Secondi nella Southeast alle spalle dei Wizards, settimi ad Est davanti ai derelitti Heat, agli sconclusionati Nets ed agli imperscrutabili Knicks, squadre con cui, con ogni probabilità, si giocheranno gli ultimi posti playoff i Magic continuano nella loro crescita, iniziata tre anni fa con la scelta di Dwight Howard. Una crescita costante quella dei Magic, che pescata la matta con il giovanissimo fenomeno dell’Atlanta Christian Academy hanno saputo costruire, scambiare e credere in un progetto che li ha portati a mettere insieme un nucleo interessante sia nel presente ma soprattutto in prospettiva.
Partire da Howard sarebbe scontato, così partiamo dalla cabina di regia, dove c’è un uomo solo al comando: [b]Jameer Nelson[/b]. Nanerottolo di 1.83, fisico tarchiato,carattere da duro e leadership notevole, il talentino ex Saint Joseph, snobbato in sede di draft (lo stesso che alla prima assoluta vide Howard),dove scivolò fino alla ventesima chiamata,dopo campioni del calibro di Telfair, Luke Jackson,Kris Humphries, Josh Childress o peggio ancora Rafa Araujo. Alla 20 lo scelsero i [b]Nuggets[/b], che immediatamente lo cedettero ai Magic, in cambio di una misera prima scelta futura,nonostante i quattro anni al college chiusi a quasi 17 punti e 6 assistenze di media, si è preso una bella rivincita sui suoi detrattori, che lo volevano al massimo come cambio in una squadra senza grosse aspirazioni. Jameer si è imposto pian piano ai Magic, con la sua intentistà, la sua voglia di vincere e le sue doti di realizzatore e passatore, ha resistito all’arrivo di [b]Carlos Arroyo[/b] nel suo ruolo, aumentando anzi la qualità del suo gioco ed è ormai uno starter sicuro nei piani di [b]Brian Hill[/b]. Come detto il suo cambio è Carlos Arroyo, portoricano tutto pepe giunto da Detroit, che entra per cambiare il ritmo ed il volto delle partite dei Magic. Passatore fantasioso, penetratore molto forte grazie alla capacità di concludere prendendo il contatto con il difensore, tiratore non disprezzabile ma estremamente discontinuo ha qualche pecca in difesa, dove spesso perde l’uomo e soprattutto rischia di fare troppo caos (dis)organizzato se tenuto troppo in campo. Probabilmente non era ciò che si aspettava una volta giunto in Florida, ma il ruolo di cambio con licenza di fare e disfare a suo piacimento, è probabilmente quello più indicato per lui.
Un’altra grandissima sorpresa di questi Magic è [b]Darko Milicic[/b]. Seconda scelta assoluta al draft 2003, pescato davanti a gente del calibro di Carmelo Anthony, Chirs Bosh e Dwyane Wade, era stato etichettato, dopo i disastrosi anni ai Pistons come un [i]bust[/i], un bidone, ed anzi si sprecavano gli improperi per Dumars e tutti i Gm che all’epoca del draft ne dissero un gran bene, estasiati dalla velocità, dalla forza e dalla coordinazione di questo airone di 2.13 per 125kg. Lo scontro con il mondo pro è stato però tutt’altro che semplice per il buon Darko, che è bene sottolinere subito non aveva mai minimamente fatto la differenza nemmeno in Europa. Caduto in disgrazia agli occhi di coach [b]Brown[/b], che all’epoca ne fece una vera e propria questione di principio con la dirigenza, ritenendo che i Pistons dovessero cedere la seconda scelta assoluta per incamerare qualche veterano, Milicic nei suoi primi 3 anni NBA ebbe tra i 5 ed i 7 minuti di media. Dato ormai per perso anche dopo il divorzio con Larry Brown i Pistons hanno scaricato lo scorso anno Milicic, insieme da Arroyo, ai Magic, in cambio del corpaccione Kelvin Kato. Ai Magic Milicic, che nonostante i 3 anni di NBA alle spalle è sostanzialmente un rookie trova la sua dimensione, parte dalla panchina cambiando Tony Battie e Howard, si dimostra una macchina da stoppate e da rimbalzi, grazie al fisico imponente, ad un grosso timing, ad un grande atletismo ed a due braccia lunghissime e conquista sempre più minuti. Nell’ultimo periodo coach Hill lo ha proiettato addirittura in quintetto, ottenendo gare da stropicciarsi gli occhi, come quella contro i Bulls dove Milicic in 35 minuti in campo ha messo assieme 14 punti, 16 rimbalzi e 5 stoppate. Il futuro di questi Magic passa anche dalla sua voglia di crescere e migliorarsi, visto che le sue caratteristiche sia difensive (dove con quel fisico può marcare praticamente qualsiasi tipo di lungo) che offensive (dove ha sviluppato un interessantissimo tiro dalla media, oltre al semigancio) si abbinano perfettamente a quelle di Howard.
Ma se si vuol parlare di Magic è impossibile non parlare di [b]Dwight Howard[/b]. Fenomeno fisico che sa di paranormale, non è solo la pietra angolare della ricostruzione dei Magic, ma è con ogni probabilità, ed [b]Oden[/b] permettendo, il miglior lungo NBA dei prossimi 10 anni, se infortuni o follie improvvise non lo stoppano. Dal punto di vista fisico, dicevamo, è qualcosa di irreale: alto, potentissimo, agile e atletico è un misto tra il primo [b]Shaquille O’Neal[/b] di cui non ha la stazza ma ha la potenza e la stesa tendenza a cercare l’inchiodata ogniqualvolta è in prossimità del ferro, e [b]Ben Wallace[/b], di cui non ha le capacità difensive ma ha la stessa fame a rimbalzo. Tecnicamente è ancora tutto da sgrezzare, ma è importante ricordare che parliamo pur sempre di un ventunenne, che al suo primo anno in NBA è entrato nella ristretta cerchia di giocatori in grado di viaggiare in doppia-doppia di media al loro anno da rookie, oltre ad essere il primo high-schooler della storia a partite titolare in tutte e 82 le partite del suo primo anno.
Nonostante un bagaglio tecnico tutt’altro che [i]olajuwoniano[/i], visto che aldilà di un semingancio ancora piuttosto grazzo, e dei continui scivolamenti, sia verso il fondo che verso il centro area, il nostro non ha mostrato ancora movimenti di tecnica pura in post, oltre che una mano non proprio rotondissima dalla lunetta (ma quì c’è da dire che è in miglioramento), [i]the man-child[/i], come hanno preso a chiamarlo ormai tutti, svetta quest’anno 18 punti, 12 rimbalzi e quasi 2 stoppate a partita,tirando con quasi il 60% dal campo. Tallone d’achille sono le palle perse, quasi 4 a partita, addirittura 11 nella recente vittoria sui Bulls.
Un capitolo a parte, oltre che un momnumento equestre in pubblica piazza, lo merita [b]Grant Hill[/b], giocatore dall’intelligenza cestistica sublime, dotato di tanto talento quanta sfiga, che nemmeno quest’anno lo ha lasciato in pace. E’, tornato dall’ennesimo infortunio, sempre più il barometro di questi Magic: quando gioca bene difficilmente Howard e soci perdono. Mente sublime, tanto che spesso è lui in punta ad orchestrare il gioco dopo che uno tra Nelson o Arroyo ha portato sù il pallone, Hill è un giocatore che ha saputo trasformarsi nel corso degli anni. I dolorossissimi problemi alla caviglia, che addirittura avevano fatto scaturire voci di un ritiro dalle scene hanno privato Hill di quell’atletismo che ne aveva fatto a fine anni ’90 uno dei principali candidati, assieme a [b]Penny Hardaway[/b], alla successione al trono di sua maestà Jordan (non c’è che dire, un’eredità davvero sfortunata). Ritornato in campo Hill ha dimostrato come si possa sopravvivere ad alti livelli in una lega dove ormai i cyborg proliferano, ma i giocatori che sanno davvero leggere e comprendere il gioco sono sempre meno. Tant’è che ha messo su un jump dalla media letale(il tiro da 3, suo tallone d’achille anche ai tempi dei Pistons, continua ad essere ondivago), usa sapientemente il corpo in entrata, gioca in post basso contro gli avversari più leggeri ed è a tutti gli effetti una sorta di play occulto.
In conclusione i Magic, nonostante le ambizioni di [b]post-season[/b] vivono un’annata di transizione: la crescita di Howard, la conferma ad alti livelli di Milicic e Nelson, lo sviluppo del rookie Reddik, altro giocatore importante oggi e fondamentale in futuro, vista la carenza di tiratori in grado di aprire la scatola in attacco per i Magic, insieme alla sagacia tattica ed alla furbizia di brother Hedo Turkoglu, all’intelligenza di Hill ed alla voglia di emergere dei giovani del roter (Arinza, Dooling) sono la base su cui i Magic costruiscono questa e le prossime stagioni. A bocce ferme poi si deciderà tanto del [b]futuro[/b] di questi Magic, quest’estate infatti si porranno le questioni delle scadenze di Hill (e non è detto che il buon Grant rimanga in Florida quando ci saranno i [b]top team[/b] ad offrirgli soldi e possibilità di giocare per i titolo) e di Milicic ( che è possibile trattenere per un altro anno sfruttando la [b]qualifying offer[/b]) oltre al mercato dei free agent, dove i Magic potrebbero fare la parte del leone essendo sotto il cap, tant’è che già in questo periodo pare che ci sia un forte interessamento della dirigenza per [b]Rashard Lewis[/b], stellina dei Sonics in scadenza. Un futuro tutto da decifrare quindi, ma fino a quando ci sarà Howard, il futuro dei Magic sarà a tinte forti.