Dalle nostre parti la definirebbero una [i]stagione di transizione[/i], ma negli U.S.A. un termine del genere è poco spendibile con tifosi e sponsor e quindi diventa una sorta di [i]tabù[/i]. In realtà i Mimai Heat quest’anno non sanno esattamente cosa aspettarsi: la squadra è di buon livello per la Eastern Conference, ma è evindente che manchi ancora più di qualcosa per farne una contender, come [b]Riley[/b] e sopratutto [b]Wade[/b] desidererebbero. Il futuro peraltro è ancora incerto, un po’ per l’incertezza legata ad una squadra molto cambiata rispetto allo scorso anno, un po’ perchè, ancora non è chiaro come ed in che direzione voglia muoversi Riley per migliorare un team, che ha sopratutto bisogno di aggiungere qualità e quantità [b]sotto le plance.[/b] Il nodo più complesso riguarda la posizione di [b]Shawn Marion[/b]: l’ala ex Suns arrivata agli Heat nell’ambito dell’affare O’Neal, è in scadenza a oltre 17 milioni di dollari e sembra intenzionato a chiedere cifre analoghe per rinnovare. La dirigenza Heat è perplessa di fronte a una tale possibilità perchè, Marion non assicura un impatto tecnico di alto livello, visto che il tiro da fuori è ondivago, il ballhandling è scadente per un esterno, come il gioco di post basso è scadente per un lungo,e le letture sono spesso affrettate. In buona sostanza la presenza di Marion è estremamente condizionante, con il suo gioco a metà tra quello di un’ala piccola e quello di un’ala grande e inoltre, la sua collocazione in un contesto di gioco diverso dal [i]run and gun[/i] dei Suns è tutta definire. Naturalmente ci sono anche i [b]pro[/b] come la forza a rimbalzo, il grandioso atletismo, la capacità irreale di riempire le corsie in contropiede e la capacità di chiudere un movimento in qualsiasi situazione, oltre che la buonissima difesa (anche se necessita di stimoli per esprimersi).
Il problema, assume maggior rilevanza oggi che gli Heat hanno pescato al draft [b]Michael Beasley[/b], a lungo previsto come numero uno assoluto dello scorso draft e poi scivolato in seconda pozione, impedendo agli Heat di scegliere [b]Derrick Rose[/b], vero sogno estivo di Riley, che con il fenomeno proveniente dalla Memphis University pensava di colmare l’altra grande lacuna di questi Heat: la regia.
[b]Beasley[/b] è un’ala filiforme, anche lui in bilico tra la posizione di terzo esterno e di primo lungo, che molti paragonano proprio a Marion per tipo di gioco [i]ibrido[/i] e per struttura fisica. Dal punto di vista tecnico poi non è da trascurare che giocando a metà campo o comunque non sempre ai 1000 all’ora, avere due ali con un gioco così interno abbinate ad una shooting guard come Wade che non ha nel tiro dalla lunga la propria forza potrebbe rendere prevedibile il gioco ed intasare l’area. Tutti problemi di [b]Erik Spoelstra[/b], coach esordiente, che alla prima stagione si trova tra le mani una patata più scottante di quello che può sembrare.
[b]Il quintetto[/b]
[u]Marcus Banks[/u]. L’altro grande dilemma degli Heat, assieme alla posizione di centro, è in regia. Alla fine potrebbe partire, per ragioni tecniche e contrattuali, Banks, investimento (insensato) ereditato dai Suns e che peserà sul [i]salary cap[/i] tra i 4 ed i 5 milioni di dollari per i prossimi tre anni. La lotta per il posto però sarà serrata. C’è [b]Chris Quinn[/b] miniplya bianco con la faccia di un bimbo dell’asilo ma con un carattere duro come il ferro ed un tiro tutt’altro che disprezzabile, che grazie alla disgraziata stagione passata degli Heat ha saputo mettersi in luce mettendo insieme cifre di tutto rispetto (8 punti e 3 assisti in poco più di 20 minuti di media), c’è [b]Mario Chalmers[/b] rookie da Kansas, che non è esattamente un play puro ma sa difendere alla grande, è intelligente, comprende il gioco ed ha un buonissimo tiro dalla lunga distanza. E’ reduce però da una disavventura estiva: assieme all’altro rookie Darrell Arthur è stato pescato con due donne in una stanza dove c’era [i]puzza[/i] di marijuana, niente di che, se non fosse che erano al [i]Rookie Transition Program[/i]. Pur non essendo stata trovata alcuna droga la sola presenza delle due ragazze nella camera d’albergo ha causato l’allontanamento immediato dei due giocatori, che dovranno [i]riseguire[/i] il corso il prossimo anno e l’ovvia multa: non esattamente un buon punto di partenza. Infine c’è [b]Shaun Livingston[/b], sempre che riesca a tornare un giocatore di basket. L’ex Clippers, se parlassimo solo di talento, sarebbe uno dei primi dieci registi della lega, il problema però è che Livingston è reduce da un terrificante inforunio al ginocchio che lo tiene lontano dai campi da 19 mesi e che addirittura ne potrebbe causare il ritiro. Gli Heat hanno scommesso sul suo talento e sulla sua voglia di tornare, se dovesse rivelarsi una scommessa vinta gli Heat potrebbero trovarsi tra le mani un giocatore assolutamente di alto livello.
[u]Dwyane Wade[/u]. L’estate ed il team U.S.A. ci hanno restituito un Wade tirato a lucido. Inutile dilungarsi troppo sulle caratteristiche tecniche di un MVP delle finali (anno di grazia 2006) di certo tra averlo menomato ed insicuro sugli appoggi come lo scorso anno ed averlo in perfetta forma fisica ci passa la differenza che corre tra un team da lotteria ed un team che può almeno puntare ai playoffs. Per tornare a dare l’assalto all’anello gli serve qualche scudiero, ma l’obbiettivo di quest’anno è quello di tornare un serio candidato per l’MVP.
[u]Shawn Marion[/u]. Come detto sopra è il più serio candidato a partire, sia per considerazioni tecniche ma sopratutto per considerazioni di tipo salariale. Perennemente in bilico tra la posizione di ala piccola ed ala forte, lo vedremo spesso in quest’ultima posizione se gli Heat decidessero di giocare con l’assetto [i]leggero[/i]
[u]Udonis Haslem[/u]. In attesa di capire che tipo di giocatore sia e che ruolo vada a ricoprire [b]Michael Beasley[/b] gli Heat hanno l’unica certezza vicino a canestroincarnata da Haslem. Giocatore solido, rimbalzista di livello, attaccante sottovalutato, è la classica [i]creatura di Riley[/i], che grazie all’ex coach di Lakers e Knicks è riuscito non solo ad avere una carriera NBA di livello, ma sopratutto di importsi alle attenzioni dei tifosi per il giocatore che è: un duro, un difensore, un giocatore intelligente. Non è improbabile che, visto l’andazzo del roster Heat, finisca a giocar da centro in un quintetto piccolo che consenta sia a Marion che a Beasley di partire in quintetto.
[u]Mark Blount[/u]. La rottura della mano di [b]Jamal Magloire[/b], patito nella partita contro i Nets tenutasi a parigi, terrà lontano dai campi l’ex centro di [b]Kentucky[/b] dalle sei alle otto settimane e spalanca le porte del quintetto a Blount, mestierante dal buon talento offensivo ma inconsistente a rimbalzo e non esattamente un mastino in difesa. Se gli Heat virassero verso una formazione meno classica e più veloce sarà Blount ad uscire dal quintetto a causa dei limiti difensivi ed a rimbalzo che lo rendono l’anello debole della catena.
[b]La panchina[/b]
Un po’ povera di talento e di punti, spiccano i nomi dei due nuovi arrivi estivi [b]Yakhouba Diawara[/b] e [b]James Jones[/b] due giocatori dal ruolo simile (né esattamente guardie né esattamente ali) ma dagli istinti cestistici antitetici: essenzialmente un tiratore sugli scarichi Jones, un giocatore di rottura e di fisico il francese. Per il resto bisognerà cercare di [i]cavare il sangue dalle rape[/i] sperando che [b]Joel Anthony[/b], [b]Daequan Cook[/b], [b]Dorell Wright[/b] e chi perderà il ballottaggio per il ruolo di play titolare possa dimostrarsi in grado di cambiare l’inerzia della gara uscendo dalla panca.
[b]Il giocatore chiave[/b]
Banale, ma avere [b] Dwyane Wade [/b] a posto fisicamente è per gli Heat fondamentale per sperare in una stagione che non sia di bassa classifica. L’ex Marquette non è solo il miglior scorer della squadra, né è il leader, il miglior passatore, ed il giocatore designato per i tiri importanti. Dal punto di vista tecnico, visto il roster degli Heat è fondamentale che Wade torni il precisissimo e velocissimo tiratore dalla media di due anni fa, in modo da variare il proprio gioco che altrimenti rischia di diventare monotematico. C’è anche curiosità di vedere che tipo di rapporto instaurerà Wade con Erik Spoelstra, il nuovo coach, visto che da sempre la stella degli Heat è uno che ha un rapporto profondo con chi sta in panca.
[b]Il coach[/b]
[b] Erik Spoelstra [/b] è un rookie, ma ha un pedigree importante. Lavora da 13 anni con gli Heat, ha fatto gavetta (all’inizio era coordinatore dei video) ed ora è stato nominato successore di [b]Pat Riley[/b] che per [i]coach Spo[/i] (come lo chiamano i suoi giocatori) ha speso parole importanti: [i] Erick é un uomo nato per allenare, è un allenatore qualificato, innovativo e porterà nuove idee[/i]. Spoelstra è attualmente il coach più giovane dell’NBA (batte di qualche mese [b]Lawrence Frank[/b] dei Nets) ed è un [i]figlio d’arte[/i], suo padre, infatti, è stato [i]executive[/i] dei Portland Trail Blazers, dei Denver Nuggets e dei New Jersey Nets. Cosa saprà dare e come saprà farlo un coach così giovane in un ambiente particolare come quello degli Heat, dove il presidente, che decide dei tuoi destini, è anche uno dei più grandi, carismatici e poliedrici allenatori della storia, lo vedremo quest’anno.
[b]Prospettive per la stagione[/b]
La stagione degli Heat si presenta piena di incognite: il nuovo coach, giovane ed inesperto, i nuovi innesti ed i possibili movimenti in entrata ed in uscita prospettano una stagione piena di alti e bassi, com’è normale che sia per una franchigia che oggi ovviamente non può porsi come una squadra che può lottare per il titolo. Bisognerà valutare con attenzione quest’annata degli Heat, le basi su cui costruire qualcosa d’importante ci sono, le possibilità salariali anche, ma la scadenza del contratto di Wade si avvicina e non è detto che l’attuale stella della squadra voglia restare in un contesto perdente, se i passi in avanti non saranno decisi e costanti.