Cinque scudetti nel calcio. Quattordici nel calcio a 5. Quattro nel baseball. Cinque nel basket. Uno nella pallavolo. Tre nella pallanuoto. Sette nel cricket maschile e quattro in quello femminile. Ben trentuno nell’hockey su prato tra uomini e donne. Più cinque nel rugby maschile. Ah, e ben ventuno nel Basket in carrozzina.
Questo è il quadro delle vittorie delle squadre di Roma città negli sport di squadra olimpici (tranne il calcio a 5), e che necessitano di impianti adeguati.
Di tutti questi titoli negli ultimi 10 anni ne sono arrivati 6: nel 2011 dall’hockey su prato con Libertas San Saba femminile e Roma HC maschile, nel 2013 col Capannelle nel cricket maschile, nel 2014 con la Lazio calcio a5 femminile nel 2015 con la Roma Cricket Club femminile e nel 2017 con l’Olimpus Roma nel calcio femminile.
Gli altri sport sono spariti.
L’ultima grande infornata di successi romani, da Capitale anche dello sport risale al triennio dal 1999-01: pallanuoto, rugby, pallavolo e calcio a5 maschile oltre a quelli di SS Lazio ed AS Roma nel calcio.
Potenza del Giubileo si potrebbe dire.
Efficienza e grande disponibilità di impianti sarebbe più corretto dire.
Perché in questi 20 anni la situazione è così peggiorata che nell’ultima indagine del Campidoglio sui 169 impianti sportivi romani, non uno è risultato a norma.
Le conseguenze? Presto detto: molte squadre sono emigrate nei paesi della provincia – ed anche oltre – per trovare un impianto adatto: Colleferro, Genzano, Ferentino, Cisterna di Latina, Monterotondo solo per citarne alcuni.
Oggi, a distanza di venti anni dal Giubileo dello sport romano, c’è un solo impianto per lo sport di squadra di alto livello: il PalaEur. Il cui affitto è di circa 400mila euro l’anno per il solo impianto, glissando poi su alcuni servizi offerti dal gestore che ne aumentano il costo.
Questo prima del lockdown adesso chissà…Il Palazzetto dello sport di Piazza Apollodoro al Flaminio è chiuso da due anni e potrebbe riaprire non prima di altri 18 mesi se tutto andrà bene, la gara di aggiudicazione pubblica parte proprio in questi giorni.
Nel frattempo in città sono nati, quasi spontaneamente, degli impianti per quegli sport la cui pratica anche ad alto livello non richiede, per ora…Grandi capienze: calcio a5, pallavolo di A2, basket dalla serie B in giù.
La questione piscine sembra la migliore con quella del Foro Italico (risalenti al ventennio, e che qualcuno avrebbe voluto abbattere nel dopoguerra in quanto simbolo del Fascio…), quelle di alcune società private, alcune comunali ed il Polo Natatorio di Ostia della Federazione Italiana Nuoto, in grado di assorbire il minimo sindacale delle richieste delle tante formazioni capitoline femminili e maschili.
Proprio il Polo Natatorio di Ostia è l’ultimo, vero grande impianto sportivo romano realizzato – ma ci son voluti i Mondiali di Nuoto del 2009 e consegnati alla popolazione dopo le immancabili indagini per denunce su irregolarità varie – perché il precedente è stato il gioiello del Centro Olimpico Matteo Pellicone al Lido di Ostia (ex PalaFijlkam) così ribattezzato in onore del Presidente della Federazione Lotta, Judo, Karate ed Arti Marziali ma che ebbe un iter complesso: s’iniziò la costruzione nel 1986, la prima parte fu consegnata tra il ’90-’92 per chiudersi poi definitivamente con la consegna del terzo lotto nel 2012!!
Ma il dettaglio ancora più bizzarro è che tutto questo è accaduto a Roma nonostante le due squadre di due degli sport olimpici più importanti – pallavolo e pallacanestro – abbiano avuto due presidenti costruttori, anche contemporaneamente, che non hanno mai trovato modo di realizzare un impianto “intermedio” tra PalaEur e Palazzetto dello sport, cioè una via di mezzo da 5/6 mila posti, a distanza ad oggi di 60 anni precisi dalle Olimpiadi Roma ’60!!
Loro, i due presidenti in questione, Claudio Toti e Massimo Mezzaroma dicono che non “hanno avuto modo di farlo” rimandando la questione a responsabilità di altri.
Ma aldilà del fatto che quanto dichiarato sia più o meno credibile, resta comunque un certo imbarazzo nel pensare che in una città come Roma, dominata nel dopoguerra sia politicamente che socialmente dai costruttori, sia stato così difficile (per non dire impossibile), reperire anche nelle periferie a ridosso del GRA, qualche centinaia di metri quadrati per tirare su una strutturina polivalente al chiuso per appunto 5/6 mila posti.
Fare, per dire, una sorta di replica del Mediolanum Forum di Assago,

Ultimo impianto sorto ad Ostia, il PalaFijlkam, nel 2012
inaugurato nel ’90 ed ubicato subito fuori il comprensorio urbano di Milano e campo da gioco attuale dell’Olimpia Milano (che ha comunque una sua sede storica dove si allena).
Quindi si potrebbe scrivere che la fredda elencazione di quanto riportato metterebbe sotto la lente d’ingrandimento una circostanza difficilmente negabile e, chissà perché, poco approfondita sui media locali in tutti questi: la città di Roma ama lo sport?
Ma come – si potrebbe giustamente obiettare – e la Maratona di Roma? E la Race for the Cure? E la Gran Fondo ciclistica di Roma? Non sono avvenimenti di rilievo anche mondiale che attirano partecipanti di tutto il mondo? E gli Internazionali di tennis al Foro Italico? Il Golden Gala?
Innegabilmente queste manifestazioni hanno dato lustro e corpo alle ambizioni della Città Eterna di volersi mettere al centro delle attenzioni non più solo storico-culturali bensì anche sotto l’aspetto sportivo ma, eccezion fatta per la manifestazione tennistica (con una struttura fisica del campo centrale comunque doverosamente rimessa a posto nel 2010 per esigenze di vetustà dell’impianto…ma priva di tetto), le altre sono tutte gare che si svolgono completamente all’aperto ed in un sol giorno.
Al massimo in un fine settimana, come nel caso della recente Gran Fondo ciclistica (prima edizione nel 2013), e tra l’altro dovendo rispettare parametri rigidi per non infastidire troppo gli abitanti dell’Urbe e zone limitrofe, proprietari di auto che mal sopportano anche una sola domenica all’anno senza il loro principale mezzo di locomozione!?!?
E facendo inoltre molta attenzione al percorso urbano, con strade limitate al passaggio della manifestazione e dei cicloamatori al punto che il via della manifestazione viene dato, da almeno quattro anni a questa parte, alle 7:00 di mattina dopo le vibrate e vibranti proteste dei cittadini, bloccati per…Forse quattro ore di domenica in un sol giorno all’anno?
E non vogliamo nemmeno addentrarci nella lunga, incredibile (e per certi versi anche farsesca), vicenda del nuovo stadio dell’AS Roma calcio, giunta oramai in una fase di stallo, ma che evidenzia ulteriormente come Roma e la sua classe politico-dirigenziale non abbia mai messo in primo piano lo sport, con tutti gli annessi e connessi.
Per questa ragione, forse, le obiezioni che abbiamo già riportato di Massimo Mezzaroma ma soprattutto di Claudio Toti perché su All-Around.net parliamo di pallacanestro, appaiono adeguate o perlomeno consone al clima che si respira, diremmo da sempre, nella Città Eterna: le manifestazioni sportive non sono foriere di business e ricavo immediato perché recano con se un’elevato tasso di alea, in gran parte dovuto al risultato finale della competizione alla quale si partecipa; i palazzi, le strade, le case od i centri commerciali sono molto più remunerative e spesso anche più del quadruplo, specialmente poi se gli oneri di urbanizzazione sono a carico del Comune!
Pertanto, senza addentrarci troppo in disquisizioni di colore politico-amministrative che ci porterebbe lontano dal discorso specifico, anche perché non ci sembra che cambiando i fattori nell’operazione della somma politica alla guida della Città negli ultimi 50 anni sia cambiato il totale, dando però atto a quest’ultima consiliatura quantomeno d’aver iniziato l’opera di messa a norma di tutti gli impianti (tra difficoltà ed inefficienze diffuse), è veramente difficile non trovare delle lucide e conclamate ragioni se Claudio Toti, da un ventennio a capo della Virtus Roma, non sia riuscito a tirare su un impianto polivalente dalla capienza media.
Se la città nel suo insieme e coloro che da sempre ne tengono in mano le redini economiche non riconoscono all’avvenimento professionistico sportivo un positivo volano economico, non si pretende “priorità”, inutile prendersela od arrabbiarsi se ad oggi la Casa della Virtus sia soltanto un sogno od un plastico esibito anni fa ed impolverato finito chissà dove nei magazzini delle società della famiglia Toti!
Inutile dunque abbaiare alla luna se la mentalità, la visione di coloro che decidono del futuro anche urbanistico di questa incredibile ed incantevole città non realizza che un impianto di media dimensione, moderno, come quelli che se ne costruiscono in tutto il mondo, possa generare anche altre ricadute economiche da altri avvenimenti non solo sportivi nella sua gestione.
Rimanendo però nell’ambito cestistico, chi Vi scrive non ha mai, mai lesinato critiche alla proprietà della Virtus Roma, facendone notare le incongruenze, le distonie ed anche le approssimazioni con le quali si sia gestita la principale squadra di pallacanestro della Città nell’ambito professionistico dall’avvento dell’Ing. Claudio Toti, coadiuvato in questo da due stagioni anche dal giovane figlio Alessandro che non sembra aver invertito la rotta.
Ma sinceramente, e con pari sereno distacco, proprio perché questa fase della storia della Virtus Roma rischia di diventare la più delicata di sempre, una fase che potrebbe portarla addirittura alla sua scomparsa, il sottoscritto non se la sente di “pretendere” nulla da un proprietario che per cultura, per vocazione, per indole e forse anche per giusto e legittimo calcolo si sia mosso in questi anni in perfetta, totale sintonia con il quadro ambientale cittadino nel quale è nato ed appartiene saldamente.
Resta un ultimo capitolo. I tifosi o gli appassionati.

La Virtus Roma vincente in A2 nel 2019 by Masi da FB
E’ la parte tendenzialmente più positiva di tutto questo tema, sempre sospesi o se preferite tormentati tra il “dovere” di sostenere un vessillo ed una maglia ed il dover constatare amaramente che la dirigenza della Virtus Roma dovrebbe, anche è più che lecitamente, adoperarsi per far vivere la loro passione al meglio guadagnandoci sopra, non siano in grado di farlo per le motivazioni che a questo punto appaiono preminenti.
Eppure spesso, se non quasi sempre, la proprietà di questa Virtus Roma ha fatto leva sulla mozione degli affetti, sui sentimenti e sul senso di appartenenza dei tifosi romani alla propria squadra ed alla Città per attrarli ad acquistare biglietti per le gare e favorire l’acquisto di materiali di merchandising della squadra.
Tra di loro oggi serpeggia un logico malessere diviso tra la consapevolezza di questi 20 anni di zero vittorie sul campo (se non la promozione del 2019, dalla serie A2 alla LBA ma vissuta tra indicibili sofferenze sino all’ultimo match), che meriterebbe un deciso cambio di passo e di programmazione per provarci in futuro, ma anche il rischio di vedere la Virtus Roma scomparire e di non vederla in campo in LBA per almeno un lungo periodo di tempo, legato al fallimento della squadra come potrebbe purtroppo accadere.
Ma la tifoseria della Virtus Roma non è composta ovviamente solo di cherubini e timide educande, deluse dai risultati della propria squadra del cuore. C’è anche una fetta in essa, di solito anche quella più aggressiva, che fa finta d’ignorare il sentiment che si respira da sempre in città e quindi preferisce, in maniera più che lecita, infilare la testa nella sabbia come gli struzzi, prigionieri forse di una speranza e di una passione che però ad oggi non promette niente di nuovo.
Rivolgendomi quindi alla parte meno oltranzista, alla maggioranza, a quella parte più morigerata che ama la pallacanestro e che vive l’avvenimento sportivo come un evento di gioia e di condivisione ma fine a se stessa, mi permetto d’indicare una sola via: quella della consapevolezza, dell’accettazione di questo stato di cose al solo fine di evitare eventuali stati di depressione e delusione.
La Città di Roma è ricca di bellezze storico-artistiche dal valore incommensurabile e la sua incredibile popolazione alla quale appartengo da oltre 35 anni ha un cuore enorme, socievole, inclusivo, amorevole ma lo sport, lo sport professionistico, non fa proprio per Lei.

Gli stendardi delle vittorie della Virtus Roma presenti tempo fa al PalaEUR e che non si sa che fine abbiano fatto….
Lo dimostrano questi fatti e non le opinabili idee del sottoscritto, comunque sempre pronto a cambiarle nel caso in cui si desse la stura ad un nuovo inizio, un inizio che dia a Roma ed alla Sua gente la voglia di riempire gli spalti di un palazzetto dello sport possibilmente nuovo (al momento anche quello di Piazza Apollodoro andrebbe bene quando sarà disponibile), e partecipare attivamente alla rinascita, anche sportiva, di un territorio che merita ben altro che l’anonimato o, peggio ancora, l’irrilevanza nel basket professionistico sportivo.
Un territorio che vantava, almeno prima del COVID-19, ben 300 scuole basket all’interno del GRA e che potrebbe, questo sì a sindacabile parere del sottoscritto, sostenere anche due squadre di livello in LBA ammesso che qualcuno si renda conto di questo enorme potenziale!
Adesso il COVID-19 ha spazzato via tutto o rischia di farlo, augurandoci il contrario, ma non mancano esempi o manifestazioni che indicano quantomeno come e quanto Roma e la sua popolazione realmente ami il basket, come il successo del recente All Star Colosseum eLEAGUE dimostra.
Quindi, al netto di quanto ci evidenzia la cruda realtà culturale, politico-amministrativo della città di Roma che mette lo sport in secondo o terzo piano rispetto ad altro, esiste sempre un domani, un domani che possa mutare lo status quo, quando gli antenati di chi oggi l’abita questa città, insegnava al mondo il principio secondo cui MENS SANA IN CORPORE SANO!
Fabrizio Noto/FRED