Russell e dalla continuità della curva di crescita di Levert, passeranno buona parte dei destini del novembre bianconero.
Stay tuned!