Il titolo del nuovo numero di #stillawake è cronaca, fino al 25 gennaio, auspicio da lì in poi: è destino di questa stagione che il cammino dei Brooklyn Nets debba procedere a strappi e che il passaggio da una fase a quella successiva sia segnato da infortuni…
L’anno nuovo dei Brooklyn Nets è iniziato così com’era finito il 2018: da vincenti! Anche statisticamente, oltre che per quanto percepito attraverso gli schermi, è difficile credere che due mesi così siano frutto del caso o di un momento fortunato… Il record combinato di dicembre e gennaio recita 20-10, quello del solo gennaio addirittura 11-4: per una squadra che, nelle prime 26, aveva fatto registrare un modesto 8-18, il salto di qualità si affetta col coltello ed ha una tale forza dirompente da aver sradicato i bianconeri dall’angolino dietro la lavagna, ove tutti (commentatori, analisti e addetti ai lavori) li avevano lasciati da almeno tre anni ad imperitura memoria di come ridursi al rango di franchigia senza speranza, gettandoli improvvisamente sotto i riflettori, all’attenzione di tutti. Con l’interesse degli analisti, cresce anche la voglia di capire:
- come diavolo sia potuto succedere tutto questo: quali radicali mutamenti siano occorsi nella squadra o nel modo di giocare per rendere la simpatica e volenterosa, ma non troppo talentuosa (a detta altrui…) truppa di Atkinson una macchina da basket temibile quasi per tutti. Anche i migliori siti specializzati al di qua dell’Atlantico stanno via via cimentandosi in analisi più o meno corrette e anche molto interessanti, più sulla ricostruzione storica della traiettoria di Sean Marks, a partire dal peccato originale della trade del 2013, meno, però, sulla recente inversione di rotta;
- come andrà avanti #thestrategy, visto che, nel frattempo, le grandi manovre di mercato sono iniziate e finite (#all-around.net ci tornerà con uno speciale) e a Brooklyn, come consuetudine di Sean Marks, tutti i piani sono rimasti avvolti in una spessa cortina di mistero per esitare, poi, in un solo movimento e di modesta rilevanza.
In questo proveremo a cimentarci nel gennaio di #stillawake, dopo un rapido excursus sulla cronaca, che ha tanto da raccontare, soprattutto al di là dei risultati sul campo…
La nuova puntata di “THE BRIGDE” per i Brooklyn Nets
La cronaca. Se qualcuno paventava la dissoluzione della magia bianconera con i brindisi di capodanno, i Nets hanno fugato ogni dubbio sul nascere, infilando subito una striscia vincente di tre partite (Pelicans, Grizzlies, Bulls) contro avversarie sì, non trascendentali, ma mostrando sempre piglio autoritario e capacità di gestire i finali, con un Russell in progressiva muta da immaturo giovanotto di belle speranze a leader entusiasmante….Dopo le disfatte di Boston, ove, ai soliti assenti, si aggiunsero Carroll e Harris e davvero sarebbe stato arduo sperare in qualcosa di differente, e Toronto, il cammino vincente riprende più spedito ed entusiasmante di prima, culminando nella duplice vittoria in trasferta a Houston ed Orlando, le gare forse, più emozionanti ed emblematiche della stagione. Rimonta, aggiustamenti, resilienza, fiducia: i bianconeri vincono gare praticamente già perse, in quelli che, anche solo due mesi or sono, sarebbero stati finali già scritti, con Dinwiddie e Russell giunti, ormai, su livelli di efficienza offensiva e chimica inimmaginabili e dicendo al resto del mondo che questi Nets sono indomabili e che mai, contro di loro, una vittoria può essere data per scontata! Sacramento, di nuovo Orlando e, infine, i Knicks sanciscono il consolidamento dei bianconeri in zona playoff e (ove ancora ci fosse qualche dubbio a riguardo) la supremazia cittadina, finché, come fulmine a ciel sereno, ecco l’ennesima tegola: infortunio al pollice per Dinwiddie e necessità di intervento chirurgico. Qualche settimana di prognosi: una vita, in NBA!
Da qui, iniziano le sofferenze. La squadra intensifica gli sforzi difensivi, ma il peso dell’assenza combinata di Levert e Dinwiddie è davvero troppo anche per l’orgoglio dei ragazzi bianconeri, né può essere compensato dalle volenterose prove del two-way Teo Pinson o di Mitch Creek (firmato con decadale per rimpinguare una rosa ormai decimata). Il gioco offensivo viene a mancare di varietà e, soprattutto, della dimensione della profondità, né il solo D’Angelo Russell può bastare a caricarsi il peso dell’attacco sulle sue pur solidissime spalle (su di lui torneremo a parte). Inizia una striscia 1-4, un tunnel di cui si inizia a vedere la fine solo nelle ore in cui scriviamo, con la notizia, rilanciata sui social dal guru Wojnarowski, del rientro di Caris Levert e, prima di lui, di Allen Crabbe. Poi, sul campo, con una delle più belle prove della stagione, al Barclays contro uno squadrone come Denver, demolito a furia di difesa e contropiede, dopo i giusti correttivi, nei due quarti centrali della gara, con la panchina di nuovo e nonostante tutto in grande spolvero ed un Carroll che, se in ottica-mercato rappresenta una pedina di scambio ideale, sul campo si sta dimostrando, ora più che mai, un’assicurazione sulla vita per la corsa play-off e per ben figurare nella eventuale offseason.
Il mercato: the day after. E, infatti, Marks si muove poco, pochissimo, e solo allo scadere della deadline, quasi nel timore di sfasciare il giocattolo, la chimica, l’entusiasmo, la fiducia. Tanto più alla luce proprio del rientro di Levert e dell’esplosione di Carroll (con Napier, Crabbe Hollis-Jefferson e Davis, una signora panchina, oppure no?). Ecco che i Nets sono rimasti a bordo campo, tenendosi a debita distanza dalla tempesta e dalla ridda di rumors che hanno, altrove, rischiato di crepare spogliatoi. Quindi, hanno firmato Gregg Monroe per spiccioli, tirandosi dietro anche la seconda scelta dei Bucks per il 2021.
Fonti autorevoli danno per sfumato per un soffio lo scambio che avrebbe portato Crabbe a Memphis in cambio di Temple e JaMichael Green, il che avrebbe posto il mercato dei Nets sotto una luce molto differente, ma tant’è: non tutte le ciambelle riescono col buco.
Tagliato Kenneth Faried, giustamente lasciato libero di cercare fortuna altrove, stanti Allen e Davis nel ruolo, non sembra esserci granché futuro in bianconero per Monroe, cui Creek ha dovuto cedere l’ultimo spot. Le prossime ore ci diranno se verrà, a sua volta, rilasciato e come verrà colmata la rosa: Marks è silenzioso, mai inattivo!
Risulta, tuttavia, lampante che Marks non deflette di un grado dalla sua strategia: all-in sulla crescita dei talenti home-made e sulla FA a luglio. Del resto, risultati alla mano, come dargli torto? Chi vince ha sempre ragione, recita un vecchio adagio sportivo, tuttavia i Nets hanno una evidentissima lacuna in un ruolo ben preciso, ove, tra infortuni e penuria tecnica, si sono alternati, con alterne fortune ma, per lo più, con risultati rivedibili, Dudley, Hollis-Jefferson, Graham, a tratti Kurucs e Carroll. Qualcuno avrebbe potuto aspettarsi di più, ma la squadra ha fiducia e sta crescendo da dentro, l’aggiunta di potenziale dall’esterno pare rimandata, per ora.
Oltre il parquet. La cronaca di gennaio, però, è stata soprattutto altro. La sua narrazione è un intreccio di emozioni forti che corrono su due piani paralleli: lo stupore della bellezza e della eleganza, perfino, di questa squadra quando scende in campo, si è intrecciata quotidianamente con l’esaltazione dei singoli, la lettura dei loro successi sottolineati dalle statistiche, la crescente speranza di vederli, finalmente, all’ASG, premiati per i meriti individuali e, insieme, per onorare la canotta, dopo anni di vituperio e assenza. È ancora gennaio quando i Nets pareggiano le 28 vittorie conseguite in tutta la stagione scorsa, quando Harris figura tra i primi tre tiratori dall’arco, stabilmente, e nell’ultraspecialistica del catch & shoot, quando D’Angelo Russell infila una serie di partite da 20 o più punti praticamente interminabile, raggiungendo lo zenit stagionale e, forse della carriera, con i 40, decisivi punti di Orlando: player of the week insieme con Harden, è sulla bocca di tutti. L’attesa per le convocazioni all’ASG diviene palpabile e i ragazzi sostengono le candidature dei compagni, in un afflato unitario e cameratesco invidiabile. E i risultati non tardano ad arrivare: prima Allen e Kurucs strameritatamente al rising stars, poi Russell alla partita delle stelle (sia pure come sostituto dello sfortunato Oladipo), quindi Harris al three point contest, per un totale di ben quattro rappresentanti bianconeri, superiore a quella di qualunque altra squadra!
I Nets, quelli senza scelte dal 2013. I Nets, quelli che non avevano abbastanza talento…
Il gioco. Detto della strategia, immutata, e della politica dei piccoli passi sul mercato, dobbiamo ancora affrontare il primo punto, il più intrigante e complesso: com’è possibile che, dopo l’infortunio di LeVert (fin lì top scorer di squadra!), quando il record di squadra era 6-7, dopo un assestamento complicatissimo, costato una serie di 8 sconfitte consecutive, alcune delle quali sanguinose, mostrando le lacune di sempre (gestione discutibile delle rotazioni, difficoltà nella tenuta difensiva, soprattutto incapacità a gestire i finali di partita), i Nets abbiano improvvisamente cambiato volto, divenendo la squadra più in forma della Lega, la più ostica, la più continua nei risultati? Come si fa a passare da un 8-18 nelle prime 26 a un 20-6 in una striscia di altrettante, successive partite in assenza di quello che, fin lì, si era dimostrato il migliore, il più prossimo allo status di stella? Davvero è difficile trovare una risposta univoca, anche perché, probabilmente, non c’è. Non come, ad un cronista, piacerebbe formularla, vantando la rivelazione del segreto tattico, della svolta nel gioco.
I Nets hanno cambiato il trend dei propri risultati, non snaturato la propria vocazione alla motion offense: hanno, semplicemente, trovato il modo di sublimarne l’efficacia registrando un clamoroso e contemporaneo salto di qualità da parte dei singoli, esattamente come detto nel numero precedente di #stillawake. Del boom di Kurucs (al momento, invero, in netta flessione: ci sta, nessun dramma, gli skills sono tutti lì, immutati) e di Harris (le ultime gare, alcune delle quali da lui saltate, hanno sottolineato ulteriormente quanto fondamentale sia questo ragazzo per il rendimento della squadra) abbiamo parlato ampiamente nel numero di dicembre. Entrambi sono stati premiati con la convocazione a partecipare alla kermesse di Charlotte. Qualcosa di nuovo, di ulteriore, rispetto al già sorprendente dicembre, tuttavia, c’è. Proviamo a focalizzare alcuni aspetti.
Coach e GM avevano chiesto alla squadra, semplicemente, the next step up, il salto di qualità ulteriore da parte dei singoli giocatori, nella convinzione che il talento ci fosse, che l’unità d’intenti, la coesione del gruppo, la fiducia nei propri mezzi e negli schemi di gioco e il loro progressivo affinamento avrebbero lavorato per i Nets, dando frutti. Perché i fatti dessero loro ragione avrebbero dovuto materializzarsi tutte insieme e, clamorosamente, questo è accaduto, al di là di ogni più rosea aspettativa. Così, semplicemente.
La zona. Ci sono stati accorgimenti tattici importanti, certo, un repentino cambio di marcia nella gestione delle rotazioni, che si è intersecato e alimentato scambievolmente con la crescente chimica, ad esempio, del two-headed snake Russell-Dinwiddie (finché è durato), prima semplicemente alternati nella classica staffetta a la Mazzola-Rivera, poi via via sempre più complici sul parquet, letteralmente mandando in tilt le difese alternandosi at the point. C’è stato il passo avanti computo da Napier, forse non eccelso come metronomo e troppo perimetrale, ma autore di prove balistiche e giocate spettacolari e comunque assicurando tanti punti off the bench; c’è stato il rientro di Rondae, via via sempre meno anonimo e sempre più protagonista sui due lati del campo. E, soprattutto, DeMarre Carroll: il veterano ha cessato di essere un semplice punto di riferimento per lo spogliatoio, si è corciato le maniche ed ha, di punto in bianco, iniziato a sfoderate prestazioni impressionanti uscendo dal pino, culminate nella prova contro i Nuggets, giocata da vero uomo-chiave: doppia doppia condita da sei assist e, soprattutto, una difesa che ha girato la partita come un calzino.
Ora si aspetta il rientro di LeVert quasi come l’avvento del Messia: banale dirlo, ma è lui il rinforzo alla deadline. E che rinforzo! Ma, intanto, la fiducia nel miracolo è tale che ci si aspetta anche il prossimo step-up da una panchina che, ormai, più che un pino, pare l’albero dei miracoli, fonte inesauribile di energia, il mistero gaudioso dei Nets di coach Kenny.
Coach Kenny. E diamo a Cesare quel che è di Cesare… non mi rimangio le critiche che gli ho mosso il primo anno, né le difese prese di lui la scorsa stagione, ma come coach non aveva mai convinto nessuno. Tranne Marks. Adesso si levano voci che lo vorrebbero perfino candidato a COY. Non esageriamo… ma allenatore dell’anno, quello sì. Sono concetti diversi. Come coach, è cresciuto insieme ai suoi ragazzi, ha sbagliato, si è corretto, ha studiato, si è migliorato. Adesso ha un profilo ben definito. Ma, soprattutto, ha preso un gruppo di scappati di casa, reietti, sottovalutati, e ci ha lavorato su, protetto da un ambiente la cui strategia era proprio fatta con un impasto di pazienza, lavoro e attesa. Si è seduto sulla riva del fiume, incurante, ed ora intravede il cadavere passare. Finalmente è arrivata la corretta amministrazione del tandem Dlo-SD, sono arrivati i caratteri distintivi, i suoi marchi di fabbrica, come la difesa a zona, tanto eccezionale sugli altri 29 parquet, quanto frequente, quasi caratterizzante, quando sono in campo i Brooklyn Nets. E poi c’è la gestione, da molti criticata anche ferocemente, del bizzoso ed eccentrico talento di Russell, portata inflessibilmente avanti con la durezza di un allenatore d’altri tempi, quel Russell a cui non si concede mezza distrazione pena l’immediato panchinamento a costo di compromettere una partita, quel Russell che, però, a forza di sberle, sta maturando, eccome! E, ancora contro tutto e tutti, c’è stato (e, siamo certi, ancora ci sarà) il saggio dosaggio delle energie, lasciando riposare i migliori quando la partita la si può perdere, come a Milwaukee o contro i Celtics: realpolitick tanto razionale quanto impopolare da cui si è sempre usciti vincenti, la partita dopo. Non a caso.
Se arriviamo anche a capire che Graham è un passabile 3&D e non uno stretch 4, probabilmente, abbiamo fatto bingo, Kenny: chapeau!
La grande bellezza. La gioventù, la gioia di giocare insieme, la fiducia che aumenta partita dopo partita nutrendosi di successi, in un loop virtuoso e senza fine, la voglia di divertirsi senza darla mai vinta a nessuno, le abbiamo viste montare notte dopo notte, in un crescendo rossiniano entusiasmante e che, a tratti, ci ha lasciati a bocca aperta, senza parole, vinti dall’emozione della straordinaria bellezza del gioco, dall’inusitata efficacia della manovra, dall’inusuale naturalezza con la quale, concluso il ciclo vitale di 24 secondi, la palla lasciava le mani morbide dei bianconeri per morire dolcemente in fondo alla retina. Abbiamo visto il linguaggio del corpo, testa alta e costruzione paziente dei propri schemi, fiero tanto sul +10, quanto sul -21, trasmettere anche al di qua dello schermo la sensazione di potercela fare sempre e tutto questo, che si racchiude nella definizione di emozioni, non lo macchieremo con la prosa sofisticata e materialista delle statistiche, perché endorfine e adrenalina non possono, anzi, di più, non devono essere inscatolate in un processo algoritmico. Vanno semplicemente godute e, se ci riusciamo, trasmesse a chi ci legge: sono esse la chiave dei successi di questa giovane realtà, fino a ieri derisa e senza prospettive e oggi, al risveglio dalla lunga notte dei risultati, scopertasi prima donna appetibile a qualunque giocatore e desiderabile per qualunque palato.
Ice in his veins! Chiudiamo con lui dopo aver sempre parlato di lui, facendo in modo che il suo nome attraversasse ogni capitolo di questo mensile come un filo rosso, perché Russell è sulla strada che conduce ad essere l’alpha e l’omega di questa squadra, il top scorer del primo quarto e il clutch nell’ultimo, l’anima e il leader, il presente e il futuro, la certezza e la speranza.
Ma come si passa, nel giro di due mesi, dall’essere costantemente nell’occhio del ciclone, oggetto di critiche, regolarmente tenuto fuori nei minuti decisivi, indicato come vittima sacrificale per il mercato, come scommessa persa, e anche, inconsciamente, come la causa della partenza della bandiera Lopez e della 27esima scelta poi tramutata in oro (Kuzma) dai beneficiari…Come si salta, in un amen, da tutto questo a divenire l’idolo indiscusso del popolo bianconero, il miglior talento che si ricordi dai tempi del trasferimento a Brooklyn, il leader riconosciuto, l’uomo a cui mettere la palla in mano con fiducia, il candidato MIP (si, ci sta tutto!), il top scorer, un uomo da 23+7 a partita e, infine, come per metamorfosi naturale, una all-star?
Raramente si è assistito ad un salto di qualità così rapido e, ove questo sia accaduto, nel corso degli ultimi anni, molto spesso è successo qui, al di qua del ponte. Ma un esempio occorso ad un talento così cristallino e, se vogliamo, eccentrico, quello no, non ce lo ricordiamo.
A mio modesto parere, l’esplosione di D’Angelo Russell, fragorosa e amplificata, come sempre succede ai tempi dello smartphone, dai social, con inevitabile codazzo di rimpianti sulla sponda losangelina ed esaltazioni oltre i confini della razionalità su quella newyorchese, ha un nome, un cognome ed un luogo di nascita: Kenny–Atkinson–palleggio: è lo stesso coach ad aver spiegato, in occasione delle interviste seguite alla convocazione di D’Angelo all’ASG, ad aver raccontato come mai nessuno sia stato allenato tanto e con più caparbietà da uno staff tecnico, quanto Russell a Brooklyn. Né, a nostra memoria, mai un talento talnto limpidi e in cui si creda così profondamente, è stato tanto bistrattato per qualsiasi errore (a Boston perfino per non essere andato a rimbalzo difensivo!), al punto da mandarlo fuori e lasciarlo lì a guardare i compagni sbuffare e perdere. Ma, alla fine, i secondi con la palla in mano sono drasticamente diminuiti, le palle perse fioccano meno regolarmente, soprattutto quando conta e, soprattutto, senza snaturare le proprie peculiarità tanto atipiche, è salita di livello la lettura del gioco, infilando nel proprio arco frecce nuove. Stiamo parlando di un giocatore che ha messo a referto tre partite con almeno 30 punti, 7 assist e 0 turnover in pochi giorni, quando altri ci impiegano una carriera. Stiamo parlando di uno che ha totalizzato più di 20 punti in tutte le ultime credo 13 partite di gennaio, salvo un paio. Di un leader riconosciuto cui i compagni danno la palla in totale fiducia e sono legati a doppio nodo (vedasi il sostegno via twitter di Dinwiddie alla sua candidatura all’ASG). E di un campione capace di parlare col la palla, blandirla, ammaestrarla, domarla fino a indirizzarla dove vuole. Insisto: la mano di Atkinson lo ha marchiato come il capo pregiato di una mandria e lui ha saputo, quando è stato necessario, anche cambiare il suo stile di gioco restando sé stesso, raffinando fino alla maniacalità il suo caratteristico floater dalla media, quel tiro dal mid range che, per le idee del coach, suona come una bestemmia, un peccato che Kenny ha perdonato e reso lecito solo a lui (lo ha detto esplicitamente). E, infine, quando ha rischiato di annegare specchiandosi nelle acque del lago, ha sollevato la palla dal palleggio e iniziato a infilare triple come mai prima d’ora in quattro anni di professionismo. Forse è proprio lui, mentre esplodeva, ad aver presentato il più significativo cambiamento di stile rispetto a due mesi fa. Certo, non sarà mai lo stiletto razzente che attacca il ferro bruciando il diretto marcatore, ma quando la squadra ha avuto più bisogno di espandere i propri orizzonti offensivi, ha improvvisamente alzato di una spanna il livello del tiro dal palleggio, senza, per questo, penalizzare la sua pericolosità dal mid range: il 35,9% dall’arco, con il 35,4% delle sue triple non assistite, fino al fatidico giorno della svolta (lo Juventus day del 7 dicembre); rispettivamente il 39,8%, esattamente il 50% delle quali costruite direttamente dal palleggio, da allora in poi! Un’impennata impressionante che ha costretto le difese a raddoppiare le attenzioni aprendo, però, così campo al bloccante e facilitando il pick & roll. Favoloso. E, insisto, appello/hashtag a Marks: #rifirmalo!
E, adesso, volata finale fino a metà febbraio, poi patatine e birra per gustarci l’ASG più coinvolgente degli ultimi anni!