Philadelphia è una città dura, a volte difficile e cattiva, ma si distingue anche per la sua lealtà e amore (non per nulla brotherly love). Si può respirare nelle strade quella sincerità e quella passione per la palla a spicchi che in città frenetiche come New York o Chicago è difficile cogliere.
Ad ogni angolo della strada si trovano campetti di asfalto bollente che vengono calcati da ogni classe sociale: impiegati post lavoro, ragazzi appassionati oppure uomini che per distogliersi dalla crudeltà della real life si immergono in un sogno chiamato basket. Dalle nostre parti il ghetto è visto come luogo negativo e ricco di episodi disdicevoli, ma se per un certo senso è vero, a Philadelphia questa crudeltà è anche maestra di vita, così come quei metri delimitati da righe e caratterizzati da cerchi in ferro e retine metalliche. Nella vita da playground si respira quella cattiveria agonistica irrintracciabile in qualsiasi altra manifestazione di basket organizzato, perché lì sopravvive veramente il più forte e solamente chi ha gli attributi può ergersi a protagonista nonostante il gioco duro e sporco degli avversari. Anche nei campetti, però, cè una gerarchia ed alcuni sono calcabili per un certo periodo, sino a quando non arriva la competizione dei giocatori veri. Altri sono riservati alle personalità importanti della città e vengono usati solo da chi conta, come il celebre the Rec sulla 25th Street and Diamond street a nord est, dove viene giocata la [b]Sonny Hill league[/b]. Il torneo è il diretto successore della vecchia Charles Baker league, nata negli anni sessanta e, già allepoca, teatro di grandi lotte tra squadre sia di giocatori che di allenatori in ottica NBA. La competizione prende il nome dallomonimo giocatore delle Philadelphia leagues degli anni sessanta, che dal 1968 è diventato presidente della Baker league, incrementandone considerevolmente popolarità e considerazione.
Dal 1960 ad oggi attraverso questa lega sono passati i più famosi talenti della zona come Wilt Chamberlain, Earl the pearl Monroe (Magic before Magic), Hal Greer, Bill Bradley ecc. La peculiarità più importante di questa competizione, oltre alla crème del panorama cestistico, è il credo che recita: [i]Education is your best shot[/i]. Qui si gioca nel pieno rispetto del gioco, in un clima che reincarna perfettamente lo spirito del basket Philadelphiano, che crede ed investe anima e corpo in quello che la città produce a livello umano.
Sin dagli anni 20 con la [b]SPHA Team[/b] (Southern Philadelphia Hebrew Association) cera un grosso investimento sui talenti locali ed infatti questa squadra primeggiava in tutte le competizioni di eastern league, che davano vita alle prime forme di basket competitivo ed organizzato della storia. Il capitano tecnico e spirituale della squadra era [b]Eddie Gottlieb[/b], che si distingueva come figura guida della squadra oltre che essere un buon talento ed un profondo conoscitore degli gioco, già dalle sue prime forme.
Lo stesso Eddie è stato poi arteficie di altre due vittorie importanti nella storia del basket professionistico philadelphiano quando, prima da coach e poi da proprietario, ha portato a due titoli della neonata National Basketball Association i Philadelphia Warriors. Correvano gli anni 46-47 (4-1 contro i Chicago Stags) e 55-56 (4-1 ai Fort Wayne Pistons). Nonostante queste vittorie, la squadra non faceva propriamente le onde a livello mediatico e dopo qualche anno vedeva anche una nutrita diaspora di high schooler locali verso le città e le università più importanti. Capostipite di questa fuga è stato lindimenticabile [b]Wilt Chamberlain[/b], che dopo la Overbrook HS di West-Philadelphia ha deciso di scegliere luniversità di Kansas, tradendo la sua città. A questo punto Gottlieb, vista la sua influenza e la sua carica allinterno dellorganigramma NBA, fece si che venisse varato un draft territoriale, al fine di garantire alle squadre dei Pro di assicurarsi (o avere un privilegio per farlo) i servigi dei talenti locali. I Warriors non si fecero pregare e sfruttarono fino in fondo questa regola, potendosi assicurare i migliori talenti della Big five (LaSalle, Villanova, Penn, Temple e Saint Joseph) quali Tom Gola, Paul Arizin, Guy Rogers e…last but not the least…Wilt Chamberlain.
La fuga universitaria di Chamberlain, che tanto aveva fatto cambiare nella geografia del basket, dura solo gli anni di Kansas e quello dei Globetrotters, infatti i Philadelphia Warriors si appropriano, grazie alla regola del draft territoriale, i diritti sul grande Wilt, fruendone grandissimi vantaggi per solo per tre anni, dal 59-60 al 61-62.
Tutti a Philadelphia, e non solo, ricordano con le lacrime agli occhi unincredibile prestazione di Wilt, un Philadelphiano nelle file dei Warriors, che riuscì infilare ben 100 punti quel 2-marzo-1962 agli odiati Knicks con 36-63 dal campo e 28-32 dalla lunetta. La partita finì 169 a 147 per i Warriors, immortalati e ricordati dai posteri con quel foglio di carta in mano a The stilt con un rotondo [b]100[/b] scritto a penna.
Quel momento incredibile è conservato nel cuore di chi tuttora può dire io cero; ma gli anni a seguire per il basket cittadino non furono esaltanti, perché nella stagione 62-63 i Warriors si trasferirono nella Bay area lasciando La città del basket senza una franchigia.
Un anno di sofferenza per la città, nonostante il poco seguito di pubblico, che poi riuscì, non più di un anno dopo, a riabbracciare una franchigia proveniente da Syracuse. I Nationals. Quelli che poi sarebbero diventati gli attuali Philadelphia 76ers in onore dellanno dellindipendenza degli States.