Ad alcuni potrà sembrare semplicemente pazzesco come i San Antonio Spurs possano essere ancora competitivi a questo livello. Immaginarseli con un altro (sarebbe il 5°) anello al dito del tutto inverosimile. Eppure la prima battaglia di queste NBA Finals l’hanno vinta loro. Una battaglia, appunto, non la guerra, sempre sportivamente parlando. Miami lo sa bene e si lecca le ferite in vista di gara 2, ancora una volta da disputarsi tra le mura amiche dell’American Airlines Arena, vantaggio che si concede a chi la regular season l’ha dominata, a volte passeggiando, ottenendo così un record migliore di quello dei rivali texani.
Popovich con molto tempo a disposizione ha preparato al meglio come sempre la serie, le strategie, gli accoppiamenti, i primi accorgimenti per limitare LeBron James. L’MVP si può fermare solamente da se, intestardendosi in alcune situazioni offensive di eccessivo isolamento, ma altrimenti, dagli avversari può solo venir limitato. Eppure al di là delle cifre Leonard – pur in difetto in quanto a chilogrammi – ha tenuto botta molto bene, e in generale lui e Green sembrano fatti dal sarto per cucirsi addosso a LBJ e Wade. Se poi nell’altra metà campo danno il contributo richiesto la loro presenza in campo è ancor più gradita. Così è stato questa notte, specialmente nel caso di Kawhi Leonard.
Miami ha perso per la 4^ volta una gara 1 da quando i Big Three sono in città, e non farà felici i fans degli Spurs sapere che negli altri tre casi hanno poi spazzato via gli avversari imponendosi nel resto della serie. Al tempo stesso, rimanendo un attimo sui numeri e quel che dice la storia, Pop ha uno sbalorditivo 87% contato male di vittorie, nelle serie al meglio delle 7, dove ha portato a casa la prima W in palio, secondo nella “specialità” solo a Phil Jackson e Red Auerbach, e scusate se è poco.
Adeguamenti, si dice sempre, quando si parla di basket in generale e in particolare dei playoffs NBA, che consentono in pochi giorni agli staff tecnici di aggiustare il possibile e proporre (o opporre) nuove soluzioni nell’episodio successivo. Spoelstra sicuramente mostrerà qualcosa in gara 2, quel qualcosa che non si è visto stanotte, se non la conferma di uno “show” fortissimo con altrettanta pressione sul pick’n’roll che però a Parker, con sfacciataggine tutta parigina, ha fatto davvero il solletico e nulla più. Tony è stato indubbiamente il migliore di gara 1, dei suoi e dell’intero match. Avevamo (non solo su queste pagine, ci mancherebbe) previsto da tempo la difficoltà che gli Heat avrebbero avuto nel contenere il franco-belga, uno che legge le situazioni all’istante, va al ferro contro chiunque o, senza apparenti problemi, inverte la rotta quando è chiuso, trovando spessissimo il fondo della retina dopo un arresto e tiro sempre più preciso, frutto del costate lavoro con Chip Engelland.
In sostanza la gara è stata molto bella, molto più della maggior parte di quelle viste nelle finali di conference, almeno ad est, dove s’è puntato tutto sull’aggressività e poco sul talento (non avendone quasi per nulla i Pacers, e tenendolo a volte nascosto gli Heat). Ora invece Miami deve tornare a giocare a pallacanestro, contro la miglior Squadra, con obbligatoria S maiuscola, che ci sia in circolazione sui parquet NBA.
Una squadra che vuole portare la franchigia ancor più nella storia, dato che – pur non riuscendo mai a ripetersi per due stagioni consecutive – per gli Spurs questo sarebbe, come detto in apertura, il 5° anello in 15 anni. Non saranno simpatici a tutti, ma giocano dannatamente bene! Da qui a conclamare che il Re e la sua corte sono già morti e sconfitti ce ne passa, ma se anche dovesse arrivare una probabile e pronosticabile sconfitta in gara 2, gli Spurs tornerebbero nel proprio fortino targato AT&T, sull’1-1 e la possibilità di giocarsi tutte le carte decisive in casa propria.