Pazzi, questi Brooklyn Nets: nello scorso numero di #stillawake eravamo immersi nel bel mezzo di una disastrosa serie di sconfitte, mentre scrivevamo, tra l’altro, ancora aperta (si sarebbe fermata a otto) ed in un clima di generale sfiducia, sotto le cui ceneri iniziava a covare, trovando insospettati estimatori, il fuoco fatuo e gelido del tanking, la via meno sportiva ma più comoda per acquisire pezzi di futuro.
Dopo un mese, lo scenario è cambiato, rivoluzionato, stravolto e a nulla sono valse, o quasi, le due sconfitte maturate in chiusura di 2018 per placare la fame di successi di squadra e tifosi. Del resto, un mese con un record del genere (9-6) non si vedeva da tempo immemore, dagli anni di Deron Williams (praticamente, un’era geologica differente), e aver inanellato la bellezza di 7 successi consecutivi, mietendo anche vittime illustri, ha cancellato ogni traccia dei vecchi propositi furbeschi e generato aspettative forse ancora un tantino premature.
Occorrerà, mentre cerchiamo di raccontare ai meno assidui la cronaca del mese, fare un po’ di ordine e tenere il sangue bello freddo, per evitare di saltare in due settimane dalla depressione più nera all’ottimismo più sfrenato: c’è ancora tanto da fare, al di qua del ponte, per poter parlare di immediato futuro. Certo è che, privi del giocatore migliore (LeVert: a proposito, i tempi di attesa per il suo rientro parlano di qualche settimana, ancora…), i Nets hanno esaltato il proprio gioco in modo inaspettato, mandando avanti la working class, con un quintetto, tra i più giovani in circolazione, che ha saputo trasformare la squadra più depressa della Lega nella più sexy del calendario dicembrino…
La cronaca. Eppure dicembre era iniziato sotto i peggiori auspici, con la sconfitta senza appello contro i non irresistibili Wizards e quella allo scadere, dolorosa, contro i derelitti Cavs. Poi, il punto di non ritorno: avanti di 23 con una prestazione fino a quel momento dominante con i Thunder, un ultimo parziale imbarazzante (per mutuare la terminologia dai siti d’oltreoceano) consentiva a George e soci di rimontare fino al buzzer, relegando i Nets sull’orlo del precipizio.
Di lì non si poteva più tornare indietro, occorreva scegliere se precipitare o saltare.
E i Nets hanno saltato, eccome! Nella “Juventus Night”, davanti a Trezeguet ed alle telecamere di Sky, i ragazzi di Atkinson hanno fermato la corsa dei Raptors, prima con i canestri di Russell, poi con il finale clutch di Dinwiddie, infine con la feroce difesa di Hollis-Jefferson su Leonard che, da vera all star, si era acceso quando sserviva, trascinando i suoi verso quella che sembrava l’ennesima rimonta subita dai Nets e coronata da successo. Fino a Dinwiddie, appunto…
La cavalcata e gli eventi segnanti… Da lì in poi, inizia una cavalcata che neppure il più incallito ottimista avrebbe mai messo in preventivo. È come se si fosse sbloccato qualcosa, come se il lavoro di decantazione psicologica e chimica di Atkinson sulla squadra avesse iniziato a produrre frutti tutto in una volta. Ecco, allora, tutte d’un fiato, il derby vinto al MSG, di autorità, sia pure soffrendo un po’ il ritorno dei ragazzi della second unit Knicks, ma giocando sapientemente e cinicamente con il cronometro; la vendetta consumata fredda a Philadelphia (i 76ers senza Butler, va detto), con il contributo decisivo (30) di uno Spencer Dinwiddie straordinario, ormai lanciato nelle sfere dei papabili per il 6th man of the year e che gli varrà la tanto attesa e meritata estensione contrattuale (3 anni, 34 milioni complessivi). Ci torneremo.
L’altro evento del mese, stavolta di natura squisitamente tecnica, prende le mosse dallo sfortunato infortunio al ginocchio subito da Allen Crabbe: una disdetta, vista la costante progressione dell’ex Blazers su ambo i lati del campo (Crabbe è un difensore sottovalutato), ma trasformatasi in una tremenda opportunità, aprendo la strada dello starting five, fin qui inimmaginabile, al rookie Rodions Kurucs, 20 anni e scelta numero 40 al draft 2018. Anche al ragazzone lettone (lanciamo una provocazione: il miglior lettone al momento attivo in NBA…) dedicherò un paragrafo a sé, ma la sua citazione mi dà il la per la seconda parte della striscia vincente: 15+6 nella comoda W contro i Wizards, 11+6 nella marcia trionfale contro gli Hawks (144 punti!), per poi lasciare i riflettori, contro i nuovi e lanciatissimi Lakers, all’altro ventenne titolare, Jarrett Allen, con la stoppata irriverente nientemeno che a sua maestà LeBron, costretto, ancora una volta, a cedere lo scettro, il passo e, per un secondo, anche la scena a #thefroshow al Barclays.
Qualche segnale di impasse contro i derelitti Bulls, sconfitti sì, a domicilio e nella seconda dell’ennesimo back-to-back, ma non senza qualche patema di troppo e ancora con Dinwiddie costretto a prendere la squadra per mano: è il preludio alla prima sconfitta in quasi due settimane, per mano dei Pacers, in una gara in cui pareva tutto compromesso ma che ha, invece, esaltato lo spirito, la resilienza e i progressi tecnici dell’intera squadra, con Kurucs, al suo career high (24, 4-5 da 3 punti), capace di trascinare la squadra a tanto così dal clamoroso successo che solo lo straordinario finale di Oladipo e la difesa di Turner hanno precluso all’arrembante truppa bianconera. Forse, paradossalmente, la miglior prestazione del mese, almeno nel terzo parziale, ma contro una delle migliori compagini viste finora.
La stella di #Rodi, ormai idolo dei tifosi, continua a brillare nelle due vittorie successive, condite da doppia doppia: quella tutto sommato agevole contro i Suns, pure giunti al Barclays sulla scia di 4 vittorie consecutive, e la pazza, pazza nottata successiva, con la vittoria sugli Hornets giunta dopo due supplementari e chiusa dal fenomenale Joe Harris (dovremo tornare anche su di lui) dopo una palla recuperata grazie alla difesa a zona coraggiosamente disegnata da coach Kenny e le mani rapide…indovinate di chi? Si, ancora lui, Kurucs!
A fine anno la quasi fisiologica flessione, con la pessima prova offensiva nella immediata rivincita di Charlotte e la scontata sconfitta a Milwaukee, ove i Nets si presentano, a sorpresa, lasciando D’Angelo Russell e Ed Davis a riposo ma sciorinando, se non altro, la coraggiosa prova delle seconde e terze linee, Napier (32) e Faried (21+10) su tutti: dopo aver toccato il -26, il loro pick and roll ha riportato i Nets a -7, costringendo coach Bud a rimettere Antetokounmpo in campo per chiudere una partita che, ahinoi, era stato Brook Lopez (quoque tu?) ad incanalare, con i suoi show da 7 triple a referto…
Cosa è successo? È la domanda più scontata che l’appassionato medio di basket a stelle e strisce, non abituato a seguire le gare dei Nets, potrebbe e dovrebbe porci. E noi, dall’alto del nostro pluriennale seguito quotidiano delle vicende bianconere, probabilmente, non siamo neppure in grado di rispondere; o, per lo meno, non in maniera univoca. Si tratta, verosimilmente, di una miscellanea di reazioni psicologiche, tecniche e chimiche ma, riteniamo che la motivazione data ai ragazzi da coach Atkinson e dal GM Marks, che mai per un istante hanno smesso di credere nel loro gruppo né hanno neppure preso in considerazione l’ipotesi di cedere alle lusinghe del draft, abbia innescato la miccia che ha fatto esplodere animi, fame, desiderio di riscatto nei giocatori. In tutti, dal primo all’ultimo. Di tanking, alle cui insane ma realistiche logiche, con qualche mal di pancia, perfino noi ci eravamo piegati in coda al numero di novembre, ormai nessuno parla più; tutti, cronisti, analisti, fino all’ultimo dei tifosi, come un sol uomo allineati dietro la strategia markinsoniana: vincere, stupire, portare sul mercato un’offerta fatta non più solo di soldi e fascino newyorkese, ma anche di uno staff dal valore riconosciuto ed un progetto tecnico ben avviato, pronto a fare il salto di qualità definitivo.
Del resto, a mente fredda, una squadra così giovane, affamata, costruita con ragazzi sottovalutati e veterani in cerca di riscatto e contratti, non è stata costruita, né poteva facilmente convertirsi al tanking. E così, infatti, non è stato. Ma ripeto, che potesse esplodere in questo modo e così all’improvviso, dopo aver toccato il fondo delle 8 sconfitte in fila, facendo mostra di sé, richiamando l’attenzione dell’intera Lega, perfino di LeBron, incantatosi davanti all’epica sfida con gli Hornets, davvero non era in preventivo, forse neppure per la stessa società.
Il gioco. Non abbiamo visto cambiamenti radicali o svolte epocali, nel modo di giocare dei Nets, tali da giustificare un record di vittorie tanto positivo. Solo la piena applicazione della motion offense e correttivi giusti ed improvvisamente efficaci.
La difesa. Anzi, a dire il vero, le gare iniziali del fortunato ciclo vincente avevano colpito la nostra attenzione soprattutto per i progressi difensivi: un miglioramento collettivo in primis da parte degli esterni, con una inusitata vocazione a passare sui blocchi senza lasciare vantaggio sufficiente al dirimpettaio, senza concedere spazio e tempo per la conclusione wide open e garantendo al lungo il tempo di scivolare o schierarsi in posizione di attesa lungo il corridoio, limitando i drive. Il defensive rating dei Nets del ciclo vincente, dalla vittoria con i Raptors fino all’infortunio di Crabbe, era di poco superiore a 96 punti ogni 100 possessi: sorprendente. Se a questo aggiungiamo il palpabile miglioramento delle rotazioni ed il ritorno in piena forma di Hollis-Jefferson, davvero un protagonista nella propria metà campo, il gioco è fatto.
Dinwiddie… Contestualmente, un già fin lì positivo Spencer Dinwiddie ha preso letteralmente il largo, sfondando comodamente il muro dei 20 ppg (18,1 se si considera l’intera stagione, con 34 gare giocate partendo dalla panca) e rendendosi decisivo in più occasioni. SD non solo primeggia o veleggia tra i primi quattro della Lega, in uscita dal pino, per punti, assist (5,2), percentuali, triple realizzate, liberi tirati e messi a segno, ma risulta la prima guardia in assoluto per drive a canestro. Sembra, infatti, aver ulteriormente perfezionato la sua specialità, sfruttando al meglio i mismatch, perfezionando un primo passo ancor più rapido e un uso del corpo, una coordinazione sotto il ferro tali da renderlo molto più efficace. La sua evoluzione lo ha portato a sviluppare caratteristiche ancor più marcatamente differenti, vorrei dire complementari, con quelle di Russell, sempre più da finalizzatore e costruttore del proprio tiro, talora eccedendo, va detto, in isolamenti. Questo, tuttavia, gli ha ritagliato uno spazio ancor meglio definito, diciamo di rottura, e la vocazione alla staffetta con Dlo, cui assistiamo ormai in maniera quasi sistematica, mentre pian piano migliora l’intesa tra i due nei minuti in cui sono schierati insieme in campo. Con i suoi mezzi e con le proprie caratteristiche, Spencer sta sostituendo degnamente LeVert e non pochi dei meriti dei resilienti Nets vanno ascritti a lui.
Kurucs! Lo so, ne abbiamo già tessuto le lodi il mese scorso, ma capita che, nel frattempo, il famoso infortunio ad Allen Crabbe lo abbia proiettato addirittura in pianta stabile nel quintetto partente e il ragazzo sta dimostrando, con prestazioni forse non costanti, ma solide, di esserselo ampiamente meritato: in doppia cifra quasi costantemente, capace a rimbalzo, nella breve ma intensa carriera da titolare ha perfezionato (e possiamo vantarci di averlo preventivato) le percentuali dall’arco, ha aggiunto in pianta stabile la dimensione dei tagli in backdoor alla fase d’attacco dei suoi, sviluppato una interessante vocazione all’extrapass, mostrato crescente predisposizione difensiva, arrivando a guadagnarsi la nomina tra i migliori 5 second rounder della stagione. Davvero la genialata di Sean Marks! Tutto perfetto? Assolutamente no: la fase difensiva, che il ventenne lettone alimenta con massicce dosi di energia che sa convertire in qualità a rimbalzo, palle rubate e stoppate, resta il suo tallone d’Achille, soprattutto sui blocchi ed in low post. I suoi sincronismi nei movimenti della difesa sono lontani dalla sufficienza, tant’è che, con lui titolare, il defensive rating di squadra è peggiorato di oltre 15 punti. Bisogna essere obiettivi: c’è tanto da lavorare e tuttavia, visto il balzo in avanti offensivo realizzato con lui in campo, essendo di gran lunga il migliore della squadra per plus/minus, e sopratutto essendo un legittimo pretendente al quintetto titolare del futuro provenendo da un passato, distante appena pochi mesi, relegato nelle minors spagnole, diremmo che, a parere di #stillawake, va molto, molto bene così: steal of the year se ce n’è una, ad occhi chiusi!
Joe “buckets”, ovvero il giocatore più sottovalutato in NBA. La situazione-infortuni e coach Atkinson richiedevano un ulteriore salto di qualità, uno sforzo proteso al miglioramento da parte di ciascuno e, a mio parere, Joe “buckets” Harris è tra coloro che meglio hanno risposto. Incredibile, davvero, la parabola di questo ragazzo, neppure ventisettenne, pescato nel più assoluto dimenticatoio dal primo mercato di Marks e trasformato non solo in uno dei migliori e più costanti specialisti in triple in circolazione, ma in un giocatore completo, capace di aggiungere fondamentali al proprio repertorio, ogni anno. Prima tiratore puro, per lo più da spot up, costantemente sopra il 40%, ha perfezionato ulteriormente, migliorando la rapidità di rilascio, il catch and shoot, ultraspecialistica in cui, a mio parere, è secondo solo a Steph e a KK. Lo scorso anno aveva già mostrato imprevedibili progressi nella propria metà campo, talora anche sacrificato su ali decisamente più grosse di lui: eccelle nella difesa a uomo lontano dalla palla, ma non disdegna lo scivolamento. Ha inoltre mostrato i più macroscopici progressi sul primo passo, soprattutto se servito quando già in corsa, il che gli consente di rappresentare una imprevedibile e costante minaccia per qualsiasi difesa, potendo, con immutata efficacia, attaccare il ferro o concludere dalla lunga.
Il video del 4° episodio dei: “The Bridge”
E quest’anno? Partito giovandosi, forse ancor più degli altri, del boom di Levert, dalla cui ineguagliata capacità di attaccare dal palleggio aveva saputo ricavare enormi dividendi (53,4%3P fino all’infortunio del prodigioso #22), dopo la nottataccia del Target Center e una fase di fisiologico assestamento, guarda caso coincisa con la serie di sconfitte bianconere (in cui è precipitato su percentuali inferiori al 30%), è tornato ad emergere ancora più forte di prima, usando sapientemente i blocchi (oltre il 54% a dicembre) ma divenendo ancor più un fattore nella circolazione di palla, un prezioso “facilitatore”, sia fungendo da “terzo anello” nel pick & roll (tagliando e assistendo poi il rollante, gioco visto a più riprese), sia giocando in penetrazione dal backdoor per poi smazzare a centro area per il lungo di turno (da 2,1 a 3,3 apg nel mese di dicembre). E dire che qualcuno aveva giudicato eccessivo il biennale da 16 milioni firmatogli da Marks…
Ci riserviamo di dedicare, sperando di portargli fortuna, l’angolo tecnico del prossimo numero alla stella in pectore, D’Angelo Russell, che sta crescendo in difesa e cifre, in visione di gioco e in controllo, ma che talora sembra soffrire un po’ la staffetta e peccare sempre di continuità, ma vorremmo chiosare dicendo che la maturazione tecnico-tattica, passata anche per il ricorso a vari tipi di difesa a zona, per la gestione dei finali rifugiandosi, se necessario, nell’uso pieno dei 24” o nella ricerca dei viaggi in lunetta, il perfezionamento della tempistica nelle rotazioni dei giocatori, la selezione più oculata e limitata dei minuti di smallball, l’individuazione di gerarchie meglio definite e più corrette…vanno finalmente ascritte anche a Kenny Atkinson, che, da quest’anno, anzi, vorremmo dire, da questo mese, mostrando (era ora!) doti da vero head coach.
E che tutto questo, unito con i progressi dei singoli, con le spettacolari giocate di Allen, che sta mietendo vittime e conquistando fan a furia di stoppate illustri (chiedere a Blake Griffin, LBJ, Anthony Davis, Giannis Antetokounmpo, solo per citarne alcuni), sta garantendo ai Nets non solo la massima attenzione mediatica mai vista in questi anni (il che non guasta), ma, come dicevamo, il pieno compimento della motion offense propria della filosofia del coach, con cinque giocatori in campo capaci di attuare le tre minacce, far girare la palla, prendere decisioni, sovente giuste, in tempi sempre più rapidi, non fornire punti di riferimento agli avversari.
https://youtu.be/i89ywqot1oI
Le percentuali da tre punti ne siano la cartina al tornasole: lo scorso anno i Nets figuravano secondi assoluti per triple tentate (dopo i Rockets di D’Antoni) ma 21esimi per triple mandate a bersaglio. Quest’anno, finora, sesti per tentativi dall’arco, ottavi per triple realizzate!
E ancora: i Nets, al momento, hanno un record che li pone in ritmo (si autorizzano scongiuri) per chiudere intorno alle 38 vittorie in regular season. Basteranno per conquistare un posto al sole, i “Kenny boys” saranno capaci di sorprenderci ancora, sfondando il muro delle 40, o assisteremo ad una flessione, visto anche l’immancabile accorciamento delle rotazioni? Non è dato saperlo, ma se il gioco conta ancora qualcosa in questo sport, beh… ciò che abbiamo visto a dicembre non ha proprio l’aria di un fuoco di paglia. Staremo a vedere.
Bollettino medico. Intanto, giusto per non perdere l’antico vizio, Rondae Hollis-Jefferson, proprio nel suo momento di massimo fulgore agonistico, si è nuovamente stirato un adduttore e sarà fuori per un po’ (prognosi ancora incerta, o segreta). Mentre Graham, al momento, è tornato a disposizione (aveva impressionato per attitudine difensiva in pre-season, per poi stirarsi dopo una partita e mezzo…), Crabbe ha provato i ritmi-partita in allenamento, mostrando ancora problemi al ginocchio, per cui i suoi tempi di recupero si dilatano oltre le previsioni… I Nets vanno ad affrontare il mese decisivo per indirizzare le scelte di mercato alla dedline privi di tre titolari designati. Non un buon viatico, eppure la profondità e la giustezza delle scelte compiute in estate stanno permettendo di fronteggiare la solita situazione di emergenza con insolita, indomita resilienza.
E allora, come cambia nella strategia di Marks? Non è detto che cambi proprio alcunché, semplicemente perché l’idea del tanking non credo abbia mai sfiorato la mente del GM. Il guru neozelandese, incurante degli umori del web e dei giudizi di noi miseri commentatori, ha tutta l’aria del saggio appostatosi sulle sponde del fiume ad aspettare di veder trascinato dalla corrente il cadavere dei suoi (più o meno velati) detrattori. Così come il buon contadino, che ha scelto i tempi e i modi giusti per seminare, ha pazientemente aspettato che svernasse, e ora si appresta a raccogliere i frutti.
Ovvio che delle scelte vadano fatte: quasi tutti, eccettuati Harris, Crabbe e i ragazzi ancora sotto rookie contract, sono in scadenza, tra cui i salary dump di Carroll e Faried, gli annuali con cui sono stati acquisiti veterani come Dudley (sempre positivo, anche lui, in uscita dalla panchina, evidentemente balsamica, di Atkinson) e Davis (sui 36’ il secondo rimbalzista della Lega!) e, soprattutto, D’Angelo Russell, l’appena ventiduenne aspirante stella bianconera, colui per il quale Marks ha rischiato di più, scambiando la bandiera Lopez (che sta facendo faville a Milwaukee) e la chiamata di Kuzma pur di averlo in bianconero per costruire intorno a lui. Non dimentichiamolo mai.
Ora che Brooklyn si è guadagnata rispetto, attenzioni, stima; ora che detiene di nuovo il controllo delle proprie scelte (e anche qualcuna in più), ora che ha modo di presentarsi sul mercato con uno spazio salariale tra i più ampi della Lega, ora che “signori della guerra” come Jimmy Butler la indicano come destinazione possibile, se non addirittura preferita, tutti stanno sgomitando per scegliersi il posto migliore in platea per assistere ai colpi di mercato.
Ma Marks non è uomo trasparente, né facilmente interpretabile, né prevedibile: se state aspettando un colpo a destra, è facile che vi spiazzi con un jab a manca. L’estensione di Dinwiddie ha eroso parte del salary cap: ci sarà abbastanza spazio per firmare anche Russell e RHJ, attesi, tra l’altro, a compensi ben più onerosi? Avanzerebbe ben poco per l’all-star, o addirittura le due star, da acquisire l’estate prossima per fare il salto di qualità…
Ora, la nostra idea è questa: Marks ha creato un giocattolo dal nulla, intagliandolo nel legno grezzo, scommettendo forte e rischiando la faccia. Adesso che il giocattolo inizia funzionare e in modo sorprendente, siete proprio sicuri che vorrà sfasciarlo, privandolo del motore per sostituirlo con un pezzi nuovi, sia pure pregiati?
La nostra convinzione, invece, è che il GM ed il coach possano e debbano fare di tutto per tenere insieme questo gruppo, unito e sincrono dentro e fuori dal campo, nella convinzione, loro e nostra, che le star siano già qui, in nuce, bisognose solo della spinta decisiva. Levert, Russell, Allen, hanno il potenziale per divenire i pilastri di uno starting five niente male. Dinwiddie, Harris, Kurucs, Hollis-Jefferson e Davis (la second unit designata ad inizio stagione) sono una possibile panchina già da ora tra le prime tre della Lega, per difetto. La società si è dichiarata fin dalla preseason disposta a crederci ed a spendere. Qualche pedina di scambio, in roster, c’è, anche succosa e valida, specie se arrivassero richieste già entro le 21:00 del 7 febbraio (la mitica deadline).
Ripeto, allora, la domanda: siete sicuri che Marks, pur con la flessibilità strategica di cui ha già dato ampia prova, pur con le orecchie sempre dritte su eventuali offerte degne di attenzione, non miri a confermare tutti, o i più possibile, per poi impreziosire il roster con scelte sorprendenti al draft (ormai ci contiamo, Sean…) e con un colpo di mercato a sensazione?
Noi di #stillawake, oltre a crederci, lo speriamo. I giocatori, stando alle loro dichiarazioni, più di noi. Sta adesso a loro, però, dimostrare sul campo la continuità di rendimento che convinca definitivamente il GM a fare la cosa giusta.
Nel prossimo mese, gennaio, quello decisivo prima del mercato e dell’All Star Game….
Stay tuned!