Dopo tre giorni, siamo ancora tutti quanti dispiaciuti per la sconfitta con Bologna, la terza consecutiva in casa. E’ strano, da queste parti, perdere in casa… Figuriamoci tre volte su tre! Forse negli anni ci siamo abituati troppo bene, chissà… Di sicuro, in società, nello staff, nella squadra, tutti sono rammaricati e delusi, al pari dei nostri tifosi che, anche domenica sera, di fronte alle telecamere di RaiSport, hanno offerto sugli spalti uno spettacolo eccezionale, almeno nei quaranta minuti di partita.
Come presidente, nonostante una passione incredibile per questo sport e un amore che dura ormai da oltre trent’anni, non mi sento in grado di dare un giudizio tecnico o tattico sulla partita: sicuramente, se abbiamo perso, ci saranno stati degli errori, ma non tocca a me trovarli o ricercarne le ragioni. Quello che, come presidente, mi sento di dire è che, da parte dei ragazzi in campo, ho visto impegno, passione, attaccamento alla maglia, voglia di vincere. Nessuno ha tirato indietro, nessuno si è risparmiato, nessuno è uscito dal campo senza aver dato tutto. C’è da migliorare tanto, è innegabile: in estate siamo ripartiti da zero, e non è facile trovare in fretta la quadratura del cerchio.
Tutti noi abbiamo totale fiducia in Paolo Moretti e nel suo staff, ma oltre alla fiducia, è necessario il tempo per plasmare un gruppo di ragazzi tanto nuovo quanto giovane. Perdere dispiace; farlo di fronte a un palazzetto così ancora di più. Ecco perché mi sento in dovere di far sentire la mia voce, un po’ stanca, in questo momento: lo faccio perché certe cose non mi sono piaciute, lo dico chiaramente. Certe cose, ascoltate e viste domenica a fine partita, mi hanno un po’ deluso, al pari, o magari anche di più, di quanto il pubblico sia stato deluso dalla sconfitta.
In estate, visto l’entusiasmo e la risposta della città durante la campagna abbonamenti, mi ero illuso di aver creato intorno a questa realtà chiamata Pistoia Basket, uno zoccolo duro di tifosi veri, appassionati, viscerali, amanti di questo sport. Non volevo fosse uno zoccolo morbido di occasionali e modaioli, tifosi di comodo perché è bello vincere e sentirsi parte di un miracolo. Da parte della società, nessuno aveva promesso la vittoria del campionato, dopo una stagione oltre ogni aspettativa, così come nessuno aveva puntato la pistola alla tempia di quei 3000 tifosi che avevano deciso di sottoscrivere l’abbonamento. Per questo mi illudevo che fosse nato qualcosa di importante, un legame non solo destinato a seguire l’andamento dei risultati, ma più forte, più serio, più bello, più duraturo.
Il legame che magari lega una piazza come Treviso alla sua squadra: erano in oltre quattromila nell’ultima gara giocata in casa, a vedere una partita di Silver… E non deve essere facile per chi da anni ormai manca dalla ricca tavola imbandita a cui spesso ha recitato il ruolo dell’invitata di prestigio, ritrovarsi a disputare campionati di terza o quarta fascia. Così come non deve essere facile per Siena passare in un anno dallo scudetto cucito sul petto alle trasferte a Empoli o a Piombino.
Eppure domenica erano in 4.000 sui gradoni del PalaEstra, più di quelli che pochi mesi fa assistevano all’ultima gara interna di Eurolega della corazzata che fu la Montepaschi. Io non so per quanto tempo ancora avrò la forza per continuare a ricoprire una carica ormai troppo impegnativa per me: arriverà, forse presto, il giorno in cui deciderò di lasciare la presidenza, pur restando immutato il mio amore per questo sport. Quando però quel giorno arriverà, vorrei essere riuscito a lasciare forte il seme della passione, non quello della moda, in quei 4000 tifosi che ogni domenica, da tempo, gremiscono un PalaCarrara che sembra ormai troppo piccolo per contenerli tutti. Ho sempre cercato di gestire questa società come sono in grado di fare: in maniera familiare prima ancora che professionale. Sicuramente sarà un mio limite, ma è l’unico modo che conosco per interpretare un ruolo per cui non so se oggi sono ancora adeguato. Ho cercato di avere sempre una buona parola per tutti, una pacca sulla spalla per chi ne aveva bisogno, un abbraccio per chi era in difficoltà.
Per questo, anche per questo, i mugugni e le frasi di disapprovazione di domenica sera, seppur isolati e coperti magari dagli applausi della Baraonda che nonostante la sconfitta sabato colorerà di bianco e di rosso un bel settore del PalaTrento, mi hanno deluso: tornando a casa, per non prendere sonno, ero dispiaciuto forse più per quelle frasi, per quelle sentenze buttate là alla quinta giornata di campionato, che per la stoppata rimediata da Milbourne all’ultimo secondo. Spero che nessuno si senta offeso da questa mia, forse patetica, riflessione. Se così però fosse, mi dispiace: la diplomazia non è mai stata la mia arte preferita…
Roberto Maltinti