Negli anni Ottanta e Novanta l’Italia è divisa in due: un Nord ricco di opportunità e un Sud ricco soltanto di sogni. A Caserta – profonda periferia del Meridione, conosciuta per la Reggia dei Borboni e nient’altro – molti di questi sogni viaggiano nella testa di scugnizzi che passano i pomeriggi assolati a giocare in strada.
Corrono dietro a una palla molto particolare: non è quella di cuoio che fa sognare i ragazzini napoletani quando è ai piedi del “Pibe de Oro”, Diego Armando Maradona. È una palla a spicchi: a Caserta tutti giocano a pallacanestro, l’unico sport che tende al cielo. Su tutti Nando Gentile ed Enzino Esposito, che all’inizio di questa storia hanno poco più di 10 anni e possono contare solo su due cose: il loro grande talento e la loro grande amicizia.
Un imprenditore visionario proveniente dal Nord, Giovanni Maggiò, raccoglie gli entusiasmi degli scugnizzi e costruisce per la squadra della città, la Juvecaserta, un palazzetto tra i più grandi d’Italia, il PalaMaggiò – una seconda Reggia per il popolo casertano. Questo è l’inizio di una sorprendente ascesa verso la vetta più ambita dai cestisti italiani: lo Scudetto del Campionato italiano LBA 1990-91.
Tra tutte le squadre del Nord, più ricche e più forti dei casertani, la grande rivale è l’Olimpia Milano, l’imbattibile squadra dei giganti da anni in cima alle classifiche d’Italia e d’Europa. Per battere i giganti e portare lo Scudetto per la prima volta al Sud servirebbe un miracolo. Ma un miracolo, si sa, per realizzarsi deve andare contro il prevedibile e l’ordinario: è ciò che accade nell’arco di un decennio in quella che è stata definita una delle più grandi imprese umane e sportive che lo sport italiano ci abbia mai raccontato.
Perché per competere in vetta servirebbero tanti, troppi soldi, che la Juvecaserta non ha. Per colmare il gap occorrono passione, talento e strategia. Se i milanesi possono contare sui cam pioni americani provenienti dalle stelle della NBA, i casertani devono accontentarsi di un bra siliano, Oscar Schmidt.
Un brasiliano? Ma non giocavano a calcio, quelli?
Nessuno può ancora sapere che Oscar è un vero fuoriclasse. Di più: diventerà il più grande marcatore della storia del basket mondiale.
Sotto la sua ala protettiva, gli scugnizzi casertani – Nando ed Enzino in testa – cresceranno e diventeranno fuoriclasse a loro volta. Disposti a tutto pur di vincere l’ambito trofeo e guadagnare il titolo di Campioni. Tutto, anche mettere a repentaglio il valore dell’Amicizia con la maiuscola e tradire il loro fratello maggiore brasiliano.
I miracoli e i tempi in cui avvengono non sono mai un caso.
Quando la Juvecaserta vincerà lo Scudetto (la prima – e finora unica – squadra del Sud a diventare regina d’Italia della pallacanestro), sarà per merito di una squadra senza Oscar e composta quasi tutta da scugnizzi appena ventenni, nati e cresciuti a Caserta. Il loro allenatore: Franco Marcelletti, un casertano doc. La mascotte della tifoseria: don Mario, un prete casertano alla “Don Camillo”.
Sud contro Nord.
Poveri contro ricchi.
Scugnizzi contro giganti.
Sarà, insomma, la vittoria dei perdenti. Nel 1991 per giunta, un anno che – tra politica, tv e so cietà – segna la fine di una certa idea d’Italia e l’inizio di una nuova.
Perché questa non è solo una storia sportiva di Davide contro Golia. È una storia a cavallo tra anni ’80 e ’90 che ancora oggi può raccontare una città, una provincia, un’Italia. E il modo in cui noi tutti siamo cambiati.