Franco Gramenzi, dieci campionati vinti tra A2, B e C. E la serie A?
“Ho allenato un anno in serie A, a Teramo, la mia città nel 2004, con una salvezza tranquilla. Poi sono andato a Scafati ed a dicembre del 2005 a Casale Monferrato. Fossi rimasto a Scafati l’anno successivo sarei forse tornato nella massima serie. Posso dire che lì c’è stata una svolta nella mia carriera ma non rimpiango nulla, sono contento così. E poi l’ambizione di allenare in serie A c’è sempre, come no.”
Lei conosce benissimo la serie A2 che per il secondo anno consecutivo sta disputando con la Benacquista Latina. Com’è il movimento in questa serie?
“In questa fascia di campionato come in quelle inferiori secondo me in questi anni si è cambiato molto spesso regole, creando a volte una certa confusione che non aiuta sempre le società a programmare. Parliamo delle promozioni. Con 32 squadre in A2 una sola promozione è davvero poca roba, allora meglio sarebbe stato averne due o un campionato unico a 16 squadre come la serie A. E questo vale anche per esempio anche per la scelta dei giocatori. Degli italiani. Del budget“.
Ecco gli italiani, il budget. A Latina fate giocare molti italiani anche nei minuti importanti delle partite. Allora si può fare?
“Certo che si può fare! Dipende dalla società in larga parte. Latina ha deciso di investire gran parte del budget sui giovani italiani, il che vuol dire che ogni anno possiamo scegliere tra un buon numero di ragazzi da mettere in campo per fare esperienza e l’anno successivo farli giocare stabilmente in prima squadra. Quest’anno per esempio abbiamo Uglietti, Pastore e Mathlouthi che sono di proprietà nostra che tengono il campo benissimo. Ed avere tanti italiani giovani significa anche un bel risparmio per un club, quindi è comunque un vantaggio da ogni lato“.
Parliamo dei due americani di quest’anno, Keron Deshields e Jonathan Alredge. Che ragazzi sono?
“Tecnicamente hanno ampi margini di crescita come la loro età, 24 e 25 anni rispettivamente, ma soprattutto ci tengo a dire che sono due ragazzi che hanno voglia di allenarsi, di lavorare. Questo ci permette, parlo di me e del mio staff, di andare in palestra e poter fare gli allenamenti col gruppo compatto e disposto a sostenere i ritmi che noi vogliamo dettare. E tutto questo è stato pensato e preparato in estate“.
Cosa c’è di nuovo nella A2 di quest’anno?
“Ogni anno che passa io vedo crescere l’atletismo e la fisicità dei giocatori. Sempre più lunghi bravi a tirar da fuori e maggior capacità di aprire il campo, con relativa difficoltà nell’impostare una difesa. Però ho come la sensazione che tutti, e quando dico tutti intendo tutte le categorie interessate, abbiamo un pò perso la voglia di lavorare, o meglio di fare qualcosa in più. Di stare in palestra qualche tempo in più per migliorarci. Di iniziare oggi a costruire un giocatore per domani. Forse, e qui esco dal discorso prettamente sportivo, abbiamo raggiunto una qualità di vita troppo alta e ci adagiamo. Ma noi sportivi siamo inseriti all’interno di un meccanismo nel quale ci sono delle società che investono dei soldi e quindi c’è un discorso di etica professionale al quale noi dobbiamo rispetto. Serve maggiore predisposizione e più saggezza”.
Torniamo ad occuparci della sua squadra. A che punto è la costruzione della squadra rispetto alla sua idea di inizio anno?
“Siamo in crescita, giorno per giorno e partita per partita direi. Ci manca ancora qualcosa nella cabina di regia in termini generali e dobbiamo tutti capire cosa e perché. Poi voglio capire i margini di crescita di Alredge perché lui per noi, come tutti gli altri, è molto importante. La sua fisicità in particolare. Rispetto allo scorso anno siamo una squadra più fisica meno leggera e più grossa. Ci piace giocare vicino a canestro e non disdegniamo di tirare da tre ma per far bene tutto questo ci vuole pazienza e lavoro”.
Come le piacerebbe che venisse definita la sua squadra?
“Complicato rispondere perché è come se dovessi parlare un pò di me ed io non amo farlo. Ma diciamo che vorrei che fosse apprezzata la serietà dell’atteggiamento, il coinvolgimento di tutti i giocatori, giovani e no, italiani e stranieri. La partecipazione. E che si riconoscesse che se perdiamo è perché l’avversario è stato più forte di noi”.
Eduardo Lubrano