Avete presente il lunedì mattina, quando state sognando una notte con Charlize Theron e suona la sveglia? Dieci secondi per realizzare che la realtà non era quella in cui eravate felicemente immersi fino a un attimo prima, altri dieci per capire dove vi trovate, infine un minuto buono per raccogliere tutto il vostro aplomb e farvi una ragione della settimana di lavoro in arrivo. Ecco: la sensazione provata dai fan dei Nets in apertura di stagione si avvicina molto a questa.
La off-season aveva innescato un hype clamoroso intorno ai Nets: la scelta molto americana di Irving (il ritorno a casa), quella molto cinematografica di Durant (annuncio su Instagram al minuto zero del mercato estivo), la nuova proprietà, il nuovo look del Barclays, le nuove canotte…Da franchigia di scorta a squadra immagine, ambasciatrice della Lega in Cina, cosa mai avrebbe potuto non funzionare? Il successo sembrava letteralmente ricamato sulla copertina patinata della franchigia. Ricamato dalle abili mani di Sean Marks, dopo due anni trascorsi a rifoderare lo sdrucito libro bianconero.
Ditemi: cosa mai sarebbe potuto mancare?
La squadra, è mancata! L’impatto con la realtà duro come l’acqua dopo un tuffo maldestro dal trampolino dei sogni.
Nel momento in cui scriviamo, il record è 3-4. Con un po’ di fortuna e attenzione in più, avrebbe potuto comodamente essere 6-1, viste le due sconfitte in OT e la debacle evitabilissima di Detroit, e la percezione della realtà sarebbe, oggi, completamente diversa, la narrazione capovolta… Ma percezione e narrazione avvolgono la realtà dei fatti, non la sostituiscono: i problemi restano. C’è tempo per risolverli, ma occorre non aspettare tempo, perché le aspettative amplificano i fallimenti e la pressione intorno alla squadra non è quella da piano-bar dei tre anni precedenti.
Per i più distratti, urge, a questo punto, un breve excursus su quanto accaduto. Ci perdonerete se bypassiamo spudoratamente i primi 22 giorni di ottobre. Tenete solo a mente che siamo in attesa di capire se i bianconeri acquisiranno i servigi di un sostituto per lo squalificato Chandler e il neo-infortunato DeAndre Jordan o se, come a questo punto è più probabile, si resterà così, cercando di definire meglio le gerarchie allargando, magari, ai two way contract o a Claxton le rotazioni.
La cronaca, tutta d’un fiato. Il pronti, via è sorprendentemente doloroso: i Timberwolves non hanno fama di contender, ma impongono il proprio gioco al Barclays prendendo il largo nel secondo quarto; la rimonta dei Nets entusiasma e porta la firma di uno strepitoso Kyrie Irving, che mette a segno un record storico: 50 punti in una gara d’esordio! Non basterà, perché ai tiri liberi i Nets hanno percentuali che sarebbero appena sufficienti se fossero ottenute dal campo: dalla lunetta Allen (brutalizzato da un grande Towns), perderà l’occasione di chiuderla e, Nemesi del destino, proprio Kyrie fallirà, sulla sirena, il tiro della vittoria al supplementare.
L’occasione del riscatto è delle più ghiotte: la prima stracittadina, sempre in casa, vede i Nets partire col piglio giusto, sciorinare un delizioso gioco in velocità, soffrire un po’ la difesa schierata e i raddoppi, pagare dazio alla stazza di Robinson ma, tutto sommato, tenere comodamente la partita in pugno fino a metà terzo quarto, quando i Knicks decidono di cambiare registro, alzare la linea difensiva e seppellire i malcapitati bianconeri, fragili anche psicologicamente, sotto una grandinata di triple. Inizia a palesarsi tutta la difficoltà difensiva, mentre Trier ne mette 30, ma quasi tutti gli arancioblu vanno a referto, col semplice blocco e tiro, dai 7,25. Materializzatosi il clamoroso sorpasso, i Nets la portano a casa grazie a due invenzioni di Irving, sempre lui, ma il campanello d’allarme, sul piano del gioco e della difesa, suona ancor più forte e chiaro che nella prima uscita. A Memphis si riesce a rivitalizzare un parco tiratori tra i peggiori della Lega, a far emergere tutto il talento di Morant, come sempre a subire i lunghi avversari. Irving trascina la squadra a risalire la china fino a condurre di 8 a due minuti dalla sirena, ma neppure questo, neppure il tanking sfacciato dei giovanissimi Grizzlies, sarà sufficiente, perché la scelta di andare ultrasmall paga fino ad un certo punto, perché la difesa continua a fare acqua da tutte le parti e perché si ha la masochistica tendenza a gettare alle ortiche ogni pallone buono per chiudere i giochi. Finché il buzzer di Crowder, dopo un overtime, non punisce, giustamente, la supponenza, la non difesa e l’eccessiva deferenza verso la stella di Kyrie.
Contro i Pacers, a loro volta in difficoltà, per di più penalizzati dall’infortunio occorso a Miles Turner in corso d’opera, il gioco tocca il fondo: dopo un dignitoso primo tempo, Indiana smaschera tutta la pochezza dei Nets nella propria metà campo, Sabonis mette a dura prova tanto la leggerezza di Allen quanto la staticità di Jordan, mentre la buona difesa gialloblu off the ball paralizza l’attacco bianconero, che finisce per collezionare palle perse e inutili e testardi drive nel traffico. Lo sconforto inizia a prendere il sopravento e, invece, proprio di fronte all’avversario sulla carta più forte, i Rockets, torna il sorriso a coach Kenny, artefice di un revival dei Nets old style, affidandosi all’asse Levert-Allen e dirottando spesso Irving in spot 2. La grande prestazione di Prince e di Temple dalla panchina, tenendo Harden al 25% dalla lunga, fanno il resto. Non una cattiva idea, quando il nuovo stenta ad arrivare, rifugiarsi nelle vecchie certezze: così Irving dà il suo contributo e, sopratutto, conserva energie e lucidità per il finale, tornando clutch e rintuzzando il ritorno disperato di Westbrook e soci. Purtroppo, però, si è trattato di un fuoco di paglia, perché a Detroit si ricade nelle vecchie malsane abitudini e, dopo aver preso comodamente il controllo della gara contro i rattoppati Pistons (costretti a rinunciare, all’ultimo momento, anche a Rose), dopo aver mostrato le proprie doti di giocolieri in velocità e, finalmente, aver trovato un ottimo Jordan, a suo agio nella battaglia fisica sotto canestro, non si trova nulla da opporre al cambio di ritmo e di mentalità degli avversari nel solito, disastroso terzo quarto, quando Kennard ha preso in mano il pallino del gioco, quando i lunghi di casa, vistisi oscurare il ferro nel primo tempo, hanno iniziato ad alzare il pick and roll, consentendo il tiro comodo e libero dai tre-cinque metri, quando le triple hanno iniziato a fioccare dopo un semplice blocco, come al solito incontestate. Il rientro in campo di Irving è tardivo e “cade corto”, insufficiente a ricucire l’ennesimo parziale subito: il fallo sistematico, ancora una volta, punisce l’imprecisione dalla lunetta dei bianconeri e, soprattutto, l’incapacità di chiudere la partita quando si poteva e doveva. Perfino contro i derelitti Pelicans, smallball e poco altro in attesa del rientro di Zion, i Nets riescono a dilapidare il comodo vantaggio accumulato nel primo tempo e a regalare il career high a Ingram e ben 48 punti (si, proprio 48!) nel solo e solito terzo quarto agli avversari, consentendo loro di avvicinarsi al punto da innescare il panic mode nei tifosi bianconeri. Anche da casa…Ok, siamo #stillawake, ma finali così, a quell’ora, fanno più danni alle coronarie di una vagonata di colesterolo!
Che succede? Un record negativo, collezionato con un calendario non impossibile, ma dopo sole 7 partite e per di più con 3 sconfitte al fotofinish non è, in sé, il problema. È al di sotto delle aspettative e alla vigilia di un ciclo di trasferte sulla carta ben peggiore, ma parliamo di solo due settimane di stagione, dunque prestissimo per esprimere giudizi o formulare sentenze.
Il problema è quanto si è visto in campo: fatta eccezione per la bella e intensa vittoria contro i Rockets e per qualche flash di bel gioco nelle altre uscite, cioè, una non-squadra senza senso, né costrutto, costruita con un’anima e una filosofia definite ma ben lontana dal tradurre sul campo la propria identità, con una forbice ancora troppo ampia tra volere e potere. Cercheremo di analizzare il dettaglio di quello che finora non ha funzionato e su cui occorrerà lavorare, auspicando un gioco più promettente e foriero di risultati nel mese entrante.
Cosa funziona. Irving, senza ombra di dubbio (e così fughiamo anche ogni sospetto sullo scrivente, che ha difeso Russell fino all’ultimo). Irving ha una capacità di creare dal palleggio che è unica al mondo, paragonabile a quella di Curry e di Harden e nessun altro, ed è incredibile vederlo in bianconero. Finora sta vivendo una golden age perfino superiore alle attese: 31+6+7 è un ritmo da MVP, se la squadra lo segue. Taurean Prince (15+7 e il 40,7% da 3) è la più piacevole sorpresa di questo inizio di stagione (ma #stillawake ve lo aveva anticipato): è davvero un all-around player, la cui efficienza difensiva è ancora work in progress, ma si fa già sentire e la cui efficacia al tiro è una delle più belle rivelazioni di questo scorcio in chiaroscuro. Lo stesso dicasi per Joe Harris, che continua a tenere percentuali irreali (54% dall’arco) con continuità sorprendente e sembra stare carburando anche nella propria metà campo. Levert non ha ancora espresso appieno le proprie potenzialità, ma il suo impatto sulla partita e sulla fluidità della manovra, pur andando a sprazzi come tutta la squadra, lascia ben sperare. Allen è il giocatore con il plus/minus più alto della squadra. È un ragazzo e si vede, perché il suo rendimento è molto umorale e il lavoro da fare su di lui è anche psicologico: più che impattare sulla gara, ne segue ancora il flusso, è discontinuo e talora si perde in un bicchiere d’acqua, la sua difesa in post è ancora un vulnus preoccupante, ma la sua difesa di sistema e la sua mobilità su ambo i lati del campo sono preziosi per i Nets. Nella partita con i Rockets è stato una chiave della vittoria, assicurando i match up e le rotazioni indispensabili per la squadra.
La panchina disastrosa. Il primo dato statistico che vorrei sottolineare è che gli unici giocatori con segno positivo nella casella dei +/- sono quelli appena citati, ovvero lo starting five. Veniamo, così, alla prima e più eclatante nota dolente di ottobre: la panchina. Quella che era il punto di maggior forza dei Nets, si sta rivelando un preoccupante tallone d’Achille: Dinwiddie appare nervoso e confuso e sembra faticare a trovare l’intesa con i compagni; Nwaba è uno specialista difensivo, ma in attacco è sbiadito come il sole a gennaio, Kurucs è ben lontano dai suoi giorni migliori e difensivamente, se si eccettua la rapidità di mani, è burro. Il solo Temple sembra garantire ciò che da lui ci si aspetta: personalità, difesa e capacità di leggere le situazioni e prendersi tiri e responsabilità: troppo poco, per garantire una second unit produttiva.
A DeAndre Jordan vorrei dedicare un paragrafo a parte: non di vera riserva si tratta, perché quella con Allen ha l’aria di essere una vera e propria staffetta e l’idea in sé non è neppure malvagia: proprio a Detroit la miglior prestazione del veterano con il numero 6, intimidatore, fisico, rollante, buone letture nel posizionamento, blocchi più che efficaci (figura tra i primi per screen assist). Sembra, cioè, perfettamente complementare a Jarrett. Il problema sorge quando i ritmi si alzano e il campo si apre: DAJ mostra una staticità a tratti sconfortante, non accetta i cambi, non ruota, incorre spesso nei tre secondi difensivi, quale che sia la natura del pick and roll avversario, lui non lo schiodi dall’attesa in corridoio e, soprattutto, non alza mai, dico mai, le braccia per provare e contestare il tiro. Allen non è un fulmine, a volte appare distratto, si lascia prendere d’infilata troppo spesso, in low post è fragile come un grissino, ma è fuori discussione che sia ben integrato negli ingranaggi difensivi: è il classico difensore di sistema. La differenza in defensive rating con l’uno e l’altro in campo parla da sé: quasi 18 punti! Ora, peraltro, Jordan è anche finito in infermeria e c’è da temere che la coperta della panchina bianconera si accorci drasticamente per un paio di settimane. Atkinson ha già annunciato che nel tour ad Ovest ormai alle porte, Ellerson e Claxton saranno della partita e soprattutto quest’ultimo pare avere speranza di calcare il parquet per qualche minuto. Bene, anzi, benissimo: in estate il rookie ci è piaciuto molto, ma è difficile credere che sia la stessa cosa. Impossibile, se si guarda alla presenza fisica a centro area.
Il quintetto titolare può contare su un potenziale offensivo di primissimo piano di cui Irving rappresenta solo la punta di diamante: questo lo si vede, sia pure in modo troppo discontinuo, in tutte le uscite. Ma non è certo scevro da difetti da correggere quanto prima. Troppo facile puntare l’indice contro la difesa: i tanti punti concessi a tutti sono di facile interpretazione. Preoccupa ancor più vedere la squadra muoversi: la matchup e la zona che avevano contribuito ai successi della passata stagione sono ancora in embrione e molti errori e dimenticanze regalano tiri wide open a chiunque. L’abnegazione nella difesa del pitturato, obbligata, vista la scarsa tenuta delle marcature lontano dalla palla, nell’uno contro uno e sui blocchi, sguarnisce sistematicamente il perimetro concedendo conclusioni dalla media e lunga distanza con oltre un metro di vantaggio agli avversari (closeout tardivi): si spiega così la pioggia di triple subite (i Nets sono terzultimi per percentuali da 3 degli avversari).
I problemi in una metà campo non sono, tuttavia, mai a compartimenti stagni e nascono, spesso, anche nell’altra: si concede tanto di correre a chi si ha di fronte (penultimi per palle perse, ultimi per palle rubate dagli avversari e 24esimi per punti subiti in contropiede) non arrivando neppure a schierare la difesa.
È, dunque, un problema di sistema: il potenziale offensivo è ancora largamente inespresso perché, a fronte di un’anima run & gun (sesti per PACE e primi assoluti per percentuali dall’arco: vedere i Nets giocare in transizione/contropiede è, a tratti, puro spettacolo!), mancano i presupposti imprescindibili per metterla in pratica: la difesa (appena 20esimi per defensive rating), per poter correre, e la circolazione (appena 22esimi per percentuale di canestri da 2 assistiti, addirittura 27esimi per triple assistite), per innescare i compagni.
È, in sostanza, una squadra che vive ancora troppo di individualismi e, conseguentemente, si inceppa contro le difese schierate, chiuse: è vero, nelle ultime uscite si è visto più movimento off the ball, un maggior ricorso ai blocchi per liberare il tiratore, posizionamenti più corretti per sfruttare il potenziale al tiro e schemi per liberare il cecchino di turno, ma l’intesa è ben di là da venire (penultimi per numero di palle perse, circa 20 a partita). Lo dimostra anche l’analisi relativa ai rimbalzi: secondi assoluti nella speciale classifica, quarti per carambole offensive, appena 26esimi per punti da seconda chance…decisamente troppo poco, per capitalizzare.
Una bella incompiuta, una crisalide che stenta ancora a diventare farfalla, i Nets di ottobre (e inizio novembre) ma, confortati dai progressi, superato lo shock del primo impatto, al pessimismo della ragione deve seguire l’ottimismo della volontà, e con questo vogliamo chiudere: chimica, timing, rotazioni, attenzione nei cambi difensivi, sono cose che arrivano con il tempo e i Nets di Atkinson, difensivamente, sono sempre cresciuti in corso d’opera; Jordan ha tutto ciò che occorre per fare il mestiere di Ed Davis e farlo anche bene, surrogando, quando necessario, i limiti oggettivi di Allen; il talento è lì, indiscusso e pronto ad esplodere; Irving ha dimostrato già quel che vale e si è fatto apprezzare anche per disponibilità a cedere pallone e responsabilità ad un Levert che pare dinamite con la miccia corta.
Ci sono, cioè, tutte le premesse per fare meglio, anche se novembre, storicamente, non è un buon mese per i Brooklyn Nets…Non perdetevi,allora, la prossima puntata, per scoprire come il new deal bianconero può sconfiggere anche tradizione e scaramanzia. Stay tuned…
Marco Calvarese
Frank Bertoni