E’ buona abitudine quando si incontrano una testa di serie n°2 e una n°7 non dare molta importanza al pronostico, troppe volte scritto ancor prima di scendere sul parquet. Io stesso pronosticai in fase di presentazione un 4-1 per i Celtics, in questo primo turno di playoffs a Est, dando una chance ai Bulls più legata al giocare di fronte allo strepitoso pubblico dello United Center e alle assenze in casa Boston che a reali possibilità di passaggio del turno.
Invece non solo una squadra di autentici rookies (coach compreso, ma non gli assistenti, attenzione) ha avuto la capacità di forzare la serie a gara 7, ma del passaggio del turno ne ha anche – a tratti – sentito il dolce profumo.
L’esperienza dei Celtics e un fattore campo che proseguirà nel prossimo turno contro gli Orlando Magic, ma non dall’eventuale finale di conference in poi, hanno alla fine deciso a favore dei campioni in carica. Vediamo perchè.
[b]Boston Celtics[/b]
Rivers arrivava a questo primo turno di playoffs con una squadra scarica, stanca e priva di elementi decisivi per la propria pallacanestro, primo fra tutti ovviamente Kevin Garnett, al quale si aggiungeva Leon Powe che tutti ricordiamo protagonista della serie finale del 2008 contro i Lakers. Come potesse essere il gioco dei Celtics senza il loro vero playmaker (KG) e con un attacco completamente sbilanciato a favore degli esterni non si poteva sapere. Le risposte sono arrivate dalle buone prestazioni, a volte ottime, di due giocatori come Kendrick Perkins e Glen “Big Baby” Davis. Il primo è ormai un solido centro NBA con cifre di tutto riguardo se considerate all’interno di uno scout dove di fianco al suo nome compaiono i ben più altisonanti Pierce e Allen. Autentica presenza a centro area ha saputo anche contro i leggerini Bulls dare un contributo fatto di rimbalzi e intimidazione. Big Baby invece continua ad essere la novità/sorpresa di Boston. Un fisico più da linebacker del football che da giocatore di pallacanestro, comincia a ricordare prepotentemente quel Charles Barkley che in tempi andati ha fatto della sua dinamicità abbinata a quel tipo di fisico una caratteristica vincente. Per ora il tiro dai 5-6 metri di Davis risulta inarrestabile, e Orlando dovrà pensarci bene prima di battezzarlo nuovamente come fatto da Del Negro.
Fino a gara 6 esclusa un altro protagonista assoluto è stato senza dubbio Rajon Rondo. Viaggiando praticamente in tripla-doppia di media la point-guard da Kentucky si è rivelato il solito terribile folletto, incontenibile per le pur giovani e agili gambe dei vari Gordon, Rose e Hinrich. Uno sbandamento in gara 6 si può concedere ad un giocatore che non conosce la parola stanchezza, che sa essere difensore sulla palla di tutto rispetto, o ancor meglio, sulle linee di passaggio, anche ora che non ha più alle spalle Garnett a guidarlo, lui come i compagni.
Vita da coach: Rivers sa che nei momenti decisivi Pierce e Allen, insieme o alternativamente, di gara in gara, sanno dargli quel contributo offensivo che la sua squadra necessita. E così è stato. In un momento di assoluta emergenza assenze ha avuto la tentazione di mettere in quintetto Scalabrine per inserire almeno un po’ di esperienza e ulteriore pericolosità nel tiro da fuori. Invece è arrivata l’intuizione Davis e ne va dato assolutamente atto a Doc, così come nel ripescare House nella decisiva gara 7. La difesa senza “The big ticket” non è più quella dello scorso anno, e qui i Celtics dovranno salire di colpi fin dall’imminente prossima serie contro Howard&c.
[b]Chicago Bulls[/b]
L’assoluta mancanza di un centro di peso nel roster dei Bulls permette d’altra parte a Del Negro di schierare quintetti atletici, veloci e comunque versatili. Le sue guardie hanno nelle mani le sorti degli incontri disputati. Questo è stato dimostrato nelle 7 partite contro Boston, dove dei comunque positivi Noah e Thomas non hanno fatto col loro atletismo a rimbalzo la differenza. Questa l’hanno saputa fare invece Ben Gordon, con continuità in tutta la serie, Hinrich uscendo dalla panchina e portando punti, difesa e leadership e in modo molto più alterno anche Derrick Rose. Il Rookie of the year ha strabiliato tutti in gara 1 per poi perdersi soprattutto nelle sconfitte dei Bulls, con medie punti, percentuali e in generale un coinvolgimento nell’attacco di Chicago inferiore alle attese. Questo se letto da un altro punto di vista può comunque essere una nota davvero positiva, per l’immediato futuro della franchigia dell’Illinois: Rose è già da ora, dopo le sue prime 7 gare di playoffs, l’autentico faro dei Bulls, il giocatore che diventa, quando conta, il vero ago della bilancia per i suoi, appunto sconfitti quando Rose non è entrato del tutto in partita. Una menzione speciale va di diritto a Brad Miller: unico veterano della squadra ad avere minuti consistenti in campo ha fatto vedere di poter essere un ottimo complemento per i vari Noah e Thomas, portando esperienza, cattiveria agonistica e anche punti col suo tiro dalla media, ed alcune letture davvero da veterano in momenti chiave della serie.
Vita da coach: Del Negro era anch’egli all’esordio su una panchina NBA, nello specifico all’esordio anche per quel che riguarda una serie di playoffs. Ha sbagliato qualcosa nella gestione dei timeouts nelle prime gare e ha deciso per una rotazione ridotta a 7 uomini (il quintetto più Hinrich e Miller), ma con l’aiuto del suo staff di grandi coach, primo fra tutti il maestro della difesa Del Harris, ha letto sempre bene le situazioni, dando qualche lezioncina persino allo staff avversario, con rimesse a sorpresa e trovate “europee” che sicuramente fanno parte del suo background cestistico. Nascerà una stella?