Ovvero, tutto ciò che vale la pena di andarsi a vedere nelle notti malate di basket a stelle e strisce.
A distanza di tre settimane dall’uscita del numero 0 della nostra nuova rubrica, con un quarto di stagione circa ormai alle spalle, sarà il caso di leggere un po’ tra le righe di classifiche, statistiche e quant’altro, ormai alla portata di chiunque, e ricapitolare le notizie salienti, quelle che danno il polso della situazione, i dietro le quinte, le osservazioni fatte in diretta, shakerare il tutto e servirvi il nostro frullato di NBA. Non certo per dirvi chi è il più forte tra James, Harden o Durant, ma cosa valga davvero la nostra prossima notte insonne. Carne al fuoco, stavolta, ce n’è davvero tanta…
Procediamo rigorosamente in ordine…Sparso!!
I Warriors tornano sulla Terra. Citiamo le testuali parole di Steve Kerr, come al solito lapidario, esaustivo e mai banale. Sapete già tutto: Curry si ferma per infortunio (e durante lo stop rimane anche vittima di un incidente stradale, per fortuna senza conseguenze), KD e DG si accapigliano per un pallone gestito male che ha la forma della classica goccia che fa traboccare il vaso, con Durant trattato come un corpo estraneo di cui la squadra non avrebbe bisogno per continuare a vincere. Seguono quattro batoste consecutive, come non era mai successo nella golden era di Oakland. Poi la reazione: la franchigia sospende e multa Draymond Green, Kerr dà la giusta strigliata e arrivano 3 W indovinate trascinate da chi? Proprio Durant, la pietra dello scandalo, che ha viaggiato, in questo breve frame vincente, alla media surreale di 41+9+8 (sic). Esempio di come un campione ed una società debbano rispondere alle traversie. Lasciateci fare una profezia: i Warriors (15-8) ne usciranno più forti di prima e ci sarà tutto il tempo per ricomporre lo spogliatoio, riportando anche l’Orso Ballerino, al momento ancora fuori dalla rotazioni, al suo posto, dove gli compete.
Memphis vede…e rilancia! Cos’è che dicevamo, nel numero precedente? Non scommetteremmo sulla caducità della rivelazione Grizzlies (12-8). Ecco il risultato: sesti ad Ovest, dopo aver toccato anche la vetta e ceduto ai nuovi leader, nello scontro diretto (un po’ di pazienza, ci arriviamo), per un pelo. E lasciamo stare la striscia di tre sconfitte, che nell’arco di una stagione ci può stare. La squadra più vintage dell’anno, lenta, compassata, restia alle bombe da tre, sull’asse Conley-Gasol ha innestato uno stock di ragazzi tremendi, capaci di sfruttare a dovere le meraviglie che nascono dalle mani dei due veterani e gli spazi in area che un maestro come Gasol sa generare. Non basta: ti mordono, ti sfiancano, ti costringono a giocare male, imbruttiscono la partita fino a farti perdere la pazienza. Ti ritrovi a perdere e a chiederti come diavolo sia successo. È notizia delle ultime ore: i Grizzlies riportano Joakim Noah sul parquet: non sappiamo come stia fisicamente, ma certo uno così, per un anno al minimo salariale, non lo si direbbe un pessimo affare per allungare le rotazioni…
Butler, ovvero come svoltare la stagione a due squadre in una mossa. Abbiamo già analizzato, dal nostro punto di vista, la trade che ha chiuso la lunga querelle Butler-Minnesota. E l’abbiamo inquadrata come la classica win-win situation: ne avrebbero giovato tutti. Phila era reduce da un partenza così così, Embiid sempre dominante ma con modesto supporto da un Simmons che pare aver arrestato la crescita esponenziale della passata stagione, e da un Fultz che stenta a decollare (sembra sia addirittura pronto a finire sul mercato, Cavs in prima fila?). Occorreva un’alternativa sul perimetro, laddove cercare sempre Joel rischiava di pagare lo scotto della prevedibilità. Mai mossa si rivelò più azzeccata, specie nei momenti clutch. E Butler sta ripagando in moneta sonante, con una squadra che ora vince sempre (15-8), talora soffrendo, come a Charlotte o a Brooklyn, ma che poi la porta sempre a casa, proprio grazie ai buzzer del #23.
D’altro canto, Minny (11-11) sembra rinata nello spirito, difensivamente e anche nel gioco offensivo, corroborata da Covington, da Saric dalla panchina e, soprattutto, dalla rinascita di KAT, capace di reagire alle avversità e prendere per mano la squadra su tutti i fronti, fare gioco, difendere il ferro, arpionare carambole offensive, aprire il campo per assistere i tagli o generare drive. Se, poi, il corridoio è aperto per il Derrick Rose di quest’anno, ci vuol poco a passare dal 4-9 con Butler al 7-2 dopo la trade! Noi lo avevamo detto: buon per i Sixers, meglio ancora per i Wolves….
Melo e la fine di un’era. Sensazioni personali a parte, la fine di un’icona che ha improntato e impregnato di sé l’immagine stessa della Lega fa indubbiamente rumore. Poche partite sono bastate ai Rockets per capire che la mossa di concedere un giro a Anthony, resosi peraltro disponibile ad adattarsi al ruolo di rincalzo di lusso, non è stata delle più felici. Melo è fuori squadra, ma, assente anche Paul nelle ultime uscite, stanti le perdite di Anderson e, soprattutto, Ariza, i fenomeni di D’Antoni stentano ad ingranare e, anzi, inanellano sconfitte nelle partite che contano. Presto per dire che sono la delusione dell’anno e certo, avere un Chris Paul a disposizione è un tantino diverso che non averlo, tuttavia vederli languire lì sotto (9-11), quando erano attesi in vetta come l’anno scorso, non può essere sottaciuto. Forse, ma forse, non era Melo il problema, ma che fosse un difficile adattamento, quello richiestogli dal sistema Rockets, poteva essere messo in preventivo. Noi diciamo che una squadra la trova e che tornerà a fare la sua sporca figura, come merita, in chiusura di carriera. Voi?
Il dramma…a metà di Caris Levert. Anche qui, vi abbiamo già detto tutto. Drammaticamente spettacolare e, per fortuna, con lieto fine, il suo infortunio: il ragazzo tornerà in campo tra qualche mese, già in questa stagione. Merita attenzione anche da parte di #inside-out perché Levert era stato, nel numero 0, il nostro candidato MIP e non gli abbiamo portato bene: ci sentiamo in debito. E perché, per via delle diversissime caratteristiche degli altri playmaker a disposizione, ora i Nets (8-14), fino al dramma del Target Center tra le più belle realtà in crescita di inizio stagione, sono di fronte ad un bivio tecnico (cambiare impostazione al gioco offensivo, che infatti stenta a decollare e, nei momenti nevralgici, si perde) e strategico (continuare a lottare su ogni pallone ma senza speranze di classifica, come la scorsa stagione, o monetizzare la ritrovata scelta al draft e, contravvenendo alla propria vocazione, strizzare l’occhio al tanking), anche alla luce della ormai prossima scadenza del garantito a Dinwiddie (che sta viaggiando su medie da serio candidato a 6th man of the year). Estenderà, corrodendo il preziosissimo spazio salariale su cui edificare la prossima offseason, o esplorerà il mercato? Resta il fatto che Levert, una delle pietre angolari del rebuilding bianconero, di cui stavamo appena assaggiando i primi frutti, è venuto meno ed ora Marks è chiamato a tenere insieme la sua opera evitando che gli si sfaldi fra le mani. Forse, il momento più difficile della sua giovane e già di per sé travagliata carriera da GM…
Clippers, ne abbiamo? Davvero, i ragazzi di Doc Rivers (15-6) sono gli underdog (ma lo sono ancora?) più intriganti di questo scorcio di RS e li segnaliamo come il consiglio per la prossima notte insonne. Capilista nella Western Conference e alzi la mano chi lo avrebbe detto a questo punto della stagione. Artefici di un gioco solido, con quattro uomini in campo abili ed arruolati per portare palla, con un Harris versione point forward ed un Gallinari da pelle d’oca, quadrati e perfino divertenti anche con la second unit. I Clippers vincono col piglio delle grandi, con sicurezza, sciorinando il quarto attacco delle Lega, secondo, addirittura, per percentuali dall’arco. Si avvalgono di due centri specialisti nel p&r, quali il solito Gortat e, soprattutto, l’emergente Montrezl Harrell (16,3+7,2 uscendo dalla panchina e nostro personale MIP del momento), con gli uomini giusti ad aprire il campo intorno a loro e tutti pronti tanto alla penetrazione quanto al tiro da fuori… Altra meteora che sta studiando da stella: occhio!
La morale. Se una lezione si può trarre, da questo avvio di stagione, così, a sensazione, senza guardare le stats, ma solo alla luce delle partite viste e dei commenti tra amici, questo sembra l’anno dei lunghi moderni, quelli davvero bravi anche a fare gioco.
Se ad Est, eccezion fatta per il leggero ritardo dei Celtics (11-10), i rapporti di forza sono piuttosto ben definiti, con i soliti noti a guidare la classifica ed i travolgenti Raptors (19-4, reduci dallo scontro fra titani vinto al supplementare con i Warriors di un indemoniato Durant, 51 punti) in testa a tutti, non lo stesso si può dire per il (mai tanto) selvaggio West, dove la zona nobile della graduatoria è ancora un magma bollente e scarsamente definito, con Clippers e Nuggets (14-7 e ne abbiamo parlato la volta scorsa, per noi di All-Around nessuna sorpresa!) in cima e Blazers, Grizzlies ed i risorgenti Mavs del fuoriclasse Luka Doncic a mescolarsi, del tutto a proprio agio, con i favoriti di sempre e perfino a lasciarseli alle spalle. Bene, una delle caratteristiche, per noi il filo rosso, il minimo comun denominatore di queste squadre, spesso diversissime tra loro, è la presenza in campo di big men capaci davvero di trattare la palla, tramutarsi in playmaker aggiunti, fare paura anche lontano dal ferro: Gallo, Doncic (e perdonate la forzatura, non si tratta di un vero e proprio lungo, anzi, ma Carlisle non si è fatto scrupolo di schierarlo anche da 4, col risultato di portare Dallas in zona playoff…), Jokic, lo stesso Nurkic, l’intramontabile e ancora dominante Gasol.
Varrà la pena di tenerli d’occhio, fino al prossimo numero di #inside-out: il dibattito è aperto… Stay tuned!