Argomento pressochè obbligatorio per una rubrica sul basket NBA è la situazione degli italiani che giocano nella lega. Oggi quindi ci dilettiamo con Bargnani, Belinelli e Gallinari, e vediamo come procede la loro carriera nella lega dei Pro.
Marco Belinelli
Stats per gara: 15,3 minuti, 37% dal campo, 39% da 3, 1,1 rimb., 0,7 assist, 5,1 punti
La domanda sorge spontanea: ma chi gliel’ha fatto fare? Voglio dire, perchè andare a Chicago alla corte di Thibodeau? Lo scorso anno, ma soprattutto il precedente, il Beli aveva dato ottima prova di sè, andando oltre quelle che erano le mie più rosee aspettative; mi aspettavo che potesse diventare un buono specialista NBA, uno di quelli che partono dalla panca, giocano da 15 a 20 minuti, e fanno bene quelle due-tre cose che gli vengono chieste (nel suo caso segnare i piazzati sugli scarichi). L’esperienza di New Orleans invece ci ha fatto scoprire un giocatore diverso, uno che anche al piano di sopra può essere un solido componente di quintetto in una squadra con buone ambizioni. Certo, ovviamente non la stella, ma un onesto giocatore di complemento nel quintetto ai 2-3 top players. Belinelli ha dimostrato personalità, costanza, voglia, freddezza, capacità di ambientarsi in un gioco così diverso da quello Fiba. Anche la capacità di lettura del gioco è molto migliorata, facendolo diventare un discreto passatore e, pur non essendo chiaramente uno slasher, ha dimostrato di potersi permettere occasionalmente di andare in palleggio a canestro senza far danni, e quindi di non essere un giocatore monodimensionale. Infine la difesa, di certo non il suo punto di forza, è però arrivata almeno al livello di accettabilità (tradotto: non fai così schifo da non permettermi di tenerti in campo perchè se no il tuo uomo segna ad ogni azione). La presenza come compagno di backcourt di Chris Paul ovviamente una mano l’ha data, ma anche gli ultimi mesi senza il neo-angeleno sono stati tutto sommato buoni per il nostro.
Quest’estate, da free agent, Marco ha cercato soldi e gloria, e pare che la miglior proposta sia stata quella dei Bulls. Se non il peggior contesto per lui, diciamo uno dei peggiori 3…
Innanzi tutto la difesa: in una squadra di Thibobeau il 6 politico raccolto ai NOH non è più ovviamente sufficiente, e già questo tende a ridurre il tuo minutaggio. La situazione generale della squadra e il reparto guardie sono poi un cantiere aperto, e senza nemmeno una chiara idea su cosa vogliano costruire: in bilico fra il puntare al titolo e il tankare (e che differenza ci sarà mai?!), il tutto in attesa di capire quando e in che condizioni si ripresenterà capitan Rose. L’estate di crisi ha inoltre consigliato di rifare il lifting al roster guardando soprattutto al portafoglio, quindi ora il reparto guardie è pieno di gente nuova, mal assortita e senza equilibri predefiniti. Sono arrivati oltre a Marco anche Hinrich (cavallo di ritorno), Teague e l’ineffabile KryptoNate Robinson, a battagliare per i due spot di guardia insieme al già presente Rip Hamilton, che quest’anno non ostante i 65 anni sembra in buono stato di forma. Passare da due anni in cui la palla te la dava Paul a una situazione in cui (NON) te la dà Robinson può essere traumatico, e infatti le statistiche di Belinelli stanno andando drammaticamente a Sud. Questo non lo aiuta nella lotta per i minuti in campo, che sono molto incostanti: il coach è alla ricerca della corretta rotazione, per altro precaria, visto che fra 2 mesi dovrà stravolgerla completamente per il ritorno di Rose, e quindi prova di volta in volta cose diverse. Ma questo non fa che peggiorare la tranquillità del giocatore, e di conseguenza il suo rendimento. Insomma, Belinelli è ingiudicabile, e per buona parte non per colpa sua (al di là del peccato originale dell’aver scelto un posto non adatto a lui). Per quest’anno non credo potranno esserci cambiamenti. Il prossimo potrebbe invece essere diverso: con Rose tornato a pieno regime, un tiratore sugli scarichi come Marco potrebbe tornare utile; si rischia però l’involuzione del giocatore, che non può certo essere uno starter da 30 minuti nella squadra di Thibodeau, per evidenti carenze difensive. Però, se la prospettiva migliore per il futuro è di tornare a fare lo specialista di tiro, forse non sei nel posto giusto…
Danilo Gallinari
Stats per gara: 33,5 minuti, 38,5% dal campo, 29% da 3, 6,1 rimb., 2,4 assist, 1,5 perse e 15,5 punti
Il discorso sul Gallo è sempre il solito: è quello col potenziale e la testa per diventare un all star. Ha doti atletiche e tecniche che lo supportano, e lo vedi fare delle giocate e avere degli atteggiamenti che confortano questa tesi. Il problema è che fin qui non ha dimostrato di poter mantenere questi lampi, queste prodezze in maniera continuativa. Le statistiche sono buone, considerando anche che sono pesantemente azzoppate da un inzio di campionato drammatico, mentre nelle ultime 10 gare le cose stanno migliorando. Minutaggio, rimbalzi e tutto sommato punti sono più che decorosi, le aree su cui è obbligatorio un miglioramento sono 2: percentuale al tiro e peso in squadra.
Ai tempi di NY il Gallo era un tiratore piazzato eccezionale; certo, il gioco di D’antoni aiuta a tirare meglio da tre, ma non è che quello di coach Karl sia così d’ostacolo a questo fondamentale. L’impressione è che nell’ultimo anno e mezzo qualcosa si sia rotto: qualcuno parla del cambio di conformazione fisica, il carrozzarsi di muscoli necessario a resistere alle botte nell’NBA ha cambiato la sua meccanica di tiro, e Danilo non è ancora riuscito ad abituarsi al suo “nuovo” corpo. L’altra ipotesi è legata allo stato di continuo infortunio: niente che impedisse al nostro di giocare, ma un’insieme di piccoli fastidi, specie alle caviglie, che lo costringono ad assumere posture innaturali durante il tiro, alterandono la meccanica e quindi la precisione. Infine da non sottovalutare è l’aspetto psicologico: il Gallo non è certo molle mentalmente, ma per un tiratore attraversare uno slamp al tiro di questa durata può metterti quel tarlo in testa che alla fine ti fa tirare peggio. Come detto, la situazione è in miglioramento rispetto ai risultati imbarazzanti di inizio stagione, ma comunque ben lontana da una risoluzione positiva e completa del problema.
L’altro tema è quello del peso in squadra. Denver, un po’ per convinzione tecnica di Karl, un po’ per il materiale umano a disposizione, è una perfetta democrazia ateniese, con 6 giocatori tra i 10 e i 15,5 punti, e di questi 6 giocatori 5 hanno preso un numero di tiri fra i 170 e i 230 (il sesto, a 140, è Mcgee, che però gioca anche meno minuti degli altri). Non esiste quindi il giocatore mangiapalloni che monopolizza l’attacco. Questo può essere letto come un punto di forza (la squadra non dipende mai da un singolo, e quindi la brutta serata di uno non comporta la sconfitta della squadra), ma più sale il livello e più si rivela un punto di debolezza. In questo contesto sarebbe lecito aspettarsi che Danilo (il più talentuoso del roster) si prendesse maggiori responsabilità. E non parlo necessariamente, o soltanto, di prendersi più tiri, ma di avere più in mano la palla. I 2,4 assist non sono malissimo per il ruolo, ma se consideriamo l’alto QI cestistico del giocatore, la capacità di lettura della difesa e la quantità di raddoppi che sono generati dalla sua pericolosità con la palla in mano, sarebbe auspicabile un numero almeno doppio di assistenze. E a riprova del fatto che abbia troppo poco la palla in mano ci sono anche le palle perse: 1,5 a partita sembrano una chiara indicazione, più che di un buon trattamento di palla, del fatto che non prova abbastanza a costruire per gli altri (e di conseguenza, provando poco, sbaglia poco). Non è chiaro fino a che punto quest’atteggiamento sia una richiesta del coach, e quanto invece derivi da eccessiva “umiltà” del giocatore. Probabilmente non è nelle sue corde l’essere un giocatore da 25 punti a partita, e non è compatibile con le idee di Karl (e neanche con il pensare di vincere un titolo) il fatto che giochi tipo Lebron a Cleveland (palla sempre in mano da fermo e creare ad ogni azione per gli altri), però io per lui mi immagino un ruolo alla Ginobili, o alla Harden (nella versione OKC, ovviamente), che controlli il polso della squadra, ne sia il motore emotivo, segni quando conta e faccia da play occulto per far rendere gli altri. E’ troppo? Io credo di no, aspettiamo e vediamo.
Andrea Bargnani
Stats per gara: 34,5 minuti, 40% dal campo, 34,6% da 3, 4,5 rimb., 1,6 assist, 0,75 stoppate, 2,4 perse, 17,4 punti
Eccoci. Partiamo subito dalla nota dolente. 4,5 rimbalzi a partita. E’ chiaro che è riduttivo racchiudere in un solo numero la valutazione di un giocatore. Ma qui stiamo parlando di qualcosa di completamente fuori scala, del tutto inaccettabile. Con quel ruolo, quel minutaggio e quei centimetri non puoi prendere solo quei rimbalzi. Rimbalzi offensivi praticamente non ne prende (0,9 a partita), ma questo dato anche se non simpatico può essere giustificato con il tipo di gioco che fa: molti tiri da tre, e in generale è raro che tiri da meno di 2m dal ferro, per poter sfruttare al meglio la sua maggior velocità e coordinazione rispetto ai pari ruolo. Se però stazioni quasi sempre lontano dal ferro, è difficile che poi tu possa prendere il rimbalzo. Sul fatto che sia giusto o meno che un lungo giochi così lontano dal pitturato, si potrebbe discutere per anni: io personalmente sono contrario, ma il trend dell’NBA di oggidì sembra indicare che questa sia la tendenza del futuro. E quindi mi sembra inutile farne una colpa al Mago. 3,6 rimbalzi difensivi a partita sono però una statistica che sanguina, del tutto indifendibile. Sia chiaro: Bargnani non è Rodman, ma nemmeno Faried, o Varejao; ha altri pregi, e mai potrà essere un giocatore da 15 a partita. Ma non è questo che gli si chiede. Credo che se ne prendesse 7-8 a partita, non farebbe le onde, ma visto quel che ti dà in attacco nessuno lo farebbe notare. Sembra una banalità, ma un rimbalzo vuol dire un possesso in più per te e contemporanemente uno in meno per gli altri (per altro di solito a maggior percentuale). Facendo il classico conto della serva e semplificando un po’ la situazione, se ipotizziamo che le due squadre tirino il 50% dal campo, e non consideriamo il tiro da tre, 4 rimbalzi vogliono dire 4 punti in più per te e 4 in meno per gli altri, quindi un differenziale per la tua squadra di 8 punti. In media Toronto ha un differenziale punti segnati – punti subiti di -4,89 a partita. E’ chiaro, una cosa è giocare con i numeri, un’altra è la realtà (si tenga inoltre presente che un rimbalzo che non prende lui potrebbe prenderlo un compagno di squadra, e quindi non influirebbe sul punteggio): questo però è per dire che se Bargnani andasse a rimbalzo in maniera semplicemente “normale”, il record dei suoi Raptors potrebbe essere sensibilmente migliore. Il numero di volte in cui non fa il tagliafuori, o va su molle, o non guarda nemmeno verso il ferro, come se fosse la partita di qualcun altro, è decisamente fuori scala.
Detto di questo, e precisato quindi che secondo me non potrà MAI essere considerato un buon giocatore finchè non avrà statistiche almeno presentabili in questo fondamentale, vediamo come vanno gli altri aspetti del gioco.
In difesa non è un leone, ma per andare in linea con quanto detto prima, riesce ad essere almeno “normale”: fa il suo, senza infamia nè lode, ma non è più come a inizio carriera, quando la squadra avversaria sentiva l’odore del sangue e andava dal suo uomo in ogni azione; quelli che cambiano la partita in difesa saranno altri, ma almeno lui non è più l’anello debole.
In attacco il suo gioco si è ulteriormente semplificato, in senso positivo: fa meno cose rispetto a qualche anno fa, ma le fa molto bene. In sostanza vive quasi solo di 3 situazioni: il tiro sullo scarico (preferibilmente da 3), la ricezione da 3 con finta di tiro, e poi palleggio-arresto-tiro dai 5-6 metri e infine il post basso. Anche qui, dimenticarsi le artistiche e poetiche evoluzioni sul perno di Olajuwon, siamo più in zona Yao Ming, ovvero: ricezione in post basso, rigorosamente fronte e a canestro, uno o più finte di tiro, e poi tiro; sia per il palleggio arresto e tiro, che per il tiro dal post basso risultano vincenti l’altezza da cui viene scoccato il tiro, e la rapidità di esecuzione, decisamente difficile da matchare per un pari ruolo.
Le voci sulla sua imminente cessione si rincorrono, ma del resto è così da almeno 3 anni. La speranza (forse è meglio dire l’equivoco) che lui possa diventare la stella di una squadra competitiva è ormai decisamente tramontata, e sicuramente l’ambiente di Toronto non lo aiuta. La mia idea è che se avesse la possibilità di andare in una squadra competitiva, con un primo violino di spessore nelle posizioni 2 o 3 (Durant, Kobe, Lebron, Wade, Harden, Pierce, per fare qualche nome) e un compagno di reparto atletico e aggressivo in difesa, potrebbe diventare un giocatore che sposta. Non so dire se possa anche diventare un vincente (il contesto in cui ha evoluito fino ad adesso non permette nemmeno di porsi il problema), ma sicuramente una seconda punta da allstar game.
Vae Victis