Ed eccoci finalmente! Fine ottobre, squadre pronte ai nastri di partenza, e fra qualche giorno finalmente parte la stagione NBA. Andiamo a vedere squadra per squadra le novità, le prospettive, gli obiettivi… Già. Vi piacerebbe…
E invece siamo ancora qui, orfani del nostro giochino preferito, e senza nemmeno sapere per quanto. Per chi non associasse alla parola “lockout” nessun particolare significato nefasto, il prossimo paragrafo è l’occasione di fare rapidamente il punto della situazione. Per chi invece soffre su questo tema ormai da qualche mese, passare pure al prossimo.
[b]Perché il lockout?[/b]
La NBA è (come dice il nome) un’associazione, che raggruppa 30 società (le franchigie), e ha come scopo il “produrre” il campionato NBA. Per farlo si avvale di diverse categorie di maestranze, fra le quali la più nota (e retribuita) è quella dei giocatori, riuniti a loro volta nella loro associazione, la NBPA. Ai fini di erogare il servizio, queste due associazioni stipulano fra loro un contratto, che norma i rapporti fra di loro, come la durata dell’accordo stesso, le durate dei contratti dei giocatori, il salary cap, i minimi e i massimi per ogni tipologia di contratto, le assicurazioni, il dress code, e tante altre amenità. Ma soprattutto parla del BRI e della sua spartizione fra le due associazioni. Il BRI (Basketball Related Income) è la somma di tutti i soldi che arrivano nelle casse della lega, dovuti a contratti per i diritti televisivi nazionali e internazionali, diritti web, pubblicità, merchandising, parte degli incassi dei palazzetti, etc.
Il contratto appena scaduto assegnava ai giocatori il 57% di questo importo, e il 43% ai proprietari.
Peccato che, a causa di incassi totali in calo a causa della crisi, e all’aumento in questi anni dei costi, i proprietari hanno dichiarato che 22 franchigie su 30 hanno i conti in rosso, e quindi chiedono una diversa spartizione del BRI. I giocatori non sono d’accordo, e quindi i proprietari hanno provveduto ad indire il lockout, che non è quindi uno sciopero dei giocatori, ma una “serrata” dei proprietari.
Le due associazioni si preparavano a darsi battaglia già da oltre un anno, così nessuno è rimasto particolarmente stupito quando a luglio è stato proclamato il lockout. Da allora è stato un susseguirsi di riunioni tra Stern e Silver (suo vice) da una parte, e Hunter e Fisher per la NBPA. Dopo un primo periodo di richieste poco credibili (i giocatori volevano restare al 57% e i proprietari pure, ma a favore loro!) i giocatori sono scesi fino al 52,5%, mentre i proprietari hanno fatto sapere prima ufficiosamente in corridoio, e poi anche ufficialmente, di essere disposti a chiudere con un salomonico 50%. La distanza come si vede è ancora significativa, e il risultato è stato la cancellazione dei training camp, poi della preseason, e infine delle prime due settimane di RS.
Ad oggi appare molto difficile che si riesca a giocare prima del 2012, ma c’è ancora ottimismo sulla possibilità di disputare una stagione ridotta da gennaio, stile 1999.
[b]Chi ha ragione?[/b]
Come i più attenti avranno desunto dal titolo, io sto con i proprietari. Se fossimo in una situazione (tipo ad esempio quella che ha generato il lockout della NFL, da poco conclusosi) in cui i soldi sono tanti, più del previsto, e il problema è come spartirsi la torta per vedere quanto ognuno debba guadagnarci, potremmo stare per dei giorni a fare filosofia su quale parte (organizzazione e giocatori) sia più determinante per la riuscita finale, e in base a quello decidere come suddividere i guadagni. La situazione reale però non è questa: i proprietari non chiedono di guadagnare di più perché reputano di meritarselo, ma chiedono di non perderci. La NBA non è una Onlus, e nemmeno un organismo parastatale con lo scopo di organizzare un campionato nazionale: è una macchina da business, che prova a far soldi allestendo uno spettacolo; se ci perde, non si vede perché debba prendersi la briga di farlo. Il problema quindi non è etico, non è se i giocatori prendono tanto o poco in valore assoluto, o se si meritano quei soldi: semplicemente il giocattolino non sta in piedi dal punto di vista economico, e quindi o cambiano le condizioni, o si sospende. Da qui anche la maggior forza dei proprietari in questo lockout: se non parte la stagione i giocatori perdono dei soldi (i loro stipendi), mentre la maggior parte dei proprietari evita di avere delle perdite.
Se fossimo in italia, i giocatori potrebbero fare un obiezione: le franchigie hanno truccato i bilanci; in realtà i giocatori ci hanno anche provato a dirlo, ma non sono stati molto credibili. La procedura per indire il lockout infatti in America prevede che vengano messi a disposizione i libri contabili delle squadre: questo fa sì che possa esserci sempre qualche area grigia di dubbio, ma l’affidabilità dell’ordine di grandezza dei numeri non è in discussione.
Alla fine quindi la figura dei bamboccioni viziati la fanno i giocatori. Hanno provato a ingraziarsi il pubblico con campagne sui social networks dal titolo “let us play”, ma sono stati subissati di insulti. Alla fine, le vittime di questo lockout siamo noi che restiamo senza il nostro sport preferito, e i lavoratori dell’indotto NBA (parcheggiatori, gestori di negozi nelle arene, impiegati di staff delle franchigie), che rimangono senza lavoro. I proprietari come detto soffrono il giusto, mentre il problema dei giocatori, gente che da contratto come minimo porta a casa $ 600.000 l’anno, è che sulla seconda Porsche non possono avere gli interni in radica e pelle, ma solo in pelle. Siamo solidali fratelli, ma fino a un certo punto.
[b]Come non fanno niente loro…[/b]
Sempre per la rubrica “noi e loro”, in caso di serrata in italia, l’argomento si sarebbe esaurito subito con un “non si gioca finchè non trovano un accordo”. I commentatori più sagaci si sarebbero spinti fino ad un “governo ladro”, che ci sta sempre bene.
Da loro invece anche il fatto che da mesi non succeda assolutamente niente, è oggetto di un gran circo mediatico. Solo tre esempi per capire di cosa parlo.
1) Dave e il ditone. Dopo mesi di apatia verso il lockout, con dichiarazioni di Melo che ne parlava come di qualcosa che riguardasse altri, finalmente (?) i pezzi da 90 tra i giocatori scendono in campo, ovviamente senza nessun costrutto. Ecco allora Garnett che aizza i colleghi a non cedere per nessun motivo sotto il 53%, trasformando banali considerazioni di tipo economico in una gara di “cazzimma”. Utilità? E Wade, per non essere da meno, partecipa ad una riunione sventolando il ditone sotto il naso di Stern, chiamandolo provocatoriamente “Dave”, come credo nemmeno la moglie osi fare. Ragazzi, fate i bravi e tornate a giocare alla Wii, così magari si trova un accordo e parte ‘sta benedetta stagione!
2) Quel buontempone di Javalone. McGee, animato dal profondo senso civico e dal sentimento di lotta di classe, decide di partecipare ad una riunione con Stern e soci. Dopo il primo quarto d’ora comincia a faticare a restare seduto composto a sentir parlare di numeri, e decide di “darsi” anzitempo. All’uscita i giornalisti gli chiedono una dichiarazione, è lui ci stupisce con la profondità dei suoi concetti e con rivelazione esplosive: “Alcuni giocatori sono per tenere duro, mentre altri vorrebbero trovare un accordo e giocare”. Però! Che notiziona. I giornalisti ci azzuppano subito con grande entusiasmo, Fisher (che da mesi cerca di dipingere i giocatori come un fronte compatto) gli dà sostanzialmente del cerebroleso, i colleghi lo sfottono per l’incredibile prova di arguzia, e Javalone nostro si precipita a rimediare, dicendo che i soliti giornalisti in malafede hanno travisato le sue dichiarazioni cambiandone il senso. Bravo Javal, vai così. Solo un consiglio però: la prossima volta assicurati prima che i suddetti giornalisti non abbiano la registrazione audio della tua dichiarazione, così magari ti eviti una figura di niente mica da ridere …
3) Tanti auguri, Dave. E chiudiamo con il nostro eroico commissioner (che per altro oggi ha saltato per influenza l’ultimo incontro, e il suo vice si è lanciato in una gara di insulti con i rappresentanti dei giocatori davanti ai giornalisti: bravi tutti!), e con un aneddoto che ci dà la dimensione della distanza (poi ognuno giudichi se è un bene o un male) rispetto agli americani. Circa 2 settimane fa è stato il compleanno di Stern, caduto proprio nel giorno di un incontro per la trattativa. Bene, al termine della riunione, tesa e improduttiva come al solito, salta fuori la torta, buio, candeline, e tanti auguri al vecchio Dave. Idioti, ma semplicemente fantastici!
[b]Un uomo solo al comando[/b]
E vorrei chiudere questa rassegna di “tutto quanto fa lockout” col doveroso tributo al sapido ometto che occhieggia dalla foto di questo pezzo. Come sapete non seguo molto il basket italiano, e quindi tantomeno conosco i proprietari, o il loro operato. Quanto però fatto da Sabatini nella vicenda Kobe merita un tributo imperituro. Fate finta di non sapere niente sulla vicenda, di non aver seguito la cronaca della cosa sui giornali italiani, che mostrando la consueta padronanza sullo sport estero e non legato al calcio ci hanno raccontato la cosa come se non fosse una colossale farsa, ma per certi momenti l’hanno data addirittura per certa. Ascoltate solo cosa ha fatto quest’uomo, e unitevi a me nel tributo ad un genio assoluto.
La fredda cronaca.
Settembre 2011, il lockout dell’NBA spinge molti giocatori a cercare lavoro, anche temporaneo, in altri campionati. Turchia, Cina, Francia, perché non in Italia? E chi potrebbe essere attratto dal giocare in italia, se non un figlio di adozione, quel Kobe che in Italia ha vissuto la sua fanciullezza e mosso i primi passi cestistici, che parla un italiano fluente e apprezza le gioie della cucina nostrana?
E allora il nostro Sabatini esce con la bomba: Kobe alla Virtus Bologna! Trovato l’accordo per 40 giorni. La notizia è sulla bocca di tutti, l’entusiasmo è alle stelle. Poi, poco alla volta, cominciano a diventare noti alcuni particolari.
Prima di tutto è l’interessato, Bryant, che ci fa sapere che le probabilità che venga a giocare in italia sono del 50%. Cioè, o sì o no. Ne sappiamo quanto prima. Sabatini ci fa sapere che in realtà l’accordo non è proprio fatto, siamo al 95%, mancano solo alcuni dettagli tecnici. Ci parla di un appuntamento via web alle 2 di notte, preso tra lui e non si sa chi, per definire la cosa. Ci informa anche che ha aspettato tutta la notte senza che nessuno si palesasse. Ci fa sapere che della cifra su cui Kobe si sarebbe detto d’accordo (?), circa $ 600.000 a partita, lui poteva però metterne non più di $ 150.000. Il resto l’avrebbero messo dei non meglio precisati sponsor. Poi, mentre il suono delle sirene delle ambulanze cominciavano a sentirsi in sotto fondo, ha iniziato a parlarci della necessità, per massimizzare i ricavi, di cambiare il calendario del campionato di serie A per far giocare in quei 40gg alla Virtus più partite possibili, e solo contro squadre con palazzetti ad alta capienza e in città grandi. Il solo fatto che per un attimo la lega abbia pensato se accettare questa richiesta dà tristemente la dimensione del nostro campionato …
Poi fortunatamente prevale il buon senso, e la proposta indecente viene respinta. Allora si dà spazio alla fantasia: viene, ma solo per 6 partite, poi per una sola, poi solo per un’amichevole; mancava solo l’uno contro uno con Jerry Scotti, e poi avevamo sentito tutto.
Ma anche in questo scenario più vicino alla narrativa fantasy che alla cronaca, restava il problema dell’evidente disinteresse di Kobe per la cosa, e soprattutto di dove trovare i soldi per far stare in piedi il progetto. E qui Sabatini se ne esce con una di quelle cose che ci fanno allo stesso tempo essere fieri e vergognare di essere italiani. Quella capacità di essere geniali e strafottenti e di cavarsi d’impaccio con una battuta, come i personaggi del Decameron di Boccaccio (e insomma, l’avrò mica fatto per niente il liceo classico, no?!). Mancano i soldi? Facciamolo pagare anche alle altre società!
Semplicemente FAN-TA-STI-CO! Io ti do dei soldi per permettere a te di prendere un fenomeno, di riempire il tuo palazzetto, e magari anche avere il privilegio di farmi sotterrare da Kobe nello scontro diretto. Voglio la sua amicizia su Facebook!
Ricordo, fra le altre cose, che il tutto è stato fatto poco prima della chiusura della campagna abbonamenti: vuoi l’abbonamento per vedere Kobe (probabilmente) nel tuo palazzetto? Devi però confermarmelo PRIMA che io ti confermi che Bryant effettivamente venga giù…
Quando però tutta la bagarre di questa farsa stava iniziando a spegnersi, e il buon senso a riprendere il sopravvento, ecco il colpo di coda che solo i grandissimi sanno avere. Obama, presidente degli USA e appassionato di basket, si lascia incautamente (?) andare ad una dichiarazione non esattamente tagliente: “Speriamo che si trovi l’accordo e che il campionato possa partire al più presto”. Essendo lui un tifoso, e il presidente di quella nazione, non sembravano a prima vista parole particolarmente capziose, né sorprendenti.
E invece il Saba nostro lo prende come un fatto personale: il presidente rema contro e sfrutta la sua posizione per dissuadere Kobe a venire in italia. Ora, tralasciando solo per un attimo gli aspetti psichiatrici dell’elaborazione di un tale pensiero, è il seguito a lasciare basati. Sabatini scrive una lettera aperta a Obama, in cui lo “bacchetta” per l’intervento inopportuno. Siccome, lo capisco, potreste pensare che vi stia prendendo in giro, riporto di seguito il testo integrale del messaggio:
Egregio Signor Presidente,
Abbiamo un sogno: quello di vedere Kobe Bryant giocare nella nostra squadra, la Virtus Pallacanestro Bologna, città conosciuta in tutto il mondo come Basket City.
Condividiamo con Lei il desiderio che il lockout Nba finisca presto, ma nel frattempo ci conceda l’opportunità di veder giocare, almeno per una partita, il grande Kobe Bryant con la maglia bianconera in modo tale da farlo diventare parte della nostra storia.
Claudio Sabatini
Per la cronaca: al momento non è pervenuta notizia di una risposta da parte di Obama.
Inspiegabilmente.
Vae Victis
Carlo Torriani