Finisce tra oltre 100.000 fedelissimi il cammino dei Los Angeles Lakers. Finisce da dov’era cominciato, allo Staples, quel così lontano 28 ottobre 2008 contro i Blazers (regolati oltretutto senza troppi problemi).
Finisce per quest’anno, e questa volta finisce pure bene.
[b]Kobe e Phil di nuovo nella storia.[/b]
E’ tempo dunque di volare in ferie. Per un’ultima volta il nostro sguardo si posa su Kobe, che felice come una Pasqua imbraccia godendoseli i suoi due trofei, regalando sorrisi a tutti quanti: è la realizzazione completa di un giocatore; di anelli il ragazzo di Philadelphia ne aveva già 3 in bacheca, ce ne voleva un quarto, senza Shaq. Un anello conquistato da primo vero violino con a coronare il tutto l’MVP, questa volta però più luccicante di quello del passato anno. Bryant è giunto fin qui superando negli anni critiche, accuse e periodi bui, lottando ogni singolo giorno per continuare a vestire la sua casacca gialloviola, “l’armatura dorata” come ama chiamarla lui: ma se la sconfitta delle scorse Finals era stata un duro colpo, l’ennesimo dopo il celeberrimo “Three-peat”, un’altra L questa volta avrebbe molto probabilmente decretato l’addio di diversi giocatori, nessuno escluso, nemmeno un losangelino DOC come Kobe.
E invece alla fine il sogno diventa realtà, i Lakers si sbarazzano dei Magic in cinque gare tornando nell’Olimpo del basket, affidandosi gara dopo gara alla consueta e perfetta direzione di Coach-X, Phil Jackson, il più vincente allenatore nell’intera storia della lega, che lascia ora oltretutto grandi speranze anche per il futuro, perchè, è bene ricordare, coach Zen non ha mai vinto vinto un singolo titolo, solo three-peats: le potenzialità di laurearsi campioni ci sono ancora, ma l’estate è lunga e anche gli avversari evolvono.
Ad ogni modo sarebbe comunque riduttivo relegare onori e meriti ai due sopra citati, perchè se LA è arrivata a giocarsi nuovamente il titolo lo deve anche ai vari Gasol, Odom, Fisher, Ariza del caso, fondamentali in ogni momento (anche in quelli clou) nell’aiutare il Mamba, finalmente in grado di potersi appoggiare con fiducia e tranquillità ai suoi compagni pronti a giocare a questi livelli, allontanandosi così finalmente anche lo scomodo nomignolo “ball-hog”. Bryant ha rivoluzionato il proprio gioco, mettendo nel cassetto gli anni del perenne “1 vs 5” riscoprendosi invece gran passatore, grazie ad un QI cestistico elevatissimo e a linee di passaggio apertegli nel pitturato da Gasol o dall’arco dei tre punti dai vari esterni, che han permesso al fuoriclasse gialloviola di viaggiare a 7.4 assists per gara, un dato impressionante visti anche gli oltre 30 punti insaccati in ognuna delle cinque gare giocate.
Molti “Kobe-haters” hanno pubblicamente chiesto scusa al Mamba dopo l’exploit di queste Finals, ma molti altri ancora continueranno imperterriti a criticare il #24 cercando e trovando sempre un motivo per farlo. Critiche o no, è ora ben chiara una cosa: il ragazzo voleva vincere, sa vincere e probabilmente vincerà ancora, alla fine insomma [i]aveva ragione lui![/i]
[b]E in casa Magic?[/b]
Puntare sulla squadra della Florida ad Aprile sarebbe stata una mossa quanto mai clamorosa, visto il James di questa stagione e i Celtics, che pur privi di Kevin Garnett restavano sempre i campioni in carica: ed invece Van Gundy ha guidato i suoi a dei Playoffs fantastici, portandoli ad un passo dalla vittoria dopo una stagione ugualmente positiva forte di quasi 60W (59-23 il record).
Nei giorni antecedenti la prima sfida si erano messe in luce, le armi dei Magic per laurearsi campioni, armi che se ben sfruttate avrebbero potuto mettere un’ennesima volta in seria difficoltà la squadra avversaria: Orlando aveva infatti vinto i due scontri diretti durante la Regular Season, sfruttando in entrambi i casi la scarna difesa dei gialloviola sull’arco, difesa che aveva concesso troppi facili wide open agli esterni avversari ed era stata incapace di trovare risposta al predominio fisico di Howard che aveva collezionato nei due incontri cifre da capogiro (20 punti + 16 rimbalzi) annichilendo il pari ruolo catalano, Pau Gasol.
Se solo Orlando l’avesse spuntata in entrambi o anche solo in uno dei due match terminati all’overtime, forse ora staremmo parlando di ben altri campioni: la domanda sorge dunque spontanea, cosa è mancato per poter alzare l’ambito trofeo? E’ certamente [b]una questione di esperienza[/b]: nei momenti fondamentali la truppa di Phil Jackson ha potuto contare su veterani quali Bryant, Fisher entrambi già campioni agli inizi del 2000, ma anche gli stessi Odom e Walton, presenti nella rosa losangelina da diversi anni e già esperti nella postseason, mentre Van Gundy ha avuto il solo Hedo Turkoglu esperto di “buzzer-beater”, ma incapace di dare una vera svolta in game-2 e game-4. Pesanti sono poi state le scelte fatte dallo stesso Stan, una su tutti il “non fallo” su Derek Fisher in gara-4, decisione che aveva permesso al play lacustre di tentare il tutto per tutto da 8 metri (con esito ben noto), ma anche le sostituzioni causa di contestazioni all’interno della rosa in particolar modo Courtney Lee, confidatosi ai giornalisti durante la serie e dichiaratosi “dimenticato in panchina”. Con questo comunque non si vuole sminuire il lavoro fatto da coach Van Gundy, che ha risollevato in poco tempo una squadra relegata a meste uscite al primo turno fino all’ultimo grande ostacolo in un solo anno, sviluppando un gioco efficace capace di mettere in ginocchio molte difese odierne, non quella losangelina, o perlomeno non quest’anno.
Da ultimo il caso Dwight Howard: il giovane centro #12 ha pagato più di tutti l’inesperienza, incapace di dominare come fatto nei precedenti mesi contro qualsiasi pivot avversario; il merito va senz’altro a Pau Gasol, fenomenale in fase difensiva dove non solo non ha quasi mai fatto sentire la differenza fisica tra i due, ma è anche riuscito egregiamente a tenere posizione nelle situazioni di pick&roll, schema su cui la difesa dei Lakers soffre ancora molto. L’ex-Grizzles ha poi messo in grande difficoltà Superman in fase offensiva, dove la velocità dei piedi dello spagnolo ha permesso a LA di poter equilibrare la quasi assenza di Bynum. Gasol in queste Finals ha lasciato in disparte il suo buon piazzato dalla media, per migliorare ulteriormente il semigancio e gli agili movimenti dal post alto. Howard, sottotono per tutta la serie, ha già cominciato la sua rincorsa verso la rivincita fin dal dopo-gara in conferenza stampa, dove si è presentato sì deluso, ma con la forte convinzione di poter tornare nuovamente a giocarsi l’anello il prossimo giugno, con Jameer Nelson di nuovo in forma, uno che la differenza l’ha sempre fatta. L’estate è comunque lunga anche ad Orlando e non è da escludere qualche piccolo cambiamento, investigando nel mercato dei FA alla ricerca di un qualche veterano pronto ad aiutare i Magic dopo la netta caduta.
Come si suol dire [i]”Chi vivrà vedrà”[/i], motivo in più per esserci anche il prossimo anno.
Di nuovo [u]buona estate a tutti[/u],
Michele Di Terlizzi
[u][b]Pagelle:[/b][/u]
[u]Kobe Bryant[/u] (32,4 punti – 5,6 rimb. – 7,4 ass. – 1,4 stop.) [b]10[/b]: cosa chiedere di più al Mamba? Gioca in modo divino, toppando il solo finale di gara-3 dove s’intestardisce e perde il pallone più importante, si rifà 48 ore dopo in game-4 quando prima regala un assist al bacio a Gasol, per poi, per ben due volte, liberare Fisher dall’arco per due triple che tagliano le gambe agli avversari. Offensivamente si rende come al solito infermabile (il quarantello alla prima) risultando in grado di poter cambiare da solo il ritmo di ciascun match; in difesa fa sudare chi di dovere, mentre sotto canestro lotta per strappare ogni singolo rimbalzo anche contro i vari Howard, Gortat e Turkoglu, decisamente più alti e grossi di lui. MVP meritatissimo e non è detto sarà l’unico: il ragazzo ha ancora fame…FUORICLASSE
[u]Derek Fisher[/u] (11.0 punti – 3 rimb. – 1,8 ass. – 1,2 rub.) [b]8[/b]: quando si dice che l’esperienza in questo sport conti moltissimo. Il play già famoso per “The 0.4 shot” si rende nuovamente protagonista di un finale al cardiopalma con due dei suoi magnifici tiri che trovano solo la retina. Soffre difensivamente, ma il lavoro in attacco è ammirevole: penetra, punisce dall’arco e non si tira mai indietro quando c’è bisogno di lui. CORAGGIOSO e VETERANO
[u]Mickael Pietrus[/u] (10.6 punti – 47.5% dal campo) [b]6.5[/b]: probabilmente il migliore tra i suoi. Prova sempre ad infastidire Kobe, spingendolo a forzare diverse volte. In attaco ha vita facile contro il fantasma Vujacic, ma deve sudare molto con in campo nuovamente il #24. Certo, Bryant ne fa pur sempre 30 a gara, ma il francese non sfigura più di tanto lottando sempre anche al limite della correttezza. SALVABILE
[u]Dwight Howard[/u] (15.4 punti – 15.2 rimb. – 4.0 stop.) [b]6+[/b]: le cifre ingannano: il centrone poteva e doveva far di più, evitando di incappare in continui problemi di falli che lo hanno relegato in panchina per troppo tempo. Soffre Gasol, dominandolo nella sola gara-3, affonda però in game-5, costretto a subire il tripudio ospite da bordo campo.
Voto basso, augurando a Superman di potersi rifare il più presto possibile…DA RIVEDERE
[u]Sasha Vujacic[/u] (0 punti – 0.4 rimb. -0.4 ass.) [b]3[/b]: delusione totale. Il serbo aveva lasciato un’ottimo ricordo di sè l’anno scorso quando dall’arco sapeva punire, ma quest’anno è stato solamente una continua spina nel fianco per la squadra. Phil lo usa il meno possibile, ma anche in quei pochi minuti concessigli Sasha sapracchia a salve (0-6)…BUIO TOTALE