Solo un anno fa, di questi tempi, la Scavolini stava vivendo uno dei suoi momenti più fulgidi da tanti anni a questa parte e sicuramente dal suo ritorno nella massima serie dopo il tracollo dovuto alla sciagurata e purtroppo indimenticata gestione Amadio.
La squadra allora allenata da Dalmonte si arrendeva con l’onore delle armi nelle semifinali dei play-offs contro gli antichi rivali dell’Olimpia Milano, dinanzi ad un’Adriatic Arena riempita nei suoi quasi 10.000 posti e traboccante di quell’entusiasmo, mai sopito, del pubblico pesarese verso la palla a spicchi.
Molte cose sono cambiate nel corso di soli dodici mesi se è vero che nell’ultimo campionato la Scavolini Banca Marche si è salvata con più di qualche patema e, ad onor del vero, ringraziando più che altro l’unica retrocessione prevista ed il campionato piuttosto balordo in cui è incappata Biella; il tutto rinnegando le scelte estive fatte in materia di coach e di americani e passando attraverso una serie di undici (11) sconfitte consecutive che la dice lunga sul fatto che l’obiettivo minimo non fosse poi così inarrivabile.
Purtroppo, come già dodici mesi fa qualche spiffero maligno lasciava presagire, nel corso dell’estate la Crisi si è fatta sentire in tutta la sua virulenza anche in riva all’Adriatico e così il meraviglioso giocattolo, che con qualche aggiustamento ben mirato avrebbe potuto anche far sognare più in grande, veniva smantellato per evidenti motivi di forza maggiore e la gloriosa Victoria Libertas si trovava a fare i conti con problemi ben più gravi di un semplice mercato estivo, ovvero la sua sopravvivenza ad alti livelli.
Per lunghi ed assolati giorni tra i supporters biancorossi si era temuto il peggio, visto che pareva voler tagliare il cordone ombelicale con la sua creatura addirittura lo storico sponsor Scavolini dopo più di trent’anni di felice sodalizio; ma poi ancora una volta sulla ragione prevaleva il cuore e così lo storico patron Valter, nonostante le tante defezioni nel consorzio che aveva sostenuto la società negli ultimi anni, decideva di andare avanti con ambizioni forzatamente ridotte.
Ovvio che, con queste premesse, l’annata sarebbe stata vissuta con tante incognite; gli eroi che erano stati appena finiti di acclamare, come Hackett, Hickman e White, erano già stati fatti partire verso Siena, Tel Aviv o addirittura l’NBA ed al loro posto lo spettatore medio si sarebbe dovuto rifare la bocca con tante scommesse, sia in campo che fuori.
Al posto di Dalmonte, andato monetizzare i suoi successi sulla panchina del Fenerbahce in qualità di vice di Pianigiani, veniva assunto Giampiero Ticchi, coach un po’ naif sia nei modi che nelle convinzioni tattiche, con qualche buona esperienza a Rimini ed alla guida della nazionale femminile, ma sostanzialmente a digiuno di massima serie; con lui arrivava un gruppetto di americani misconosciuti nonché qualche ex giovane promessa italiana con noti limiti caratteriali che andava ad aggiungersi al nucleo storico formato da Cavaliero e Flamini.
Dopo un avvio tutto sommato incoraggiante, con due vittorie nelle prime tre partite, la crisi si materializzava con le già citate undici sconfitte consecutive, ovvero con un periodo lungo due mesi abbondanti nel corso dei quali coach Ticchi dimostrava di non riuscire a governare l’emergenza data dall’infortunio di un Traini sin lì ottimo, dal litigio ed il susseguente addio di Amoroso nonché dalle difficoltà più o meno evidenti degli americani Hamilton, Barbour e Mack.
L’arrivo di Markovski, salutato poi a fine campionato dall’indecifrabile pubblico di casa come il salvatore della patria, non ha interrotto immediatamente la lugubre striscia negativa ma ha comunque invertito il trend negativo fino ad arrivare alla sospirata salvezza e ad un bilancio personale di vittorie/sconfitte in sostanziale pareggio che il coach italo – macedone non ha mai dimenticato di evidenziare.
Il buon Zare ha avuto senza dubbio l’evidente merito di portare un po’ più di carisma ed esperienza in uno spogliatoio allo sbando, ma in realtà il punto di svolta si è avuto quando ancora una volta Valter Scavolini ha deciso di allargare i cordoni della borsa permettendo l’arrivo di due giocatori come Stipcevic e Kinsey, fondamentali con la loro esperienza e la loro classe.
Certo poi alla salvezza bisognava arrivarci e Markovski, considerata anche la buca in cui si trovava la squadra, l’ha fatto con un certo margine di sicurezza, ma è innegabile che siano stati il play croato e la guardia americana gli alfieri della rimonta in classifica.
La mano del coach italo macedone si è vista nell’aver saputo dare precise gerarchie all’interno del roster, nel trovare soluzioni tattiche congeniali per il rendimento di Barbour e Mack, ma soprattutto nel guidare ed assecondare al meglio il talento dei due nuovi innesti, cui inevitabilmente ci si rivolgeva quando le partite dovevano essere decise.
Giubilati due elementi inadeguati come Hamilton e Clemente, rivitalizzati in qualche modo gli altri elementi della squadra (tra cui un Crosariol che solo il coach ex Virtus Bologna ed Avellino sembra sapere gestire) e ricorrendo a qualcuna delle alchimie tattiche tanto amate dal nuovo allenatore (come l’uso ricorrente a quintetti sempre più bassi e senza centri), la Scavolini Banca Marche ha cominciato piano piano a tornare in linea di galleggiamento fino allo scontro diretto di gennaio contro Biella che la faceva tornare a respirare in quota salvezza.
Con l’avvento del 2013 la Scavolini Banca Marche si è presa poi il lusso di mietere qualche vittima eccellente come ad esempio la Montepaschi Siena, allontanandosi progressivamente dalla diretta concorrente Biella ed ottenendo la salvezza addirittura con tre turni di anticipo.
L’ultima di campionato è stata così l’occasione per il pubblico di casa, generalmente alquanto esigente con i propri beniamini, di prodigarsi in applausi per tutti ed in particolar modo, come si diceva, per il coach autore della rimonta.
In realtà giocatori come Clemente e Thomas, un gioco di squadra spesso latitante o tendente all’anarchia, stelle che vengono cedute il prima possibile per improrogabili esigenze di bilancio (Kinsey) sono cose che a Pesaro ben poco spesso si sono viste; forse il pericolo scampato e realmente toccato con mano ha fatto soprassedere sui tanti sbagli ed i tanti patemi di un’annata vissuta all’insegna della mediocrità che il pubblico di casa vorrebbe dimenticare il prima possibile mentre il suo ex idolo Hackett sta ancora rivelandosi come uno dei protagonisti dei play-offs.
Mala tempora currunt, quindi, ma almeno (ed è notizia di questi giorni) la società pare non avere alcuna intenzione di abbandonare quella massima serie trattenuta in questa stagione al prezzo di grandi sacrifici seppure con un futuro ancora una volta abbastanza fosco; di questi tempi è già qualcosa.
Giulio Pasolini
1 Comments
Mancius
No no no Giulio no. I tempi potranno solo essere solo migliori con un arguto osservatore dalla critica sempre costruttiva come te. Per aspera ad astra.Se ascolteranno i tuoi consigli il prossimo anno saremo come Varese. Ma i dirigenti dovranno passare l’estate a riflettere sulle tue parole. Homo faber fortunae suae