Cinque vittorie e ben 10 L per aprire il 2020 (2-2 mentre scriviamo, ai primi di febbraio), un bilancio gramo fatto di sconfitte quasi rassegnate e di altre in cui, per lo meno, ci si è provato. Qualche sporadica, non scontata, vittoria. Un fine mese in cui si intravede, ma giusto un attimo, la luce in fondo al tunnel.
Un andamento sincopato che lascia adito a diversi interrogativi: fino allo scorso numero di #stillawake c’era il ragionevole dubbio che pesassero le assenze; non che gennaio ne sia stato scevro (DAJ, ancora Irving, Chandler, poi, ai primi del mese in corso, di nuovo Irving…), ma le star sono tornate, eppure il rendimento di squadra sembra ancora simile a quello di una tanker: sconfitte senza sconti contro le prime della classe, qualche battaglia fino al secondo o, al più, al terzo quarto, per poi cedere di schianto, una vittoria esaltante (Miami), qualcuna in groppa a Irving (come fa Atlanta, ad esempio, con Trae Young) e poco altro.
Il punto, però, è che i Nets non sono una tanker, né mai lo sono stati: occupano tuttora, soprattutto per demeriti altrui, ancora la penultima posizione utile per accedere alla post-season (ci torneremo), possiedono, soprattutto nel settore esterni, un parco giocatori invidiabile, ma hanno mostrato la “garra” di chi vuole vincere ad ogni costo solo a sprazzi (vedi Detroit o Miami), dando, invece, spesso la sensazione di volerlo fare, ma senza avere la necessaria fiducia e, conseguentemente, grinta per farlo. Talora trasmettendo uno sconfortante senso di impotenza, guardando le difese avversarie come un grattacapo contro cui intestardirsi in penetrazione, con una povertà di idee da brividi. Il gennaio del “vorrei ma non posso” o del “potrei, ma devo ancora capire come” che poi è il contrario del mantra che ripetevano i prof, sul mio conto, ai colloqui scolastici: “è intelligente, ma non si applica”.
Il che rende le cose ancora più preoccupanti, perché, se le idee latitano, se tutto dipende dall’umore (peraltro notoriamente labile) del salvatore della patria, se le avversarie trovano la chiave per silenziare il pick and roll di Dinwiddie, mettere la sordina a Levert (e, quindi, a tutta la panchina) piazzando il Robinson di turno davanti al ferro, se Irving trova il Thibulle che gli leva anche l’ossigeno oppure, semplicemente, non è in serata, o non se la sente di giocare (come in occasione del derby, ma su questo ha tutta la mia comprensione), i Nets ricordano troppo da vicino me di fronte ad un compito di analisi matematica.
Una volta è la difesa avversaria, un’altra la sua superiore fisicità, un’altra ancora la mancanza dell’uomo della provvidenza, oppure il back to back, o ancora la disfunzionalità di Prince o la scarsa qualità della second unit, spesso, il timing delle decisioni di Atkinson o la grinta difensiva della controparte nell’ultimo quarto: fatto sta che c’è sempre una giustificazione per il risultato negativo, come me quando non avevo studiato abbastanza.
Il ranking. Un record mensile .333 non ispira certo allegria, eppure è quanto basta per restare in linea di galleggiamento o addirittura allungare sulle inseguitrici (si fa per dire): i Bulls sono una bella realtà (lo dico da ottobre), ma acerba e minata dalle assenze, i Wizards giocano, eccome (lo abbiamo visto pochi giorni fa, pagando dazio ai capitolini), ma scendono in campo in braghe di tela, avendo lasciato il vestito buono in infermeria, lo stesso dicasi dei Pistons, che stanno facendo il gioco delle tre carte per nascondere il fatto di essere rimasti in sette sì e no (e adesso sbolognano anche Drummond), gli Hornets si son sgonfiati come un palloncino col buco, il resto è fuffa da lottery. Lo andiamo recitando come un salmo da novembre, ormai: qui non si tratta di gioire delle disgrazie altrui, ma di prendere atto del fatto che, senza Durant (e si sapeva), senza Irving per metà e più stagione (e far dentro e fuori, se possibile, è anche peggio), i Nets non sono meglio dello scorso anno, anzi: hanno perso Rondae, “GOAT” Dudley, Davis, soprattutto Russell, hanno il solito Dinwiddie, sì, ma un Levert sempre assente o convalescente…
Occorre prenderne atto e cercar di capire come puntellare e dove, per far felice Kyrie (che sbaglia i tempi e la forma delle dichiarazioni, ma forse non i contenuti!) e completare il grande salto. Nel frattempo, inutile stracciarsi le vesti perchè i Nets sono questi, adesso: una bella incompiuta, malaticcia e senza trucco, ma in una situazione di assoluto controllo e comodamente in grado di raggiungere la post-season.
Se ciò giustifica i risultati alterni, non ci esime dal dovere di individuare ciò che non va, non senza, prima, aver disegnato la cornice in cui i difetti si inscrivono.
Il quadro tecnico. I Nets di gennaio, capitanati (non sempre) da Kyrie Irving, hanno provato ad alzare i ritmi, pagando dazio in termini di palle perse ma migliorando la verve realizzativa. L’altra faccia della medaglia è la difesa, ove si è concesso di tutto e di più a tanti avversari, sovente abusando della zona, talora patendo anche in area, ove, finora, i risultati difensivi erano stati decisamente confortanti (passando dal 41,3 al 46,9% come percentuali dal campo degli avversari, che tirano, mediamente, anche con un ottimo 36,3% dall’arco contro i bianconeri). Forse ancor più preoccupante il dato ai rimbalzi, non tanto in termini assoluti (le più alte percentuali realizzative, sia dei Nets, sia degli avversari, motivano il calo lordo), quanto percentuali: a gennaio i Nets scivolano, per la prima volta in stagione, fuori dalle prime dieci posizioni per rimbalzi percentuali, addirittura precipitano dal podio fino al 23esimo posto per percentuale di carambole offensive conquistate. Non c’è bisogno di sottolineare cosa questo comporti in termini di seconde chance concesse o non guadagnate.
Il ritorno di Irving è stato spettacolare. Realizzatore formidabile, capace di qualunque invenzione, semplicemente incontenibile nell’uno contro uno, in grado di far canestro in qualsiasi modo e posizione, crossover da primo della classe. Record di 54 punti nella vittoria sui Bull a inizio febbraio, preceduto da un cinquantello non molto prima, Irving è semplicemente decisivo per le sorti dei bianconeri. Non tutto ciò che luccica, però, è oro: la continuità ha fatto difetto a “uncle drew”, anche per via dei suoi malanni ed è stata innegabile, talora, la sensazione che la palla girasse meglio senza di lui. Ma la percezione più forte e duratura, che sento sottopelle come un fastidioso prurito, è che la squadra, con lui in campo, giri meno della palla e che i compagni siano come psicologicamente bloccati, quasi si sentissero esentati dal dover sputare sangue perché inevitabilmente destinati alla comprimarietà, a fargli strada, ad aspettare il suo miracolo.
Caris Levert, dopo un lungo e difficile mese di gennaio, sta riguadagnando la sua forma abituale solo in questi giorni e, ultimamente, è tornato perfino nello starting five, prendendo subito le redini della squadra: ne ha tutte le potenzialità e, dunque, la facoltà. Ma gennaio è stato un mese sconfortante, per lui, apparso talora come un pesce fuor d’acqua, i pochi flash più frutto dello smisurato talento che di un effettivo inserimento nel gioco. Le difficoltà nascono dal dover giocare off the ball, con le conseguenze del caso: i ritmi mediamente bassi tenuti dalla squadra e la latitante circolazione penalizzano le sue possibilità di crearsi il necessario vantaggio per mettere palla a terra e sfruttare lo straordinario controllo del corpo per bruciare l’avversario e puntare al ferro; ancora di più viene penalizzato il suo tiro dalla lunga distanza, fondamentale in cui ha fatto progressi macroscopici, peccando, tuttavia, ancora della rapidità di rilascio propria dei tiratori puri per cui, se contestato prontamente, fatica a trovare il canestro. Se si dà tempo alla difesa di ruotare, la difesa ha buon gioco, chiudendo, con il lungo, il suo proverbiale drive.
Stessi problemi per Harris che, per la prima volta da quando è arrivato a Brooklyn, ha fatto registrare percentuali insufficienti dall’arco (31% a gennaio!); prima e dopo, la sua continuità è stata impressionante, Joe è una sentenza in situazione di spot up o catch & shoot, ma queste necessitano di alcuni presupposti: la creazione di un vantaggio rispetto al difensore, l’assist preciso, il corretto posizionamento dei piedi! Se la difesa non è costretta all’aiuto, semplicemente la situazione nella quale Harris ha pochi eguali al mondo non si genera. Ci sono, poi, la lenta ma ancora discontinua resurrezione di Prince e, infine, l’ancora difficile convivenza in campo tra Irving e Dinwiddie, a rendere la traduzione del talento in soldoni più difficile di una versione di Catullo senza vocabolario.
Consistency: il mantra che non c’è. Difficile dire se la discontinuità dei singoli generi quella di squadra o viceversa. Probabile si tratti, piuttosto, di un loop da interrompere il prima possibile, perché è la sintesi delle disgrazie bianconere. Difficile, adesso, stabilire se il ciclo positivo di 4 W nelle ultime 6 gare (le due sconfitte, tra l’altro, arrivate una a seguito del nuovo infortunio di Irving e l’altra a Toronto, dopo una entusiasmante rimonta, giocando bene), a cavallo tra gennaio e febbraio, sia figlio della pochezza delle avversarie affrontate o di una ritrovata condizione. Sterilmente polemico e speculativo sarebbe attribuirle alla nuova assenza di Kyrie Irving (al contrario: tutti sono in trepida attesa per la rivalutazione del ginocchio distorto nello scontro con Beal). Va detto, invece, che Levert, Prince, lo stesso Harris e Temple sembrano usciti dal tunnel e che Luwawu-Cabarrot, dopo aver disputato delle ottime partite, in uscita dal pino, nel corso di due decadali, si è meritato il contratto garantito, completando il quindicesimo spot del roster. Il ragazzo ha stupito tutti per intelligenza, morbidezza di tiro e abnegazione anche difensiva, con ottime percentuali dall’arco e questo rappresenta, come sappiamo, un salvacondotto indispensabile per poter essere anche solo introdotti alla corte di coach Kenny…
Piange il telefono… Nessuna chiamata prima della deadline. Chi si aspettava che questa volta facesse eccezione e vedesse Sean Marks attivo sul mercato delle trade, non conosce la filosofia del GM fino in fondo: nulla è escluso a priori, l’occhio è sempre vigile sulle possibili occasioni irrinunciabili, in assenza delle quali, tuttavia, olio di gomito e si cresce con il gruppo attuale. Stop. Il mercato viene vissuto in modo febbrile come accade per tutte le franchigie, ma sempre tenendo la barra dritta verso gli obiettivi, che non possono che essere di lungo termine: la stagione nella quale la squadra è chiamata a fare il salto di qualità è la prossima, col rientro di Durant, che tutti immaginano impiegato in spot 4. Il campionato in corso non può che assolvere, pertanto, alla funzione di valorizzazione, ridefinizione contrattuale e individuazione dei punti di forza e dei talloni d’Achille della rosa attuale.
Purtroppo la pioggia di infortuni, l’assenza di Irving in quasi due terzi della stagione fin qui disputata, quella di Levert per sette settimane e un altro paio a minutaggio controllato hanno gravato di responsabilità impreviste Temple, Claxton, la panchina, gli stessi Prince ed Harris, complicando la definizione di un’idea di squadra intorno alla sua star ed è del tutto verosimile che non ci siano ancora le idee chiare su chi prendere e chi, invece, lasciar andare. Non sarà facile, ma sarà necessario, con Harris in scadenza tra pochi mesi e Allen in procinto di entrare nell’ultimo anno da rookie.
Talento, però, ne abbiamo a Brooklyn e questo rende ancora più arduo il compito della necessaria selezione. Troppi imprevisti hanno reso nebuloso il quadro tecnico e l’adeguatezza dei suoi protagonisti, rendendo impossibile giungere a conclusioni con un margine di rischio accettabile: scotta ancora il rilascio di Shumpert per fare spazio ad uno straordinario Nwnaba che, dopo due giorni, si è rotto il tendine d’Achille mettendo fine alla propria stagione…
Sta di fatto che nulla si è mosso e che, ancora una volta, Marks e Atkinson hanno puntato su una strategia conservativa, attendista, lavorando sulla crescita di condizione dei singoli e, forse, febbraio sta mostrando segni di uscita dal letargo tecnico-tattico visto a cavallo tra i due decenni. Darsi un gioco, continuare a crescere e centrare almeno i medesimi risultati dell’anno scorso, gli obiettivi possibili, ad oggi. TLC sembra incarnare tutti i valori ed esprimere i risultati della cultura adottata dai Brooklyn Nets: era, pertanto, difficile immaginarne il taglio in chiave-mercato e, infatti, così non è stato. Ne riparliamo l’estate prossima…
(Dis)comfort zone. Certo, con Irving e, in futuro, Durant, il ritrovato Levert, Dinwiddie, forse Harris, è difficile credere che siano urgenti dei correttivi per trovare la via del canestro. Più palesi e facilmente individuabili, invece, i problemi difensivi, dai quali, poi, nascono anche i ritmi bassi e le difficoltà contro la difesa schierata. Ecco, allora, alcune situazioni niente affatto contingenti al di qua della linea di metà campo.
Non da oggi, la madre di tutti i problemi è la disfunzionalità della difesa sul pick and roll: Jordan ha i suoi limiti, pur essendo un ottimo rim protector, e Allen non è progredito, né sugli switch in scivolamento, né in closeout, né nei raddoppi. Non è mancanza di doti, né di rapidità di piedi, la sua, ma di fiducia. Quella, per intenderci, con cui lo fa uno Zion, quella che mostra gli occhi della tigre. L’unica difesa adottata contro i giochi a due, salvo accettare i cambi quando costretti e in modo abbastanza improduttivo, consiste nello schierare Allen o Jordan in attesa nel corridoio; chi difende sul palleggiatore resta sistematicamente piantato sul blocco (Temple, talora Levert e Dinwiddie, le uniche eccezioni), e in ogni caso un buon blocco genera il vantaggio necessario, un buon jumper dal mid range ci punisce sistematicamente, o lo scarico si genera in modo puntuale. Le alte percentuali dall’arco degli avversari di turno, che talora assumono le fattezze di sequenze magiche e interminabili, si spiegano anche così.
La cosa sta diventando un problema palese ma, diversamente da quanto abbiamo sempre visto con Atkinson, invece di lavorarci, e soprattutto contro lunghi particolarmente dinamici, si ricorre spesso, troppo spesso, alla difesa a zona, un artifizio che, se fino allo scorso anno era quasi un marchio esclusivo dei Nets, quest’anno viene adottato sistematicamente anche da altre franchigie (Miami e Dallas su tutte, ma anche Clippers) e gli staff tecnici stanno imparando ad affrontarla senza scomporsi. Ecco che, dopo aver prodotto iniziali benefici permettendo qualche recupero, complice l’immancabile ritardo nel prendere posizione o nell’eseguire i movimenti con automatismo, iniziano a piovere triple e, ove non entrino, rimbalzi perduti, grazie al fatto che i tagli in backdoor o i movimenti in post del lungo non vengono seguiti e non viene effettuato il tagliafuori. In sostanza, l’attacco avversario finisce per prendere più tiri ed a più alta percentuale, soprattutto con la second unit in campo.
Prince rappresenta un giocatore-chiave per i risultati bianconeri: quando gira lui, gira anche la palla e i Nets acquistano una dimensione offensiva. La sua crescita al tiro a gennaio, pur non consentendogli di tornare sui livelli di inizio stagione, è stata molto importante. È, tuttavia innegabile il suo gap fisico contro i 4 avversari e questo diviene spesso un vulnus inestricabile: mentre chiudiamo l’articolo, i Nets sfiorano l’epica rimonta a Toronto soprattutto grazie (oltre che ad un sontuoso Levert) ad alcune giocate difensive di Chandler, che gli viene preferito lungamente e, soprattutto, nel finale.
E, insomma, siam sempre lì: gira la frittata tutte le volte che vuoi, ma gli ingredienti che mancano e che la rendono un tantino insipida e indigesta sono sempre i medesimi: chili, centimetri, atletismo, rabbia. Per ora, si continua a lavorare su ciò che c’è, sperando di ottenere ancora frutti dai virgulti del proprio giardino.
I vessilliferi di Chicago. Virgulti che, in vista della sosta, mai sopraggiunta in un momento più opportuno, continuano a dare soddisfazioni: saranno ancora Dinwiddie e Harris a portare, orgogliosamente, la bandiera bianconera all’ASG di Chicago, rispettivamente nello Skills Challenge (che vinse due anni fa e disertò per infortunio nella passata edizione) e nel Three Point Contest, in qualità di detentore del titolo. Una buona notizia, utile a ritrovare fiducia e slancio in vista della fase calda della regular season.
Intanto, Levert è tornato e in campo si vede, eccome! Se febbraio saprà restituire alle nostre nottate anche Kyrie e, finalmente, incanalarne il potenziale nel solco del gioco di squadra, lo scopriremo solo vivendo. Stay tuned!