Per come si era messa la serie alla fine di gara 5 entrambe le squadre coinvolte sono al punto in cui avrebbero voluto essere alla vigilia delle tre partite in Texas. Miami ha strappato una vittoria fondamentale in gara 4 che le consente di tornare sul parquet amico dell’AmericanAirlines Arena per giocarsi almeno il 6° episodio di queste Finals, e possibilmente forzare la serie a gara 7, sempre da giocarsi in casa. San Antonio che avrebbe voluto chiudere il discorso in 5 partite, vistasi raggiunta sul 2-2 ha sfoderato una gara 5 impressionante e che le dà ora ben due match-point.
Il vero MVP di gara 5, e forse di tutte le Finals ha il nome e il cognome di Danny Green. Le storie (o non si chiamerebbero Spurs) dei suoi tagli, ripescaggi, viaggi in Europa, e chi più né ha più né metta, sono stati sviscerati nelle telecronache delle ultime notti. Sta di fatto che Green non solo sta dando man forte a Leonard nella marcatura quasi impossibile di James e in alternativa di Wade, ma in attacco sta tirando con percentuali contro le quali anche la pur arcigna difesa degli Heat può davvero poco.
Si parla del 50% da tre sui tiri contestati. Se passiamo a quelli “aperti”, o come si diceva una volta, smarcati, allora la percentuale sale ulteriormente tanto da dare le vertigini. Non sembra però soffrirne il prodotto da North Carolina che anche senza l’aiuto costante degli altri due “bombardieri” del roster, Neal e Bonner – caduto in irreversibile disgrazia e accomodatosi di conseguenza nella “cuccia” di Pop – ha ucciso Miami e dato il punto del 3-2 ai suoi.
Poi è sceso giù anche Manu. Dei playoffs a tinte variabili, delle Finals fin qui sicuramente incolore, perchè nonostante l’età e gli acciacchi Ginobili è sempre Ginobili e da lui ci si aspetta sempre quel guizzo e quell’estro argentino che gli altri non hanno e non possono avere. La mossa di Popovich di inserirlo in quintetto in gara 5 era più scontata di un incidente di Massa con la Ferrari, ciò non ha tolto però consistenza alla scelta e dato quindi quel “plus” alla squadra di cui aveva bisogno impellente.
Le giocate dell’ex-Reggio Calabria e Virtus Bologna si sono rivelate autentiche magie, da scolpire immediatamente su un dvd per i posteri. Nemmeno la difesa super-fisica di James ha potuto nulla contro le zingarate di Ginobili, le sue invenzioni dal palleggio per i compagni, i tiri cadendo indietro e anche da tre punti (o da due come avrebbe dovuto venir considerato il suo primo canestro che ha aperto la partita).
Ad inizio ultimo quarto forse gli Spurs ritenevano di averla già vinta, sta gara 5, e Miami si è rifatta pericolosamente sotto. Se lasci giocatori come James e Ray Allen giocare il loro basket in una situazione dove la pressione all’improvviso è scomparsa, la leggerezza delle loro giocate quasi senza guardare il tabellone ti può anche andare di traverso, se vesti una maglia neroargento. La rimonta non è riuscita, ma Miami ha cercato di lanciare un messaggio: anche nella “disfatta” la squadra è presente, con i suoi titolari in campo fino agli ultimi minuti (mossa rileyana di Coach Spoelstra ovviamente) e che daranno tutto già stanotte al ritorno in Florida.
San Antonio accarezza ora il sogno del 5° anello nella sua storia, e in particolare sotto la fantastica gestione Popovich e con Tim Duncan in campo. Il caraibico ha scelto la stagione giusta per tornare a essere un fattore determinante, dopo la pulizia alle ginocchia, e dopo che inevitabilmente gli dei del basket hanno fatto sedere Bryant e Westbrook, azzoppando così le più pericolose rivali della conference. La strada non è stata spianata fino alle Finals, ma certo dalla sorte è arrivato un bell’aiuto. D’altronde non è cominciato tutto con delle palline nell’urna del draft ’97 e quel laureando in psicologia da Wake Forest che sembrava destinato ai Celtics di Pitino, e invece è venuto a fare fortuna ai confini col Messico?