Corsi e ricorsi storici tutt’altro che favorevoli per i Nets: esattamente nel medesimo momento della stagione NBA , come lo scorso anno persero D’Angelo Russell e, con lui, ogni velleità di restare competitivi, anche quest’anno il brutale infortunio di Levert ha tarpato le pur giovani ali bianconere segnando un doloroso spartiacque.
La nostra è una rubrica di cronaca e di commento, per cui anche #stillawake avrà la struttura storica del prima e dopo, in modo da restare fedeli alla nostra missione. Dopo la cronaca, occorrerà analizzare cosa sia cambiato in campo, le ragioni del tracollo sul piano di gioco e risultati e ciò che ci aspettiamo che cambi non tanto nelle strategie di lungo termine societarie, già chiaramente indirizzate verso l’all-in nel 2019, quanto nelle mosse tattiche che attendono i macchinisti Marks ed Atkinson da qui all’estate prossima. Si tratta di arduo e spiacevole compito, ma da qualche parte bisogna pur iniziare…
La cronaca prima del 12 novembre: la fiducia ai tempi di Levert. Record 3-2: dopo l’inopinata ed evitabilissima sconfitta interna contro i Rockets, ecco i bianconeri infilare tre vittorie consecutive, con due vittime illustri come 76ers e Nuggets, ferme lì a guardare quanto fossero belli quei Brooklyn Nets. I primi portati a scuola di gioco prima da Levert (18 già a referto all’intervallo), poi da Russell e dall’intero collettivo, autore di una prova magistrale in termini di uso dei blocchi e circolazione di palla. I secondi puniti a domicilio ancora da un buzzer di Levert, spauracchio di qualsiasi difesa e go-to-guy della squadra, tra le altre cose. In mezzo, la passeggiata di Phoenix; dopo, l’onore delle armi contro i Warriors, all’Oracle Arena.
Una squadra dalle mille risorse, capace di andare oltre i propri limiti strutturali (mancanza di atletismo e stazza fisica) con la forza del gioco di squadra, della circolazione di palla, della crescita dei suoi migliori talenti: Caris Levert (e non Carlos, come riportato nella rubrica specializzata di un grande quotidiano italiano- sic…), protagonista di un’esplosione che nessuno, tranne i compagni di squadra, era stato in grado di mettere in preventivo (o, per lo meno, non in questi termini, avendo assunto proporzioni da MIPOY) e Jarrett Allen, meno intellegibile attraverso le cifre (fino a metà novembre 11,4+7,8), meno appariscente, ma da cogliere nei dettagli dei movimenti visti sul campo, in particolare nell’uso del corpo durante l’esecuzione dei blocchi sulla o lontano dalla palla, nella scelta di tempo nel roll, nel senso della posizione in area, nella tenuta (nei limiti concessi da una struttura fisica ancora lungi dall’essere completa) sul post. Intorno a quest’asse si è sviluppato un gioco a tratti spumeggiante e in grado di fare canestro in tanti modi costruendo il tiro con pazienza ed intelligenza, consentendo, ad esempio, a Joe Harris di toccare vette irreali nelle percentuali dal campo e, soprattutto, da tre punti (striscia di gare con quasi il 60%) e a D’Angelo Russell di assumere il ruolo, a nostro modesto avviso a lui più consono, di facilitatore e di finalizzatore (stabilmente oltre il 40% dall’arco, con oltre i tre quarti delle triple realizzate che nascevano da assist ricevuti).
La cronaca dopo il 12 novembre: e poi venne il diluvio…precisamente nella notte tra il 12 ed il 13 novembre, a Minneapolis, ed assunse la forma dello spettacolare infortunio a Levert, complicato “solo” dalla lussazione della caviglia, su cui abbiamo già scritto tutto e davvero non sarà il caso di dilungarsi.
Da lì in poi, record 2-9…Prima, le ferme dichiarazioni di intenti, tutte orientate verso il raggiungimento dei medesimi obiettivi attraverso uno step up collettivo..ma già nessuno ci credeva più. Poi fu il momento dello shock (con Miami); quindi la reazione, con le belle prove contro Washington e ancora gli Heat (decimati, nell’occasione), la dolorosa sconfitta contro i Clippers, a tratti dominati, l’illusione di poter ancora dire la propria. Infine l’ultima fase, la striscia di 5 sconfitte a fine mese (ancora aperta e giunta a 7, mentre scriviamo), con un palese salto indietro sul piano del gioco e di quella circolazione che era stata la chiave di volta del confortante avvio di stagione.
Cosa succede ora sul campo… Inutile entrare nei dettaglio delle singole gare: i Nets hanno trovato…1000 modi per morire. Talora subendo il solito parzialone nel terzo quarto, spesso cedendo di schianto nell’ultima frazione, cessando di condividere la palla e soffrendo, soprattutto, se un comune denominatore vogliamo trovarlo nella serie di sconfitte, l’aggressività della difesa sul portatore e, in generale, sul perimetro (vedansi le debacle contro Clippers e Wizards).
A fronte dei progressi anche lampanti evidenziati da alcuni singoli (ci torneremo), le principali differenze viste in diretta, rispetto ai Nets capitanati da Caris Levert, consistono nella difficoltà nel creare gioco ed assicurare il movimento della palla.
Levert era un ottimo playmaker, ma soprattutto l’unico davvero in grado di minacciare qualsiasi difesa attaccando l’uomo ed il ferro direttamente dall’uno contro uno, costringendo gli avversari a ruotare o a raddoppiare e facilitando, così, lo smarcamento di un tiratore per la tripla aperta o di Allen in post up.
Fuori lui, Dinwiddie ha fatto ciò che ha potuto e lo ha fatto anche bene (17,9+5,8 dopo il 12 novembre), incrementando ulteriormente la propria produttività e trascinando la squadra ad alzare i ritmi, essendo l’unico dotato di un primo passo appena accostabile a quello di Levert.
Tuttavia, la difficoltà, ad esempio, a superare il lungo, schierato in attesa a chiusura del corridoio, e a trovare una decente chimica con D’Angelo Russell non ha consentito il raggiungimento dei medesimi standard di rendimento in termini di produttività del gioco (OFFRTG: 109,8 prima dell’infortunio a Levert vs 106,1 dopo l’infortunio). La sfera arancione circola molto meno bene (AST%: 60,4 vs 51,8) e si fatica a trovare il tiratore: una buona difesa sul P&R o in raddoppio sulla palla consente, di solito, di spegnere alla fonte le velleità dei Nets, così come visto nei tanti finali in cui anche le gare più combattute si sono risolte a sfavore dei bianconeri. Il ricorso agli isolamenti o alle triple dal palleggio e fuori ritmo, infrequente prima del 13 novembre, è cresciuto a dismisura (2FGMAST: 51,6% vs 44,7%; 3FGMAST: 79,3% vs 69,4%), con inevitabile peggioramento della qualità delle conclusioni e, conseguentemente, delle percentuali (FG%: 45,1 vs 42,8; 3P%: 36,5 vs 31,9).
L’infortunio occorso ad Harris, poi, privando i Nets anche di un secondo titolare, ha chiuso ogni varco alla speranza e prosciugato di risorse anche la panchina, fino a venti giorni fa tra le più produttive della Lega. Vengono a mancare il respiro e l’energia che la second unit era in grado di offrire, così come, nei finali, latitano l’imprevedibilità, il genio, la capacità di andar dentro e colpire di Levert. Il prodotto finale è spesso troppo prevedibile e facilmente controllabile, per chi affronti i Nets con la giusta fame di vittorie.
Non che i giocatori più quotati non abbiano fatto di tutto per sopperire: Russell si è preso molti più minuti, palloni, responsabilità. Ha toccato i 38 punti nella sfortunata sconfitta contro Philadelphia (quella del buzzer di Butler), i 30 contro Cleveland (losing effort anche qui…), si è speso in difesa, compiendo gli auspicati passi avanti (STL: 1,1 vs 1,6), ma ha visto calare di molto il proprio rendimento dall’arco (40,2 vs 30,5); ha saputo a lungo tenere in piedi la baracca, ma mai è stato in grado di chiudere le partite, cosa che, invece, ci si aspetta torni a fare fin dal suo infortunio, giusto un anno fa.
Crabbe è stato, a sua volta, promosso titolare in spot 2, facendo registrare significativi progressi, soprattutto in attacco (FG%: 25,2 vs 37,8; 3P%: 26,9 vs 41,8), ma anche in difesa, fronte sul quale appare sempre uno dei più aggressivi e tra i meno disposti a mollare sui blocchi, ma non è, e probabilmente non sarà mai, il go-to-guy della squadra.
Joe Harris, atteso al rientro manco fosse il salvatore della patria, è, tuttavia, pur sempre un fenomenale tiratore in situazioni di spot up e uscendo dai blocchi, e probabilmente, forse proprio per le sue caratteristiche, è anche il giocatore che più ha risentito della decrescente qualità della manovra (addirittura sceso al di sotto del 30% dall’arco nelle otto gare giocate senza Levert!).
Le attenuanti, certo, non sono mancate, dalle assenze concomitanti (oltre al lungodegente Graham, è mancato Allen nelle prime due uscite senza Levert, Harris nelle ultime tre) ai ripetuti e tradizionalmente ostici back-to-back, per cui, forse, un giudizio definitivo e nettamente tranchant può apparire frettoloso. Tuttavia parlano i volti, la dice lunga il linguaggio del corpo: basta osservarli, per scoraggiare e trasmettere un senso di fatalismo in chi guarda la partita. E, forse, sono proprio gli sguardi e le sensazioni, più ancora delle cifre, i segni più evidenti ed emblematici di quanto sia cambiato il destino dei Nets in questa stagione.
Dicembre dovrà rapidamente dirci se i ragazzi di Kenny Atkinson, recuperato Harris (ormai prossimo al rientro), sapranno trovare la quadratura del cerchio ed uscire dalla impasse che ne paralizza il gioco e ne inibisce la resilienza, mettendo per lo meno a frutto gli spazi lasciati vuoti da Levert e sperimentando nei ruoli obiettivamente ancora vacanti o solo parzialmente coperti nel roster attuale.
Pensiamo, per esempio, ad una delle poche note positive, a tratti sorprendenti, di questo disgraziato momento della stagione e della storia recente bianconera: Rodions Kurucs sta non soltanto mostrando flash di talento, non soltanto dimostrando di essere, contrariamente alle previsioni, ben più pronto di Musa per tenere il campo nella Lega più ambita e difficile del mondo… No: Kurucs, non a caso già beniamino dei tifosi, sta spiegando con i fatti, sia pure nei pochi minuti di impiego, di poter avere già un impatto sulle partite! Porta in campo un’energia contagiosa, come gli riconosce lo stesso coach, ha mani veloci in difesa, sa correre e portare palla, è dotato di un ottimo primo passo, regge già discretamente i contatti, ha un buon impatto a rimbalzo, soprattutto grazie ad un intelligente senso della posizione e ad un’elevata reattività. E pazienza, se le percentuali dalla lunga sono ancora oltremodo rivedibili: la meccanica già piuttosto composta lascia presagire che Kurucs sia destinato a competere per lo spot 4, oggettivamente il peggio coperto nei Nets odierni, e, chissà, anche ad incarnare quello stretch four capace di trattare la palla, assicurare peso nei pressi, ma anche gioco lontano dal ferro, che, Levert o non Levert, rappresenta il vero anello mancante di questa squadra. A Kenny il compito di dosarne bene il minutaggio, tra esigenze di spazio e necessità di tutelare la preziosa risorsa.
https://youtu.be/v-thTn-XiSU
…e sul fronte societario? L’attendismo, la paziente ricerca del miglioramento attraverso il lavoro, lo sviluppo dei migliori talenti, la traduzione, sul campo, della cultura portata da Marks avevano caratterizzato, in modo del tutto sensato, i primi due anni della nuova era: non avendo il controllo delle proprie scelte, tutta la strategia di mercato era votata alla acquisizione di picks ed a scovare assets futuribili dal sottobosco del mercato minore. Sul campo, senza l’assillo dei playoff come della conquista della lottery, era un dare battaglia ogni notte e ricercare la miglior chimica possibile tra i ragazzi e con la filosofia modernissima del nuovo coach. Ha pagato il giusto, ha reso ciò che ha potuto e, forse, anche di più, alla luce delle sfortunate vicissitudini delle pedine migliori.
Poi è iniziata la nuova stagione, interlocutoria anch’essa, ma con in testa un’idea ben precisa, suffragata dalla scelta strategica di portare tutti i giocatori (eccetto Harris, esteso quest’estate, ed i ragazzi scelti negli ultimi tre draft) in scadenza a fine stagione: puntare tutto sulla prossima offseason per completare il rebuilding firmando la star necessaria, magari due, per riportare il nome di Brooklyn nel novero delle contender. Nonostante il controllo (finalmente!) della prossima scelta, società, staff e giocatori hanno fatto quadrato nel rifiuto sdegnoso del tanking, vogliosi di dimostrare al mondo il proprio valore. La sensazione, per quanto prematura, dopo le prime tredici gare, era che, stante anche la pochezza tecnica della Conference (eccettuate le cinque o sei franchigie inarrivabili), questo piano tattico potesse pagare dividendi persino inaspettati: ce la si giocava con tutti e, con un pizzico di buona sorte e di malizia in più, il bottino di vittorie avrebbe potuto essere anche più pingue. Presentarsi sul mercato dei big, la prossima estate, imbottiti di soldi, con la Grande Mela come palcoscenico, la stima ormai unanime per il lavoro dello staff e per l’organizzazione alle sue spalle ed un progetto già competitivo sembrava ormai qualcosa di più palpabile di un miraggio, aveva i contorni, sia pure sfumati, della classica luce in fondo al tunnel. Poi, come dicevamo, venne di nuovo il diluvio…
Che fare? Dopo il 12 novembre e dopo un breve periodo di illusorio, rinnovato orgoglio, alla possibilità di competere per i playoff non crede più nessuno. All’orgoglio sembra essere subentrata la realistica, sconfortata rassegnazione. La striscia aperta di sette sconfitte consecutive ha messo a nudo la disarmante fragilità del sistema privo della sua pietra angolare: è bastato togliere un altro asse portante alla squadra (Allen prima, Harris poi) per far crollare il castello di sogni. Al coraggio di lottare e giocarsela comunque si è sostituita la dolorosa sensazione che quelle sette sconfitte, per quanto molto diverse fra loro, fossero quasi “normali”.
Tra rabbia ed orgoglio serpeggia, in modo sottile ma prepotente, il fatalismo dell’impotenza.
Aspettando Joe Harris (Godot?), le sette sconfitte sembrano misurare l’esatta distanza che corre tra la possibilità di divenire la rivelazione della Conference e la quasi certezza di ritrovarsi ad essere la squadra più depressa della Lega: chi è davanti ai Nets, obiettivamente, oggi pare averne di più; chi è dietro, al netto di manfrine e dichiarazioni di circostanza, è lì perché vuole starci.
In mezzo i Nets, non per loro scelta.
Occorre, ora, prendere il coraggio a due mani e correggere la rotta. Non la strategia, come detto, bensì il piano tattico riguardante la stagione in corso, per tramutare la sfortuna in un’occasione ed i piloti Marks ed Atkinson in alchimisti capaci di convertire il vile metallo di un record negativo in oro spendibile per il futuro.
Sean Marks è chiamato ad accelerare le decisioni, individuando subito il nucleo del suo progetto tra i giocatori a roster (il primo banco di prova a giorni, con la scadenza del contratto garantito di Dinwiddie), sostenendone la crescita, ed andare sul mercato alla ricerca, se possibile, di altri assets e di altre picks, sfrondando con coraggio, sia pur dolorosamente, il pur giovane virgulto da lui amorevolmente seminato e nutrito dei rami meno fruttuosi.
Atkinson, altrettanto coraggiosamente, deve tramutare il resto della stagione in una formidabile palestra, irrobustire i suoi ragazzi con massicce dosi di esperienza, fare scelte in grado di far crescere i suoi ragazzi e…sé stesso, ancora troppo spesso impantanato nei soliti errori di gestione e di lettura.
Se, fino allo scorso aprile, battersi come leoni per classificarsi undicesimi, piuttosto che tredicesimi, aveva un senso, oggi, pick alla mano, non è più così e, benché la parola tanking, a Brooklyn, non piaccia proprio a nessuno, va preso atto che è stato il destino a pronunciarla per loro. Occorrerà trovare la forza di sorridere mentre i ragazzi, pur dando tutto, andranno ancora ripetutamente incontro a 1000 modi per morire, perché il prossimo anno, al draft, forse non ci sarà il talento diffuso dell’estate scorsa, ma i primi della classe, se possibile, saranno perfino più pronti a cambiare le sorti delle loro future, fortunate franchigie.
Nulla, del resto, è stato ancora scritto e la creatività di Marks è davvero un abisso insondabile. I risultati di dicembre, in un verso o nell’altro, ci daranno indizi imprescindibili per leggere il futuro. Mai come stavolta, pertanto…stay tuned!