Se si dovesse mai utilizzare una gara tra le ultime viste per esemplificare il concetto di “partita senza storia” si potrebbe benissimo far riferimento a Boston-Detroit della scorsa notte. Per questo motivo – la larga vittoria dei Celtics 119-93 – le cose da dire, come nuda cronaca, sono davvero poche. Gli spunti vengono dati più che altro dalle prospettive di entrambe le squadre, a media e lunga (o lunghissima) scadenza.
Parto dagli sconfitti, non solo intesi come perdenti della gara in questione, ma di un’intera stagione da dimenticare, e al più presto. I Pistons sono nella classica situazione che capita alle formazioni che riescono a restare ai vertici della Lega, magari vincendo anche un titolo, per molti anni, per poi ricominciare (quasi) tutto da capo.
Della squadra vincente allenata da Coach Brown sono rimasti in pochi, pochissimi. La ricostruzione quindi è già iniziata. Le scelte di Dumars vertiranno attorno al ruolo da assegnare in tutto questo a giocatori come Rip Hamilton e Tayshaun Prince, possibili “ponti” tra il passato e il futuro, chiocce dei nuovi Pistons che verranno, o solamente ostacoli con i loro contrattoni e le regole del salary-cap. Al momento non tutti gli innesti fatti dalla dirigenza del Michigan sembrano funzionare, se è vero che Ben Gordon arrivato da Chicago non incide come negli anni ai Bulls e Kwame Brown rimane l’incognita che è sempre stato fin dall’erroraccio in fase di draft di Sua Maestà Jordan, che lo scelse per gli allora “suoi” Wizards.
Maxiell e Villanueva sono invece giocatori dal solido futuro, ma non certo le stelle che possono riportare Detroit ai fasti di Thomas&Dumars, Billups&Rasheed.
Detroit sceglierà tra le primissime al prossimo draft di Giugno (il record attuale recita un desolante 23-44) e il tutto dovrà gioco-forza ripartire proprio dalle nuove risorse che possono arrivare da college e Europa, come ben fatto – stavolta sì – con l’ex-Biella Jerebko.
Ho detto Rasheed? Ah già, il nostro ora veste la gloriosa casacca bianco-verde (e oro, per l’occasione, visti i festeggiamenti di questi giorni per S.Patrizio, in una gara che ESPN ad inizio anno aveva “pronosticato” tra quelle meritevoli di uno Special Monday) chiamato da Doc Rivers e Danny Ainge, o più che altro da Kevin Garnett, per portare ulteriore esperienza di playoffs, punti e presenza a centro-area. Di queste caratteristiche che certamente fanno parte del lato migliore di Wallace, per il momento, non se ne vede una. Rasheed parte dalla panchina e si alza per soli 17 minuti di totale svogliatezza e passività. Infila un canestro buttandosi indietro allo scadere dei 24″ quando la partita non ha più niente da dire, giusto a dimostrarne le doti sicuramente non smarrite sulla strada che collega Detroit e Boston. In tanti lo cercavano, in estate, e Boston se l’è aggiudicato, palesemente per i motivi sopra descritti. Quindi al momento i conti in un certo senso tornano, atteggiamenti e falli tecnici accumulati ovviamente compresi, ma le somme che davvero contano si faranno solo da metà Aprile in poi.
I Celtics in toto poi non aiutano con una seconda parte di stagione che rasenta il 50% di vittorie e che proporrà ai 17 volte Campioni NBA una strada presumibilmente tortuosa in post-season. Gli acciacchi sono stati davvero tanti e hanno riguardato praticamente tutte le stelle dei Celtics, ma ora – e come successo fin troppe volte nella storia – con l’ultimo mese di regular season alle porte, i tasselli sembrano poter trovare il proprio, logico posto. In fondo non sempre è possibile tenere il piede affondato sull’accelleratore per 82 interminabili partite.
Se Boston ad inizio anno, e soprattutto dopo la prima parte di stagione, era giustamente data come la favoritissima ad Est, in barba al clan di LeBron James e agli ultimi vincitori di Conference, gli Orlando Magic, sono convinto che ora altrettanto correttamente non può essere declassata a sicura uscente nei primi turni di playoffs.
Ainge ha assemblato una panchina senza troppa logica, forse, ma con enormi risorse soprattutto offensive. E nella metà campo dove sono i Celtics a tirare a canestro non sembra possano esserci problemi: qualcuno che fa canestro lo si trova! A Rivers il compito di pescare il coniglio giusto ad ogni occasione. Semplice? No, affatto. Ma rimettere insieme quella difesa collettiva, vera scintilla e trade-mark del titolo 2008, sembra impresa ben più ardua.
Non aiuterà di certo l’età di Finley (che in poco più di 13 minuti di garbage-time trova comunque il modo di mettere a referto 15 punti) o l’arrivo del “misterioso” Nate Robinson. Già scritto personalmente su queste pagine: cosa guadagna Boston dallo scambio con New York che ha spedito nella Grande Mela Eddie House? House fu pedina fondamentale nella corsa al titolo 2008, con la sua capacità istantanea di mettere punti entrando dalla panchina e dicendo la sua anche in difesa, l’altro lato della sua personale luna – mai in precedenza preso in considerazione – soprattutto come pressione sulla palla. Di Robinson è invece difficile parlare, per quel che mi riguarda. Qualcuno continua a parlarne come autentico fenomeno da baraccone, da circo di periferia, di certo non come giocatore di basket, a livello top nell’NBA poi… Eppure c’è qualcosa in questo ragazzo che a sprazzi farebbe pensare ad una potenziale pedina (anche tattica) da muovere al momento giusto sulla scacchiera di una partita di pallacanestro. Peccato ci pensi il compagno Tony Allen, appoggiandogli la palla al vetro per una schiacciata al volo nel finale di partita, a rimetterlo nei ranghi di attrazione per grandi e piccini. Uscirà mai da questo immaginario così bene cucitogli addosso?
Che dire in conclusione: ci si attacca all’abusatissima e famosa citazione di Coach Tomjanovich:”Never underestimate the heart of a champion”, e quando farà caldo – per davvero – i fans biancoverdi sperano che KG torni ad essere quella forza della natura che può trascinare compagni e pubblico, che Pierce resti il “capitano coraggioso” e uomo da ultimo quarto, che Allen non perda la vena realizzativa che ben bilancia l’attacco dei Celtics con la sua capacità di muoversi senza palla e colpire da fuori (a proposito: duello vinto a mani basse con l’altro ex-UConn Hamilton in fatto di corsa dietro ai blocchi, specialità di entrambe le case).
Forse troppi “se”, ma al momento ragiono e valuto sostanzialmente su delle ipotesi. In attesa che “Welcome to the jungle” dei Guns n’ Roses risuoni nuovamente, annunciando la palla a due del primo turno di playoffs.
Andrea Pontremoli