Segnando 28 punti e trascinando i Lakers nel remake della sfida natalizia contro i Miami Heat, [b]Kobe Bryant[/b] si è preso una bella rivincita su Wade.
Perché il 15 gennaio Kobe non solo ha stravinto il confronto individuale con il funambolico MVP delle scorse Finals, nonostante abbia segnato 7 punti in meno, dato meno assist e tirato peggio dal campo, ma segnando in faccia proprio a [b]Wade[/b] i canestri chiave dei regolamentari e dellovertime e limitando in difesa nei possessi chiavi.
Una rivincita che ha il dolce gusto della vendetta, soprattutto dopo la prestazione sottotono che il 25 dicembre vide Wade padrone incontrastato del palcoscenico, con Kobe umiliato e deriso assieme ai suoi [b]Lakers[/b].
Ma nella notte bianca NBA non si è vista solamente la sfida tra Los Angeles e Miami, trasformata da Kobe contro Shaq a Kobe contro Wade per motivi di audience, che di per se potrebbe essere buona a riempire le pagine di giornali.
Il confronto tra le due star racchiudeva qualcosa di più grande, la sfida delle sfide, la successione al trono lasciato libero da [b]Michael Jordan[/b], perché loro più di tutti quelli che sono passati dallabbandono del marziano, sono i suoi veri eredi.
Se Wade ricorda il primo Jordan, tutto atletismo, scorribande a canestro, penetrazioni con tonanti schiacciate e acrobazie plastiche, Bryant ne ha sempre incarnato lalone, leleganza, le movenze.
Eppure, nonostante la somiglianza pronunciate nel modo di stare in campo, nei tiri presi, nei fadeway, nelle medie punti, nella capacità di essere immarcabili, la scorsa stagione il nuovo arrivato Wade sembrava avergli sottratto terreno nella rincorsa allo scettro di [b]Next MJ[/b], dopo una regular season pazzesca sotto il profilo individuale e dei playoff inimmaginifici culminati con un assoluto dominio dal 3° quarto di gara 3 in poi delle finali NBA.
Dal 15 gennaio in poi le cose sono state nuovamente messe in chiaro, lo scettro è ancora lì, agognato, ambito, sfiorato più e più volte da entrambi.
Ma per Kobe Bryant, il nuovo Kobe Bryant, il [b]passaggio di consegne[/b] è ormai prossimo.
Possiamo stare a questionare giornate e giornate citando i dibattiti che nel corso degli anni hanno accostato il gioco del fenomeno philadelphiano ed il marziano passato da Wilmington:
Jordan ha vinto 6 titoli dopo i 27 anni, Kobe ha iniziato a vincerli presto, a 22/23 anni, ma aveva al fianco Shaq ed era il secondo violino.
Oppure discutere su chi sia miglior tiratore, difensore, passatore ecc
Di tutto questo ne è già stato discusso fino allo nausea, quindi passiamo oltre, perché quello su cui voglio farvi riflettere è dal mio punto di vista, la vera chiave di lettura.
La carriera di Micheal Jordan è cambiata nel 1989, alletà di 26 anni, quando sulla panchina dei Bulls, al posto di [b]Doug Collins[/b], venne nominato il suo assistente [b]Phil Jackson[/b].
Jordan nel corso del suo primo anno con lex centro di riserva dei Knicks a guidarlo nei meandri astrusi della triangolo, cambiò il suo stile di gioco, da perfetto solista in grado di esplodere con 50elli ogni qualvolta volesse a giocatore di squadra, in grado di entrare nelle partite nel momento necessario per vincerle, fidandosi dei suoi compagni e trascinandoli nei momenti di bisogno.
Il resto lo sappiamo tutti, 6 titoli vinti negli anni 90, passando da fenomeno a leggenda.
La carriera di Kobe Bryant, similmente è cambiata, anzi, ricambiata, con il ritorno a Hollywood del coach Zen, nel 2005, quando il bistecca aveva appena compiuto 27 anni.
Nel corso della stagione scorsa, Kobe ha riaccettato i principi della triangolo, ha infranto record su record, ha giocato molto per se stesso e poco per i compagni fino ai playoff, in cui si è messo a servizio della squadra su volere di Jackson.
Nel corso di questa stagione ha cominciato da dove aveva finito, i suoi Lakers sono ritornati ad essere una forza ad ovest, vari esami sono stati sostenuti e raggiungendo ottimi voti (vittorie contro Dallas, San Antonio, Utah, Miami ecc), i vari Walton, Odom, Bynum, Cook, Parker, Brown girano come mai avevano fatto e Kobe Bryant, dopo aver mancato un premio di MVP dati gli scarsi risultati di squadra, oggi è in lizza, da favorito assieme al canadese e al tedesco, per quellambita onoreficenza.
Jordan ha iniziato a vincere quando ha iniziato a fidarsi dei compagni, Kobe Bryant è consapevole di questo, ascoltando i dettami di coach Jackson, sta seguendo questo percorso, che per ora, segnando di meno, ma tirando meglio, e soprattutto dominando la gara quando serve, lo sta avvicinando sempre di più, ideologicamente, come erede e degno successori a Michael Jordan.
Il prossimo passo è trascinare i suoi compagni al titolo, ma conoscendo il forte spirito competitivo (toh, un’altra cosa in comune con MJ) del bistecca, dovrebbe essere solo questione di tempo.