Visto qualcosa ma letto parecchio su questo stra benedetto mondiale spagnolo della palla nel cesto, osannato sui social ed occasione di espressione per le più disparate penne. Analizzando il risultato sportivo, perchè poi al di là di tutto è quello che conta, notiamo come a distanza di quattro anni dalla precedente edizione turca tre delle quattro semifinaliste (Usa, Serbia e Lituania), siano le stesse. Il poker finale del 2010 fu completato dalla formazione di casa, quest’anno è invece il turno della Francia, che sebbene orfana di “sua Maestà” Parker, è pur sempre l’equipe che ha vinto l’ultimo europeo sloveno ed ha i meriti di avere un allenatore che chiacchera poco e giocatori di talento che hanno la maglietta (proprio quella), nazionale cucita addosso. Tutto come da copione quindi, eccezion fatta per la clamorosa (a detta di molti), ed inopinata debacle della formazione di casa, data da tutti i più abili pronosticatori come sicura finalista e da alcuni come addirittura pretendente al titolo, alla faccia di un rabberciato (mica tanto) team Usa.
Come in Slovenia lo scorso anno, la marcia della Invincibile Armada si è bruscamente frantumata sullo scoglio dei quarti di finale, sintomo che forse il tanto decantato movimento cestistico iberico farebbe meglio in futuro a badare maggiormente alla sostanza (magari scegliendo una guida tecnica adeguata), piuttosto che specchiarsi continuamente ed auto compiacersi come un Narciso qualunque.
Il parquet ha poi cassato inequivocabilmente quelle che alla vigilia erano state definite “possibili” sorprese.
La Grecia, devastante nel girone eliminatorio, ha poi fallito il primo vero esame. Vittima di una crisi di identità che il nuovo coach non è riuscito a risolvere in poco tempo, ed ancora incerta se aprire un nuovo ciclo con la novelle vague dei Bochoridis et similia, o insistere su un gruppo “anziano” apparso mentalmente logoro e poco convinto nella batosta subita contro la Serbia.
Di più probabilmente non ci si poteva attendere da un Brasile obiettivamente andato oltre i propri limiti, o dagli argentini orfani di Ginobili e supportati soltanto dal solito gruppo di gerarchi capitanati da Scola e Nocioni. Idem dicasi per una Slovenia condotta per mano, fino a dove si poteva dalla famiglia Dragic, e per gli australiani che invece di fare calcoli avrebbero dovuto mettere cervello e polmoni per legittimare le proprie aspirazioni.
Delle “macchiettte” o squadre simpatia non parlo, lo han fatto già abbondantemente altri su altri lidi.
Quanto alla presenza italica, applausi a Sportitalia per la copertura televisiva e tiratina di orecchie a qualche arbitro che ancora non ha capito che i protagonisti sul parquet, in questo magnifico sport, sono e devono esserlo gli omini in canottiera.
Alessio Teresi