Il mio regno per un cavallo!, disse Riccardo III. Sono passati diversi secoli, le poche monarchie rimaste sono puro folklore e i cavalli interessano solo al bizzarro campionario umano che frequenta le sale corse. Oggi se Shakespeare fosse ancora tra noi e scrivesse di basket, riempirebbe i piccoli reami della pallacanestro di urla invocanti un playmaker.
Il basket è cambiato, ma il play rimane lelemento fondamentale del quintetto. Anche i giocatori sono cambiati e ti accorgi che, oltre che dei pivot con i crismi del pivot, cè penuria anche di play con i crismi del play. E di questo tutti si lamentano. La non-regia di Chalmers ha reso il Palaverde una polveriera. Milano corre ai ripari e firma booker. La Virtus taglia Conroy, Milano firma lo piglia e spedisce il Bullo a Bologna… si potrebbe andare avanti, ma non è il caso. In sostanza, se una squadra non gira si punta, spesso giustamente, il dito su chi dovrebbe farla girare.
Essere un bravo playmaker è difficile; richiede qualità che magari non si possono insegnare. Tuttavia non è che gli allenatori non provino a forgiare bravi registi. Per i centri è diverso: hai un lungagnone, gli chiedi rimbalzi ed intimidazione e, anche non insistendo sui movimenti da pivot (sostituendoli spesso con il tiretto frontale, anche da molto lontano), puoi ottenere un utile, utilissimo, giocatore. Non credo sia una scelta felice, ma, appunto, spesso si tratta di una scelta. Viceversa non posso credere che, permamendo lidea che avere un buon play sia vitale per ogni squadra, si sia rinunciato a lavorare sui giocatori in questo ruolo.
Dico la mia. Il basket è cambiato. Piacerebbe a tutti avere in campo Zisis e Papaloukas (guarda caso, compagni di squadra nel club più ricco dEuropa): giocatori azitutto a servizio dei compagni, ma capaci alloccorrenza di produrre punti. Questo è il playmaker moderno, quello che sposta, quello che tutti vorrebbero. Che banalità! Allora vado oltre, azzardando, con lintento di sentire anche il parere di altri.
Non sono sicuro che manchino giocatori con un buon playmaking, buona visione di gioco e laltruismo nel dna; non saranno moltissimi, ma nemmeno mosche bianche. Il fatto è che nel basket di oggi non ti puoi permettere di avere un esterno poco pericoloso; significherebbe regalare un giocatore. Il play deve saper giocare anche per sè. Ed ora lazzardo: evidentemente, nellimpossibilità di avere un giocatore sia costruttore che finalizzatore, si preferisce lesterno con punti nelle mani (cui si chiede anche dellaltro, ma, questo è il punto, non soprattutto dellaltro), piuttosto che il play ragioniere, passato ad essere ormai un reperto storico di quel che era pallacanestro fino a due decadi or sono.
Provo a sostenere la mia tesi con alcune considerazioni, tutte confutabili, come spero accada.
Pepe Sanchez è il più bellesempio di playmaker highlander (nel senso di sopravvissuto all’estinzione) che mi viene in mente. Giocava a Malaga, ora al Barcellona: grandi club cui largentino ha offerto ed offre un contributo indubbiamente importante. Tuttavia è sempre partito dalla panchina. Perchè evidentemente un giocatore così in molte situazioni diventa un lusso che non ci si può permettere.
Lynn Greer ha fatto sognare i napoletani. Per le sue doti di play?
Wood, a Cantù, e Green, ad Avellino, sono due dei registi che stanno maggiormente impressionando in questa stagione. Bei play, certamente. Ma si parlerebbe così bene di loro se non avessero rispettivamente 20 e 14,6 punti di media?
McIntyre, giocatore entusiasmante, è stato Mvp della scorsa stagione. Per la sua regia illuminante?
Chi ha beneficiato del Tyus Edney nelle sue stagioni migliori ha sempre centrato grandi successi. Perfino lui però è (era, ahimè) un playmaker da ultimo passaggio; cioè non un vero playmaker.
LItalia del basket è povera. Considerando scenari più ricchi la valutazione però non cambia. Mi sembra (scusate, vado a memoria) che qualche anno fa Bob Cousy avesse detto che in NBA cera solo un playmaker (che laggiù sia chiamato point guard è solo frutto del caso, ma fa comunque pensare) degno di tal nome: Stockton (o era Kidd?). Gli altri? Guardie passatrici.
Chiudo dicendo che di questi tempi armonia e fluidità di gioco vanno trovate allora nel collettivo, pur se mancante del cervello pregiato, con un sistema ed unidentità di gioco collaudati (che prescindono perciò dal fosforo, assente, di un regista); con il contributo, insomma, anche in fase di costruzione di giocatori che coprono altri ruoli. Mi viene in mente Sabonis, ma basterebbe anche Stonerook…
Poi, se mi diceste che di play ragionieri non se ne vedono non perchè inutili, ma perchè in effetti mancano… Se mi dieceste che Pepe Sanchez è semplicemente un incompreso, che Pepe Sanchez è il vostro play… Se ne può parlare.