Cambia il mondo nelle circa tre settimane che intercorrono tra un numero di #insideout e l’altro. Succedono cose e mutano gli scenari e, forse, tre settimane sono anche poche per scandagliare i cambiamenti in corso ed i loro frutti, ma aiutano ad avere un visione più organica e d’insieme, come osservare un panorama dall’alto e gustarlo appieno.
La situazione. Ad Est si sta andando (si è sempre stati?) verso una graduatoria ben delineata, con cinque corazzate, quelle attese, a farla da padrone e a prendere il largo, con i 76ers in leggera flessione, coincisa con l’assenza del neo-leader Jimmy Butler, e Celtics e Pacers, invece, di rincorsa, con un dicembre finora favoloso; quattro (anche qui, nulla di imprevedibile, salvo forse i Cavs, almeno per il sottoscritto) dedite al tanking come se non ci fosse un domani. Nel mezzo, dalla sesta alla undicesima piazza, sei squadre in lotta per tre posti in post-season, almeno per ora, tra le quali gli Hornets del commander in chief Michael Jordan sono quelli che hanno meglio impressionato, finora, con un Kemba Walker in formato All Star, forse nella miglior stagione personale in assoluto (ci torneremo).
Ben diversa la vista sulla West Coast: se l’Est è un mare in bonaccia, l’Ovest ricorda più un magma bollente in corso di eruzione vulcanica. Basti pensare che, dopo ormai circa 30 partite di regular season (al prossimo numero saremo a metà percorso), tra la prima (Denver) e la penultima (Utah) corrono solo sette vittorie di differenza e alzi la mano chi si sente di escludere con certezza che i Jazz, freschi acquirenti del vecchio sovrano dei fucilieri, Kyle Korver, non siano all’altezza di raggiungere e scavalcare i calanti Grizzlies, attuali detentori dell’ultimo biglietto utile per un giro in post-season! Se ad un impasto già così ricco aggiungiamo una bella dose di spezie rare, con i Warriors ancora a rincorrere la vetta (per i più distratti, vedasi il numero precedente, benché il peggio sembri essere ormai alle spalle e si attenda ancora l’esordio di un certo Cousins!) ed i redivivi Spurs e Rockets tuttora fuori dalle prime otto (ancora: alzi la mano chi scommetterebbe sul Pop e sul Barba in vacanza ad aprile!), ecco che possiamo serenamente apparecchiare la tavola col servizio buono, perché ci attende, in vista del Christmas day, un pranzo luculliano!
Il mercato. Già, perché ci siamo appena lasciati alle spalle la scadenza del 15 dicembre, data dalla quale è possibile scambiare anche i giocatori che hanno cambiato casacca durante l’ultima offseason, e qualcosa ha già iniziato a muoversi. Detto di Korver, primo a lasciare la barcaccia dei Cavs (altri potrebbero scegliere, a loro volta, di calarsi con la scialuppa, stanti i malumori di uno spogliatoio non tutto disposto ad accogliere il tanking di buon grado) in cambio di Burks, intanto fa notizia Swaggy P (al secolo Nick Young) che ha trovato casa in Colorado, dove i Nuggets hanno l’infermeria piena (Harris, Millsap, il lungodegente IT4) ma tanta voglia di restare dove meritatamente si trovano ora e stringono i denti.
Ma la trade più intricata e tragicomica, più degna di scenari nostrani che d’oltreoceano, è quella appena conclusasi con il trasferimento-ritorno di Trevor Ariza nella capitale, mentre Kelly Oubre Jr compie il tragitto inverso e si sistema a Phoenix. La trade, in principio, era stata pensata a tre, con la compartecipazione dei Grizzlies e l’uscita di picks e di Brooks… Si, ma Brooks chi? Il sophomore Dillon, pare avesse capito Phoenix; il veterano MarShon, aveva inteso Memphis… Così è saltato tutto. O, per lo meno, questo è quello che si sa in giro. Fatto sta che, evidentemente, lo scambio premeva tanto ai Wizards, ansiosi di rincorrere di nuovo un posto al sole, magari cambiando volto e dirottando Porter in spot 4 tattico (staremo a vedere) per dare una scossa ad una squadra potenzialmente forte, ma forse bloccata mentalmente; quanto ai Suns, che portano a casa Oubre, potenziale, altra giovane pedina di un mosaico interessante ma ancora informe, ed un Rivers con il quale, però, hanno già raggiunto l’accordo per l’immediata separazione. Non c’è pace per il figlio del grande Doc, ma evidentemente i Suns, in teoria affamati di point guard, non ne vogliono sapere di divenire competitivi: troppo ricco il piatto proposto dal prossimo draft…
Qualcosa si muove anche sul fronte dei rinnovi contrattuali, e non qualcosa di poco conto: Spencer Dinwiddie, probabilmente, finora, il giocatore con il rapporto qualità/prezzo più alto in NBA, ha ottenuto l’estensione per tre anni (l’ultimo con PO) a 34 milioni di dollari. Dire che è meritato è poco, per il 25enne, lo scorso anno vincitore dello Skills Challenge e candidato MIP e, quest’anno, serio pretendente al titolo di 6th man of the year, con i sui 17+5 ad allacciata di scarpe uscendo dal pino. Addirittura 23+7 nel corso della recente striscia vincente (mentre scriviamo ancora aperta, la seconda più duratura del momento!), in cui i Nets, da deprimenti artefici delle peggiori vittorie dilapidate della stagione, si sono trasformati in una delle squadre più in fiducia ed in ritmo del torneo. Ora sarà da vedere quanto a lungo durerà lo stato di grazia del prodotto di Colorado e quanto la sua estensione inciderà nelle scelte che la società newyorchese sarà chiamata a compiere di qui a fine stagione, a partire dal rinnovo del talento più cristallino, ma pari ruolo, D’Angelo Russell. Ma di questo parleremo nel prossimo numero della rubrica dedicata a i Nets, #stillawake.
Adesso occhio, perché da qui alla deadline del 7 febbraio, ne accadranno ancora tante, forse non eclatanti, ma in grado comunque di spostare gli equilibri in questa ed in vista della prossima stagione, con una off-season che vedrà sul mercato buona parte delle gemme più preziose della Lega!
Cosa c’è da guardare. La mission di #insideout, però, resta quella di individuare su chi valga la pena di investire la propria notte insonne e perché. Sotto, allora, con le migliori novità delle ultime gare ed i consigli motivati di #all-around.net.
I Boston Celtics, insieme con gli Indiana Pacers, sono la squadra più calda del mese di dicembre e sembrano aver trovato i propri equilibri interni. Molta della rinascita dei grandi favoriti della Eastern passa per il raggiungimento della miglior forma stagionale delle star assenti durante gli ultimi playoff: Irving ed Hayward stanno tornando sui propri standard e, insieme al compagno Marcus Morris, occupano le prime tre posizioni assolute per plus/minus del mese in corso! I Celtics stanno divertendo e figurano ai vertici di tutte le stats offensive nel periodo in questione: il loro spettacolo vale appieno il prezzo di tre ore di sonno.
I Charlotte Hornets hanno trovato una chimica inaspettata e figurano tra le più intriganti rivelazioni dell’anno, Kemba (25+6), manco a dirlo, è il loro profeta, ma stanno stupendo Cody Zeller, ad esempio, ed anche Jeremy Lamb, scopertosi perfino clutch. Ottime spaziature ed una panchina futuribile (Monk, Bridges, Hernangomez, tutti intorno al santone Tony Parker) dalla produttività crescente (seconda per punti segnati a partita) ne fanno un piatto succulento per l’appassionato, capace di tenere alta la tensione contro qualunque avversario e per l’intera durata del match, nonostante la recente flessione (in tilt contro la zona Knicks).
Los Angeles Lakers e San Antonio Spurs sono le realtà più in crescita del momento e lo sono sul fronte del gioco, prima ancora che dei risultati, il che fa tremare più di un polso nella Western, perché dà la sensazione di non essere un temporale estivo.
Quando si parla di LeBron James, se la squadra che ha intorno inizia a girare a dovere, tira aria di Finals, storicamente. Lì, nel bel mezzo della spietata concorrenza sulla West Coast, sarà molto più dura, ma altrettanto dicasi per i suoi avversari. I gialloviola sanno giocare, difendere, correre. Hanno beneficiato non poco dell’arrivo di Tyson Chandler come argine e boa di centroarea, per dare profondità e respiro a Javalone McGee. Hanno un pacchetto di giovani che, forse, non primeggia per talento puro, ma che ha velocità, atletismo, QI e difesa, soprattutto: tutti sanno difendere su più ruoli e tutti possono guidare il contropiede. Insistenti e plausibili sono le voci di mercato che vorrebbero sacrificati uno o forse due tra Hart, Ingram, Kuzma e Ball (alla luce del recente rendimento, meno probabili gli ultimi due; Ball ha da poco infilato una tripla doppia contemporaneamente con LBJ: la stessa sera e nella stessa squadra è un evento da annali del basket!) per fare spazio, tecnico e salariale, non ad una ma a due stelle di prima grandezza, ma, intanto, pur senza l’obbligo della vittoria subito e ad ogni costo, i Lakers sono tornati, eccome!
A proposito di San Antonio, testate di rilievo nazionale hanno di recente sottolineato, con dovizia di particolari, le novità sul fronte difensivo nella San Antonio della recente rimonta in classifica. Tutto giusto. All-around.net, tuttavia, ama distinguersi e, allora, andiamo a fare due conti in tasca a Popovich sull’altro fronte: nel mese di dicembre i neroargento sono primi per percentuali dal campo e dell’arco (ripeto: dall’arco!) e questo vale anche per la panchina. Se lo starting five disegna giochi sistematicamente orientati a mettere in condizione i micidiali realizzatori dal mid range di far canestro, magari costruendo mismatch favorevoli e trovando risorse nella potenza e nel QI di Derrick White (troppo facile parlare della nuoca coppia dorata Aldridge-Derozan…), la panchina ha trovato, a sua volta, la sua identità in un gioco più moderno, pick and roll oriented, intorno a cui c’è gente tutta brava a fare canestro aprendosi o uscendo dai blocchi (Bertans, lo stesso Mills, manco a dirlo Marco Belinelli). Non sempre tutto gira per il verso giusto, ma quando mai una squadra del Pop che sappia attaccare con continuità ha fallito una stagione? Ripeto: occhio…
E se tutto questo ancora non vi basta, sappiate che il prossimo numero di #insideout farà i bilanci di metà stagione e racconterà il Christmas Day: se non avete modo di tirar l’alba ogni dannato giorno, buttateci uno sguardo…Stay tuned!