E capitato a tutti, prima o poi, di vantarsi con gli amici e di raccontare episodi di un passato più o meno recente che abbiamo vissuto da (quasi) protagonisti, iniziando il tutto con un orgoglioso io cero!. Parlare con un appassionato di basket della sera del 6 novembre 1986 è proprio una di quelle occasioni, momenti in cui il sogno si trasforma in realtà, e si condivide con alcune migliaia di perfetti estranei un momento storico. Descrivere quanto accadde venti anni fa è semplice e nel contempo arduo, perché se da un lato il film della partita è bene impresso nella nostra memoria, dallaltro descrivere le sensazioni, le emozioni, la tensione di quella sera è cosa quanto mai difficile. Proveremo comunque a raccontare quanto accadde sul parquet e non solo, e se alla fine di questo pezzo vi sembrerà di sentire lurlo di 8mila tifosi in delirio, beh vorrà dire che la nostra missione potrà dirsi compiuta.
Una piccola premessa è necessaria: nella tarda primavera del 1986 lOlimpia Milano aveva conquistato il ventitreesimo scudetto della sua storia, ma la cronica mancanza di un successo europeo di rilievo (sfiorato tre anni prima nel sanguinoso derby di Grenoble contro lodiata Cantù) era diventata una vera spina nel fianco per la dirigenza (e per la tifoseria) milanese. Per conquistare quella Coppa dei Campioni vanamente inseguita negli ultimi 20 anni si decise di migliorare ulteriormente la qualità del roster: alla conferma del nucleo dei veterani si aggiunsero quindi Fausto Bargna, lungo dalla mano morbida e dalle movenze felpate, il giovane Ken Barlow, prima scelta NBA educato a Notre Dame ed il celeberrimo Bob McAdoo, fuoriclasse americano reduce dai trionfi con la casacca gialloviola dei Lakers.
Dopo un primo turno interlocutorio contro gli scozzesi dellEdimburgo, superati non senza difficoltà (addirittura la partita di andata si chiuse con un insolito pareggio), al secondo turno Meneghin & soci si trovarono di fronte i campioni di Grecia dellAris di Salonicco, guidati dal folletto Nikos Galis, giocatore di scuola americana dotato di garretti esplosivi e di un micidiale tiro in sospensione. Nella partita di andata, giocata in un ambiente decisamente ostile, i gialloneri padroni di casa si mostrarono privi di timori reverenziali e presero in contropiede la titolata avversaria: finì 98-67, unautentica disfatta per i milanesi, una sconfitta pesantissima che gettò ombre scure sul prosieguo della stagione biancorossa.
La settimana dopo si disputò la partita di ritorno. La gente si avviava al palasport quasi timorosa, per certi aspetti ancora sconcertata e stordita dal risultato di Atene; ma la sensazione che l’impresa fosse a portata di mano era palpabile, e l’incredibile ressa ai cancelli era lì a dimostrarlo. Gli spalti erano colmi di spettatori (forse anche oltre il lecito) ben prima della palla a due ed i cori dincitamento si susseguivano incessanti sebbene le squadre non fossero ancora scese in campo. Presente anche una nutrita e rumorosa colonia di tifosi greci, che si sarebbe fatta valere per tutta la durata dellincontro.
Partenza decisa (ma non troppo) dei biancorossi, anche perché quaranta minuti sono lunghi da giocare, soprattutto se hai un’autentica montagna da scalare come quei famosi 31 punti; gli ospiti invece scherzavano col cronometro, mirando a far passare più tempo possibile e snaturando così le loro caratteristiche di squadra garibaldina. Si faticava a segnare, McAdoo – secondo la tipica mentalità del “pro” americano, che ad ottobre gioca solo partite di preseason – era ancora lontano dalla forma migliore e anche qualche altro, come D’Antoni, non era al meglio della condizione.
A metà del primo tempo Milano era avanti di soli 5 punti (19-14), le cose si stavano mettendo decisamente male; ma ci voleva pazienza, in campo come sugli spalti. Era necessario lavorare ai fianchi gli avversari e fare in modo che si scoprissero un poco per poi provare a castigarli: quella partita andava vinta, e di brutto anche! A 6 minuti dallintervallo ci fu un minibreak che portò lOlimpia sopra di 8-9 punti, margine ovviamente non sufficiente anche solo per pensare di passare il turno: coach Peterson chiese quindi allagente speciale Gallinari di mettersi sulle piste di Galis, e lala milanese sciorinò tutto il suo repertorio di trucchi più o meno leciti per frenare ed innervosire lavversario. Ma la sola difesa non bastava per compiere limpresa, servivano anche canestri pesanti, che però faticavano ad arrivare: McAdoo collezionava tiri sbilenchi, DAntoni non la metteva in una vasca da bagno, e si viveva soltanto sulle iniziative estemporanee di Premier; Barlow invece si mostrava più reattivo del più illustre connazionale, sia a rimbalzo che in fase realizzativa. Verso la fine del tempo finalmente DAntoni si sbloccò, segnando dalla distanza, ma la giocata decisiva dell’intero incontro, a parere di chi scrive, la mise a segno Barlow su una bomba fuori misura di Premier: lex allievo di Digger Phelps salì più in alto di tutti ed affondò unacrobatica schiacciata in tap-in. Su quellazione finì in pratica il primo tempo, ma l’inerzia della partita cambiò; il punteggio era 44-30 e si poteva andare al riposo con un rinnovato entusiasmo, in campo come in tribuna: limpresa era a portata di mano, a patto di crederci, tutti assieme ovviamente…
Alla ripresa delle ostilità i greci sembravano più convinti ed aggressivi, e si mantenevano a contatto. Un nuovo strappo (5-0) firmato da Meneghin & D’Antoni, vero asse portante della squadra, spinse i biancorossi sul più 19 a 16 minuti dal termine, ed a questo punto lambiente diventò incandescente; ma i greci sembravano trovarsi a proprio agio nella bolgia del palazzo milanese, e restavano in linea di galleggiamento. Da parte milanese giunse nuova linfa grazie ai panchinari, il boato della folla sottolineò la tripla di Boselli (65-42), poi Bargna mise a segno altri 2 punti in entrata, ed in tribuna le scene di giubilo si sprecavano: lOlimpia conduceva di 25 e mancavano ancora 10 minuti alla fine. Ma in ogni storia epica che si rispetti cè almeno un momento di pathos: ed ecco DAntoni commettere il suo quarto fallo. poteva essere una mazzata decisiva per lentusiasmo e le speranze dei padroni di casa, ma nell’azione successiva arrivò la risposta del campione, che dà sempre lesempio e suona la carica per i compagni: loriundo mise a segno un altro tiro da 3, poi ci pensò Premier, appoggiando al tabellone – con una delle sue classiche forzature – il canestro del più 30: e mancavano ancora 7 minuti….
A questo punto sembrava fatta, Milano aveva il match-ball e lavversario era groggy; ma come dincanto il pallone diventò pesante come un macigno, e per un bel po’ si susseguirono autentiche scempiaggini e forzature da una parte come dall’altra. A 4 minuti e mezzo dalla sirena SuperDino siglava il meritato sorpasso dopo un doppio errore di D’Antoni (anche i migliori possono – occasionalmente – sbagliare), poi una nuova serie di nefandezze tecniche. Infine la follia cestistica di Premier regalava a Milano lennesima tripla, ma dallaltra parte Yannakis lo imitava immediatamente, gelando il pubblico e mantenendo in vita le speranze degli ospiti. Gli ultimi 3 minuti furono uno stillicidio di emozioni e di errori grossolani: una clamorosa palla persa di McAdoo lanciava Galis in contropiede, ma il campione americano recuperava in difesa stoppando lavversario, poi nellazione seguente un altro prodigioso recupero del moro di Greensboro stroncava definitivamente le speranze degli ospiti. Premier trovava due liberi dubbi prima, ed una rimessa generosa poi (ma nel complesso non si può parlare di aiuti sostanziali da parte dei grigi), ma il sigillo alla partita lo mise – ovviamente – D’Antoni, dribblando tutti gli avversari, panchina inclusa, e congelando il pallone fino alla sirena.
Poi l’urlo liberatorio del pubblico, seguito da uninvasione festante, con i giocatori greci che uscivano, annichiliti, a testa bassa, irrisi da due ali di folla in tripudio: si andava al girone finale, altre importanti sfide ci aspettavano, e Losanna era decisamente più vicina!!