Nel cuore degli anni 90 proprio qui a Lexington, Kentucky dove ha sede questa stravagante storia di ritorni, ricordi ed upset, Walter McCarty, ora alla guida di Evansville, spese tre stupende stagioni culminate col trofeo NCAA del 1996.
Insomma uno che la Rupp Arena la conosce bene. Alla vigilia della sfida contro Evansville, quando quotata numero 1 del ranking, Kentucky si presentava con un record in casa di 39-0 contro squadre non appartenenti alla propria conference e fuori dalle top 25.
Da ora potete scrivere 39-1. E la vittoria è tutt’altro che immeritata.
Evansville passa la maggior parte della partita al comando, senza eccellere tremendamente al tiro e nelle porzioni offensive in generale, premendo difensivamente su Kentucky e Coach McCarty esprime in modo limpido e chiaro il tipo di sensazioni che ha sentito vibrare nel suo corpo: “non so se esista qualcosa come questo oltre che vincere il titolo NCAA”.
Per una squadra che non raggiunge il tournament dal 1999 e che proprio in questa occasione è riuscita ad ottenere per la prima volta una vittoria on the road contro una squadra del ranking dell’Associated Press, probabilmente comprendiamo di che tipo di sensazioni stia parlando l’ex Kentucky.
Evansville, data dai bookmaker 25-1 prima della palla a due, tiene banco sulla squadra di Calipari con un modico 38% dal campo( contro il 39% di Kentucky) e un 9 su 30 nel tiro da tre, con un decisivo 11/12 ai liberi, guidati da K.J. Riley (18) e Sam Cunliffe (17).
Se qualcuno di voi ha mai seguito le notti che accompagnano il draft NBA dell’ ultima decade avrà sicuramente notato la costante presenza di Coach Calipari, pronto ad abbracciare più e più volte i suoi giocatori appena chiamati dalle loro future squadre NBA.
Anche il roster di quest’anno non è da meno e presenta al momento tre nomi che probabilmente sentiremo riecheggiare in quel di Brooklyn a giungo 2020. Eccezion fatta per la guardia Tyrese Maxey (15 punti) sono però proprio le future chiamate professionistiche ad essere mancate in tutta la partita (Hagans 3, Richards 6).
Proprio Maxey ha cercato di trascinare una Kentucky sull’orlo del precipizio con meno di 10 secondi sul cronometro, decidendo però di penetrare la difesa con l’appoggio al tabellone per il meno uno (65-64), invece di cercare immediatamente il tiro da tre per portare la partita al supplementare.
Poi, ovviamente, fallo sistematico su Cunliffe. Il primo libero dentro e sullo sfondo tutta la panchina di Evansville legata braccio a braccio, singolo giocatore per singolo giocatore, battendo trepidanti i piedi per terra. A rimbalzo pronti per far partire l’ultimo assalto solo maglie di Kentucky, ma il sogno dei Purple Aces era praticamente già realtà. Dentro anche il secondo libero. L’ultima Ave Maria di Maxey finisce a mezzo metro dal ferro e che la festa abbia inizio.
“Evansville si è dimostrata una squadra più forte, le guardie più fisiche, non riuscivamo a mandare la palla in post, non riuscivamo a schierare il post. Tutto era problematico”. Coach Calipari emblematico nella descrizione dell’impresa appena compiuta dai ragazzi di McCarthy.
“Giù il cappello, è difficile fare tutto ciò in questo palazzetto”.
Appena dopo il fischio finale, ad impresa mentalmente forse non ancora archiviata, Walter McCarthy abbraccia un uomo in giacca rossa : è Tony Delk, compagno proprio nel vincente programma collegiale col quale Kentucky vinse nel ’96. I due hanno diviso la stanza da ragazzini al college, si sono ritrovati compagni di squadra nei Boston Celtics di Paul Pierce ed Antoine Walker ( oltre che di JR Bremer per i più nostalgici amanti del basket europeo) e sono ancora oggi grandissimi amici.
Le parole di Delk nel post partita sono forse l’essenza di questo upset e del tipo di processo riguardante l’ex compagno, un tipo di allenatore in grado di vedere una pallacanestro nelle varie sfaccettature del gioco: “la maggior parte delle volte i lunghi, secondo me, non diventano dei grandi allenatori perchè non sono delle guardie. Le guardie vedono tutto. Walter aveva il lusso di essere una sorta di ala, uno che poteva mettere la palla per terra, uno in grado di tirare. Uno in grado di vedere il gioco in maniera diversa”.
Di certo in questa magica notte di Lexington aveva visto qualcosa di diverso, in maniera diversa.
“We Want Walt!” cantavano i tifosi a due passi dal tunnel dei giocatori della Rupp Arena. Complimenti Mister Upset.
Sergio Turco