Shenzhen, 9 settembre. Era la disperata partita del dentro o fuori per il Brasile, ma l’avversario era dei peggiori e, alla fine, dopo aver sorpreso tutti nella prima fase, i sudamericani tornano a casa per differenza punti. Procede spedita, sia pure sempre in penombra, la marcia di Walker e compagni, ma con la sensazione che la salita inizi adesso e la pendenza sia piuttosto dura…
Hanno iniziato bene, gli statunitensi, arrivando a doppiare il Brasile in un amen, grazie ad un esplosivo Mitchell, il cui compito sarà, spesso, quello di creare il vantaggio sulla difesa bruciando il proprio marcatore e costruendo opportunità per i compagni (soli 6 punti, ma ben 7 assist per lui), e grazie ad un’attenta difesa a uomo, con il lungo (Turner, straordinario MVP con 14+8 ed una grande difesa) schierato in contenimento, col vantaggio di intimidire la penetrazione e anticipare a rimbalzo, favorendo la transizione. (14-7). Poi però la partita cambia con le prime rotazioni, perché il buon vecchio Varejao (14+5 e assist) porta chili e fosforo al Brasile e vince la sfida con il subentrante Lopez: blocchi sopraffini, p&r, alto-basso, mentre gli USA non trovano il riferimento in area e forzano da 3. Ne vien fuori una sfida equilibrata (21-18 al 10′).
Ha idee, il Brasile, nonostante l’espulsione di un nervosissimo Petrocic, eseguendo un paio di finti p&r che generano mismatch laterale e spazio per aggredire il ferro, nonché un paio di triple aperte che impattano la partita (33-33 al 16′), e a nulla vale la scelta dello smallball da parte di Popovich: il Brasile se ne approfitta sotto canestro. Tuttavia, fuori Varejao e dentro di nuovo Walker, si ha la sensazione che gli USA riprendano il controllo, arrivando a toccare il +8. Kemba palla in mano, con 4 piccoli intorno ad aprire il campo, significa andare al ferro o eseguire il classico arresto e tiro infallibile. Il Brasile tiene il campo in modo encomiabile grazie anche alla prova balistica di Benite (già 15 con 3/4 dall’arco, 21 a fine match) e si va al riposo su un giustamente incerto 43-39.
Al rientro è sfida nella sfida tra Turner e Varejao: dei due lunghi i primi punti della ripresa. Gli USA scelgono di collassare in area sulla penetrazione, il Brasile continua a raddoppiare sul portatore e c’è una fase di caos in campo con tanti, troppi errori forzati dalle difese, che salgono di intensità. In particolare quella americana, però, mette il suo sigillo sulla partita, ancora una volta: Brown, Mitchell e Smart fanno valere le mani rapide e rubano palla, da lì si comincia a correre e non c’è scampo per nessuno. Gli USA toccano la doppia cifra e quasi non la molleranno più, anche perché la zona brasiliana risulta troppo statica e poco reattiva e Smart infila un buzzer pazzesco sulla sirena dell’ultimo mini-intervallo(67-56).
A questo punto, saranno la difesa disegnata da Popovich e lo smallball a decidere e chiudere il match, aggredendo e collassando in area. Con cinque piccoli in campo, i ragazzi del Pop possono portare palla con chiunque, accelerando la transizione e scarse sono le chance di contenerla, nonostante l’insistenza a zona da parte dei carioca. Dopo 4′ nell’ultimo parziale, gli USA toccano il massimo vantaggio sul +21, mandando gara in ghiaccio e qualificazione in archivio. Si chiude sul 89-73.
C’è la Francia di Gobert ad attendere, minacciosa, ai quarti e sarà una prova ben più ardua per i controversi americani, avanti di squadra e difesa: un’inusuale e inedita nazionale democratica e votata al sacrificio, disposta a lottare ma, Walker a parte (16+5 e sempre sopra le righe, nonostante qualche acciacco ne abbia ridotto il minutaggio), priva di stelle fulgide e mai manifestamente superiore. Ci sarà da divertirsi.
Finale amaro per il Brasile, che aveva sorpreso con la Grecia ed ha, invece, clamorosamente ciccato proprio la partita che contava. Pretendere di sconfiggere il destino, proprio oggi, sarebbe stato, obiettivamente, davvero troppo.